Morto l’architetto Mario Antonio Arnaboldi: progettò le grandi fabbriche lombarde
È morto a 89 anni l'architetto milanese Mario Antonio Arnaboldi, protagonista del rinnovamento progettuale italiano dagli anni '60. La sua carriera è legata a doppio filo alla città della Madonnina. Arnaboldi ha realizzato ville, quartieri residenziali, stabilimenti industriali, ma anche ospedali, spazi espositivi, impianti sportivi, scuole ed uffici. La famiglia ha annunciato che i funerali si svolgeranno alla chiesa di Santa Maria delle Grazie domani, lunedì 15 novembre, alle ore 11.
Gli studi al Politecnico e i progetti delle fabbriche lombarde
Mario Antonio Arnaboldi è nato a Milano il 20 giugno 1932, si laurea in architettura al Politecnico del capoluogo lombardo, dove ha insegnato progettazione. È stato professore anche in molti atenei in Italia e all'estero. Solo per citarne alcuni: l'Università di Trento, la Sydney University, è stato Lecturer alla University of Colorado a Denver, al College of Architecture and Planning e alla Columbia University di New York. La sua carriera comincia collaborando con Ernesto Nathan Rogers e con Franco Albini allo Iuav di Venezia. È stato nominato Cavaliere al Merito della Repubblica italiana nel 2017. È stato anche vicedirettore della rivista "Arca". Tra gli ultimi progetti in Lombardia c'è stato Cargo City dell'aeroporto Malpensa 2000. Negli anni '60 e '70 Arnaboldi ha realizzato gli stabilimenti "Saiwa-Nabisco" di Locate Triulzi, "Ramazzotti-Pernod" di Lainate, "Rheem-Safim" di Melzo, "Soilax" di Rozzano, "Leri" di Lacchiarella, "Mobil" di Rozzano, "Oberfi" di Rozzano, "Icsam" di Bovisio Masciago, "Anbel-Tambrock" di San Donato Milanese. Tra i suoi progetti anche l'ospedale di Piacenza e un complesso residenziale a San Donato Milanese. Arnaboldi è medaglia d’argento del Politecnico di Milano per i 40 anni d’emerita docenza e ha ricevuto anche la medaglia per i 50 anni di professione. Tra i progetti raccontati in un'intervista al Corriere della Sera, l'architetto aveva raccontato il particolare della nursery interna allo stabilimento della Saiwa nel 1964: "C’erano tante donne che impacchettavano i biscotti, erano molto abili e venivano richieste perché estremamente precise sul lavoro – aveva raccontato – Una di loro venne da me in lacrime. ‘Sono incinta e sarò costretta a licenziarmi perché non posso seguire il bambino e lavorare al tempo stesso'. Era una lavoratrice molto brava e così feci inserire una nursery interna".