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La morte di Ramy Elgaml a Milano

Morte Ramy Elgaml, l’ex capo della polizia Franco Gabrielli: “Inseguimento fatto in modo non corretto”

Intervistato durante il programma 24 Mattino andato in onda su Radio24 il 9 gennaio, Franco Gabrielli ha commentato le immagini dell’inseguimento che ha preceduto la morte di Ramy Elgaml lo scorso 24 novembre. Secondo l’ex capo della polizia, non sarebbe stato fatto “in modo corretto” in quanto non sarebbe stato seguito il principio di “proporzionalità delle azioni”.
A cura di Enrico Spaccini
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Franco Gabrielli (foto da LaPresse) e il frame dell'inseguimento dei carabinieri (Tg3)
Franco Gabrielli (foto da LaPresse) e il frame dell'inseguimento dei carabinieri (Tg3)
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Continuano le indagini della Procura di Milano sull'inseguimento dello scorso 24 novembre tra tre pattuglie dei carabinieri e uno scooter per le vie di Milano al termine del quale Ramy Elgaml è deceduto. Gli inquirenti stanno valutando sulla base dei filmati pubblicati lo scorso 7 gennaio se modificare l'accusa nei confronti di alcuni dei militari coinvolti nell'ipotesi di omicidio volontario con dolo eventuale. Sul caso, nel frattempo, si è pronunciato anche Franco Gabrielli, ex capo della polizia di Stato italiana e oggi consulente alla Sicurezza del sindaco di Milano: "È ovvio che quella non è la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento perché c'è pur sempre una targa, un veicolo", ha dichiarato, "esiste un principio fondamentale ed è quello della proporzionalità delle azioni".

Gabrielli: "Non posso mettere una persona che sta scappando in condizione di pericolo"

Gabrielli, durante un'intervista andata in onda nel programma 24 Mattino su Radio24 nella mattinata del 9 gennaio, ha dichiarato che quella messa in atto dai militari il 24 novembre "non è la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento", ricordando che "c'è pur sempre una targa, un veicolo" e che quindi il mezzo potrebbe essere presto identificato dal sistema di sorveglianza cittadino.

A sostegno della sua tesi, l'ex capo della polizia ha citato il principio della "proporzionalità delle azioni". Gabrielli, infatti, ha spiegato che in caso di pericolo di vita, "posso addirittura utilizzare un'arma", tuttavia "se il tema è fermare una persona che sta scappando, non posso metterla in una condizione di pericolo" e "questo è un elementare principio di civiltà giuridica".

L'inseguimento per 8 chilometri con tre pattuglie

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Secondo quanto è stato ricostruito finora, le pattuglie dei carabinieri avevano iniziato l'inseguimento dello scooter TMax alle 3:40 del 24 novembre nei pressi di Porta Nuova, dopo che Fares Bouzidi, il 22enne alla guida, non si è fermato all'alt. In sella al due ruote con lui, seduto dietro, c'era proprio il 19enne Ramy Elgaml. La corsa è terminata 25 minuti e 8 chilometri dopo, tra via Ripamonti e via Quaranta nel quartiere Corvetto.

Come è stato possibile vedere dai filmati resi pubblici il 7 gennaio da Tg3 e TgLa7, le pattuglie dei carabinieri durante l'inseguimento avrebbero impattato almeno tre volte sullo scooter. Le ultime immagini mostrano lo scooter finire a terra in curva e ora i vari accertamenti stanno cercando di capire se la Giulietta dei militari che li seguiva a stretto giro abbia influito e in che misura nell'incidente.

 "Non ci dividiamo tra chi difende e chi accusa a prescindere"

Ad oggi, sono indagati per omicidio colposo in concorso Bouzidi, che guidava lo scooter, e il vice brigadiere al volante della Giulietta che si è schiantata. Oltre a loro, sono indagati per favoreggiamento e depistaggio altri due militari, in quanto avrebbero riportato una ricostruzione fallace dell'accaduto e avrebbero tentato di cancellare un video dello schianto registrato da un testimone.

Per Gabrielli, comunque, l'importante è non arrivare a una "eccessiva criminalizzazione degli operatori delle forze dell'ordine" e evitare di "divederci da chi fa la difesa a prescindere e chi l'accusa a prescindere". L'ex capo della polizia, infatti, ha affermato che il primo "è un atteggiamento pericoloso perché introduce un elemento di senso di impunità", mentre l'altro comporta "che le forze di polizia siano sempre o debbano essere sempre sul banco degli imputati".

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