Muore a 33 anni dopo la fuga da una comunità psichiatrica, la famiglia: “Noi e lui lasciati soli”

Jacopo è morto all’età di 33 anni: aveva una forma grave di bipolarismo ed era stato trasferito in libertà vigilata in una comunità dell’hinterland di Milano su disposizione del Tribunale. A marzo 2023, è scappato ed è stato trovato morto. La madre e la sorella denunciano a Fanpage.it l’assenza di istituzioni nella gestione del figlio e la mancata vigilanza da parte della comunità.
A cura di Ilaria Quattrone
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Jacopo è morto a marzo 2023. Il suo corpo è stato trovato in un dirupo in provincia di Como. Ragazzo molto sensibile e legato alla mamma e alla sorella, soffriva da diverso tempo di disturbo di personalità e da consumo di sostanze. E infatti Jacopo entrava e usciva da comunità e percorsi terapeutici.

La sua è una storia che, come tante altre, mostra come i soggetti psicologicamente fragili e le loro famiglie non vengono sostenute sufficientemente. E, spesso, si trovano a combattere da sole una battaglia con malattie impossibili da gestire.

La madre del ragazzo ha voluto affidare questo racconto a Fanpage.it: “Era un ragazzo che fino all’adolescenza non mi ha dato particolari problemi. Solo nella fase adolescenziale, verso i 16 anni, sono iniziati i primi comportamenti anomali”. Ma quegli atteggiamenti erano stati inizialmente addebitati all’età.

Le cose si complicano quando il giovane inizia a fare uso di sostanze stupefacenti: “Comincia a fare rapine. Trascorre un periodo nel carcere minorile Beccaria dove rimane fino alla maggiore età”, racconta ancora la madre. Una volta fuori dall’istituto penitenziario, sembrerebbe iniziare a condurre una vita tranquilla: “Riprende a lavorare, ha una relazione con una compagna”.

Purtroppo però passa poco tempo prima che i problemi ritornino: Jacopo, infatti, torna a essere aggressivo e riprende a far uso di droghe. A gennaio 2014 ha il primo episodio dissociativo.

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“Grazie alla polizia del commissariato Greco Turro, a cui mi ero rivolta, scopriamo che era stato portato all’ospedale di Gallarate. Era stato ritrovato a Malpensa in stato confusionale”. La mamma di Jacopo, insieme all’altra figlia, decidono quindi di recarsi nella struttura ospedaliera. Lo riportano a casa, imbottito di psicofarmaci.

“Non era più lui. Aveva 24 anni. Mi interfaccio con il medico di base, ci rivolgiamo all’ospedale e lì viene ricoverato per la prima volta in psichiatria. Gli viene diagnosticata una forma grave di bipolarismo”.

Il giovane resta in ospedale per quasi due mesi. Inizia a curarsi, ma affronta anche un periodo di non accettazione della patologia: “Appena usciva dall’ospedale, abbandonava la terapia e diventava aggressivo. Un po’ tutti, in casa, ne abbiamo subite”. Questo costringe la madre a richiedere diversi trattamenti sanitari obbligatori.

Una speranza si accende quando Jacopo decide di iniziare un percorso di comunità con programma 2000, un progetto sperimentale regionale attuato all'ospedale Niguarda: "Viene seguito bene. È stato l’unico periodo in cui, grazie al supporto dello psicologo e dello psichiatra, era riuscito a trovare un po’ di normalità”.

“Purtroppo però questi percorsi durano solo due anni. Al termine del programma, è stato preso in carico dal Centro psico-sociale di zona. Dopo un periodo iniziale in cui ha avuto ancora colloqui con lo psichiatra, le cose cambiano. Mio figlio arriva a togliermi la liberatoria che mi consente di essere informata dai medici sulle sue condizioni di salute. La legge glielo permette e io non ho più la possibilità di sapere se si stesse curando o meno. Lo intuivo solo perché vedevo quando peggiorava”, precisa.

Nel 2022, dopo che era stato assolto dall'accusa di aver aggredito l'ex fidanzata per vizio totale di mente e pericolosità sociale, Jacopo aggredisce la madre. La donna chiama la polizia che le consiglia di presentare denuncia: “Prima o poi succederà qualcosa di brutto, mi dicono. Aggiungono che se non avessi denunciato, non ci sarebbe stato alcun intervento decisivo nei confronti di questo ragazzo”. La madre accoglie le loro parole e denuncia.

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Il ragazzo viene trattenuto prima in ospedale per due mesi e poi, su ordinanza del tribunale di Milano, trasferito in una comunità dell’hinterland. “Inizialmente era spaventato dall’idea di non tornare a casa. Mentre lui era lì, io ho seguito un percorso nel centro anti-violenza dell’ospedale Niguarda. Ho partecipato ai colloqui fino al 2022”.

È in questo momento che Jacopo decide di dare nuovamente alla madre la possibilità di accedere nell'informativa medica. “Ma era passato un anno. Un anno in cui lui si è ammalato e aggravato”. In comunità, però, le cose non migliorano: "Mi racconta che in quella struttura gli davano solo la terapia e nulla più. La convivenza inoltre era molto difficile”. Sei mesi dopo l'ingresso, a dicembre, è positivo al drug test a cui veniva sottoposto regolarmente: sono state trovate infatti tracce di cocaina. "Non era positivo da tre anni", ribadisce la madre.

E sempre a dicembre, scappa per la prima volta dalla comunità: “Lo scopro il 17 mattina quando mi scrive: ‘Guarda che me ne sono andato'. Comunico io – spiega ancora la madre – alla comunità che era scappato. Se ne era andato la sera prima. Faccio presente che il ragazzo mi ha contattato. Riesco poi ad avvicinarlo perché era arrivata a Milano. Lo incontro e convinco a rientrare in comunità”.

A febbraio, Jacopo è di nuovo positivo al drug test. “Decido di interfacciarmi con il responsabile della comunità. Chiedo – precisa la donna – come sia possibile che circoli droga. Io volevo tutelarlo, ma mi sono trovata in una situazione dove stava tornando indietro. Erano tre anni che non faceva più uso di cocaina. Loro mi hanno spiegato che i ragazzi entravano e uscivano autonomamente e che probabilmente acquistavano fuori la droga”.

Il 24 marzo, Jacopo scappa nuovamente. “Alle 11 del mattino chiacchieriamo via chat – spiega ancora la madre -. Era demoralizzato perché era stato trovato positivo al drug test, ma mi diceva di non preoccuparmi. Conclude la chat dicendomi: Ci sentiamo dopo, che vado a preparare da mangiare”.

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Alle 16.30 la madre lo richiama ma non riceve alcuna risposta: “Inizialmente non mi preoccupo perché con i farmaci che prendeva, capitava che dormisse. Alle 17.15 mi arriva però una telefonata dalla comunità dove mi dicono che il ragazzo si è allontanato. Mi dicono che hanno allertato le forze dell’ordine. La mia agitazione è comunque salita perché per me era strano che lui non mi avesse contattato”.

La donna inizia a telefonare al figlio: “Inizio a chiamare e mandare messaggi, ma non ricevo alcuna risposta. Lì, da madre, percepisco che è successo qualcosa perché Jacopo non stava mezza giornata senza parlare con me. Mi mandava 10mila messaggi. Vedendo che non visualizzava neanche, ho capito che era successo qualcosa”.

Il telefono di Jacopo era collegato a quello della madre e tramite Google Maps è stato possibile verificare che “era in una zona boschiva, a otto minuti di auto dalla comunità".

"La mattina quindi – racconta ancora la madre – chiamo la struttura e riferisco dove si trovava il ragazzo. Mi dicono che però non possono far nulla. Chiedo di poter parlare con un responsabile, ma mi spiegano che non ci sarebbe stato fino a lunedì. Mi dicono che hanno segnalato ai carabinieri e che hanno inviato loro una foto segnaletica”.

La comunità, come dimostrato dalle carte in possesso di Fanpage.it, aveva allertato i carabinieri venerdì pomeriggio.  Le forze dell’ordine avevano invitato la struttura a formalizzare la denuncia, così da muovere la macchina delle ricerche. Questo passo verrà fatto solamente il lunedì: tre giorni dopo la scomparsa di Jacopo.

Nel frattempo è la madre a mobilitarsi personalmente. Decide di mettere, insieme alla figlia, alcuni post su Facebook e Instagram. Vengono contattate dal vicesindaco di Bellagio che racconta loro di aver visto il giovane. Spiega che nel pomeriggio del 23 marzo era passato dalla sua proprietà con uno zainetto sulle spalle. Gli avevo se avesse bisogno di qualcosa, ma non gli aveva risposto. Lo aveva seguito fino al big Panch e lo aveva visto scavalcare: “Ha detto che chi non conosce la zona, non sa che lì c’è uno strapiombo”.

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È il vicesindaco a interfacciarsi con i carabinieri di Bellagio e con la squadra di soccorso per la ricerca di persone. Quando arrivano, i soccorritori decidono quindi di calarsi in questo dirupo: “Dopo una ventina di minuti, abbiamo visto arrivare l’elisoccorso. Avevamo capito che lo avevano trovato. È infatti arrivata una telefonata che ci ha confermato che Jacopo è stato trovato senza vita”.

Dopo il ritrovamento del cadavere del ragazzo, mamma e figlie decidono di sporgere denuncia nei confronti della comunità: “Non li accuso per la morte di mio figlio, ma di non aver vigilato”, spiega la prima. Ad assisterle è l’avvocato di Jacopo, che per anni lo aveva seguito.

“La nostra rabbia e il nostro dolore non sono solo frutto di quello che era successo, ma anche nel sapere che questa persona era sola in quella condizione mentale, senza qualcuno che lo ascoltasse. Jacopo era molto depresso, anche nell’ultimo periodo uno degli ultimi messaggi è: “Sono un caso perso”. Per me è impensabile che una struttura che dovrebbe aiutare questi ragazzi li abbandoni a loro stessi, che un ragazzo con una patologia così invalidante, che è lontano dalla famiglia, sia completamente solo, che nessuno lo aiuti. Per noi è stato terribile”, continua la sorella.

E la madre aggiunge: “Quando il 27 mattina ho potuto interfacciarmi con il responsabile, mi è stato comunicato che si sono resi conto che Jacopo si era allontanato intorno alle 14.30. Io sono stata chiamata due ore dopo. Ho chiesto perché non sono stata subita informata perché avrei potuto fermarlo considerato che abbiamo scoperto che per 50 minuti ha camminato. Se avessi saputo prima forse avrei potuto fermarlo. Non li accuso per la morte di mio figlio, ma di non aver vigilato”.

La Procura di Como ha però richiesto l’archiviazione, alla quale la famiglia di Jacopo si è opposta. Il giudice non ha ancora deciso. “Siamo rimaste basite quando abbiamo letto che la Procura non ravvisa la mancata sorveglianza, nonostante venga dichiarato che la comunità non abbia telecamere, il cancello resti sempre aperto, ci siano solo due infermieri con i ragazzi e nel weekend non c’è alcun medico psichiatra”, continua la madre.

“È stato scritto che la comunità non è detentiva, ma curativa. È vero, però mio figlio era lì con un’esigenza cautelare su disposizione del tribunale. Aveva una invalidità e una pericolosità sociale. Perché è stato deciso di farlo uscire in autonomia?”.

La madre di Jacopo, ricordando anche quando il figlio le ha tolto il consenso informato per le procedure sanitarie, lancia un appello: “Chi si occupa delle leggi che riguardano questi ragazzi deve capire che davanti a patologie di questo genere, non è possibile che vengano lasciati liberi di decidere. Devono cambiare le cose. Le famiglie sono abbandonate a loro stesse”.

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