Moussa Sangare: “Mi sono esercitato a colpire una statua prima di uccidere Sharon Verzeni”
Avrebbe fatto alcune prove su una statua che si trova nel parco di Terno d'Isola Moussa Sangare prima di uccidere Sharon Verzeni. Lo ha detto lui stesso durante l'interrogatorio di convalida che si è tenuto questa mattina, lunedì 2 settembre, nel carcere di via Gleno a Bergamo davanti al pm Emanuele Marchisio, che ha coordinato le indagini sull'assassinio della 33enne, e alla gip Raffaella Mascarino, che ha convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare in carcere. "Ha confermato tutto", ha spiegato il suo legale, Giacomo Maj, al termine del colloquio durato poco più di due ore, compreso il fatto di aver agito senza un motivo preciso. Al momento, non è arrivata ancora richiesta formale di perizia psichiatrica.
L'ipotesi dell'esercitazione sulla statua
L'accusa nei confronti di Sangare è di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Come ha spiegato il suo avvocato, il 30enne era uscito di casa il 29 luglio con quattro coltelli e l'intento di "fare qualcosa di male". Ha raccontato di aver minacciato per strada a Terno d'Isola due ragazzini, non ancora identificati, e di aver incrociato la 33enne per caso mentre era in bici.
Verzeni era uscita intorno a mezzanotte per fare una passeggiata. Dopo aver lasciato il suo compagno che dormiva nella loro villetta di via Merelli, si era incamminata per le strade del paese bergamasco con gli auricolari alle orecchie. Dopo averla vista, Sangare sarebbe tornato indietro per colpirla: prima allo sterno, poi altre tre volte alle spalle chiedendole "scusa per quello che sta per accadere".
Il fatto che avesse provato l'accoltellamento su di una statua, qualora venisse confermato, potrebbe portare un altro elemento a sostegno del fatto che l'assassinio fosse premeditato. La scelta della vittima parrebbe casuale, ma non l'intento omicida. Nella sua abitazione, inoltre, i militari avrebbero trovato una sagoma di cartone dalle sembianze umane segnata da fendenti di coltello.
L'arresto del 30enne
Sangare è stato identificato e rintracciato a un mese di distanza dall'omicidio. Di lui, all'inizio, c'erano solo alcuni fotogrammi delle telecamere di sorveglianza, ma niente di più. Fino a quando due giovani, residenti in zona, lo hanno riconosciuto e permesso, così, agli investigatori di ricostruire il suo percorso di fuga.
Il 29 agosto Sangare è stato portato in caserma come persona informata sui fatti. In un primo momento aveva negato ogni suo coinvolgimento, ma intorno alle 4 del 30 agosto ha confessato spiegando di aver agito senza un reale motivo e di non aver mai visto prima la vittima in vita sua. La famiglia del 30enne, madre e sorella, ha raccontato di aver denunciato il ragazzo per tre volte: la prima nel 2023 e l'ultima a maggio, per danneggiamenti, violenza domestica e maltrattamenti.
L'interrogatorio in caserma
Durante l'interrogatorio di convalida del fermo, davanti al pm Marchisio e alla gip Mascarino, Sangare avrebbe di fatto confermato quanto aveva già raccontato ai carabinieri dopo l'arresto del 30 agosto. "Non era uscito con l’obiettivo di uccidere qualcuno", ha detto il suo avvocato Maj fuori dal carcere bergamasco, "era uscito con queste sensazioni che lo costringevano a fare qualcosa di male ma imprecisamente, non cosa e contro chi".
Dal momento dell'arresto, Sangare è in isolamento e sotto stretta sorveglianza. Il suo avvocato ha dichiarato che "da uomo senza competenze tecniche, secondo me ha dei problemi". Per questo motivo, il legale ha ribadito che a suo giudizio andrebbero eseguiti alcuni accertamenti di tipo psicologico, ma ancora non è stata formalizzata la richiesta di una perizia psichiatrica.