Morena, vittima di “gaslighting” da parte del suo ex compagno: “Simulava furti, per manipolarmi”
Morena ha 55 anni e vive in un piccolo paese della provincia di Monza e Brianza. La donna è stata vittima di una forma di violenza psicologica conosciuta con il nome di "gaslighting". A perpetrarla è stato il suo ex compagno: l'uomo simulava dei furti e dei danneggiamenti per poterla rendere insicura e poter così rinsaldare il loro rapporto ormai in crisi. A scoprirlo è stato il figlio: il ragazzo aveva infatti installato delle telecamere in casa.
Il primo furto simulato
"Ho conosciuto quest'uomo due anni e mezzo fa. Mi chiamava tantissime volte durante la relazione: era un po' paranoico", racconta Morena a Fanpage.it. A un certo punto, l'ex ha iniziato a mostrare i primi segni di gelosia: "Continuava a guardarmi il telefono. Poi sono iniziati i furti: il 4 marzo sono andata a Milano e quando mio figlio è passato da casa mia ha trovato tutto all'aria". L'uomo aveva dato inizio alle prime simulazioni sfociate poi nella sottrazione di portafogli, cellulari, computer e nel danneggiamento dei badge che consentivano a Morena di lavorare: "Non me ne facevo una ragione, non riuscivo a capire chi ce l’avesse con me: ed era lui". Come spiegato dal comandante dei carabinieri di Seregno, Emanuele Amorosi, l'episodio che ha permesso di scoprire tutto questo risale allo scorso 15 marzo: "Tutti questi episodi, apparentemente inspiegabili, erano in realtà stati creati non per ottenere un profitto, ma nell’ottica di un disegno più ampio: quello del maltrattamento psicologico".
È una violenza "invisibile"
Quando si verificavano queste sottrazioni, l'uomo era sempre pronto a darle conforto: "Faceva in modo che dovessi avere bisogno di lui, che decidessi di portarmelo a casa, così lui mi proteggeva". Comportamenti e gesti che hanno portato Morena a soffrire psicologicamente: "Ho addirittura chiamato il mio medico – spiega a Fanpage.it – dicendogli di darmi qualche giorno di malattia perché non ci stavo dentro con la testa. Loro ti isolano da tutto il tuo mondo, da tutte le tue amiche e anche dal lavoro". Il gaslighting, così come tutte le forme di violenza psicologica, è invisibile: "Non lascia segni, non ci sono lividi. È molto più difficile da intercettare. Spesso – spiega la psicologa Ada Garofalo, esperta del Cadmi (Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate) – si associa a sintomi di ansia, attacchi di panico, paura. Le vittime perdono tutte le loro sicurezze: cominciano poi a identificarsi con quello che l’uomo dice".
Morena: Non bisogna ritirare le denunce
L'appello di Morena è di non tirarsi mai indietro e di non ritirare le denunce perché queste cose non cambiano: "Davanti ai carabinieri mi ha detto: Morena, io non mi faccio vedere più, ma tu ritira le denunce. Non l'ho nemmeno guardato". In Italia, come dimostrato dal caso della 55enne, le leggi ci sono, ma nel caso di violenza psicologica è difficile avere delle prove tangibili: "La legge sulla violenza di genere comprende quella psicologica. In alcuni casi, abbiamo avuto la fortuna di avere dei giudici illuminati – spiega sempre a Fanpage.it, la dottoressa Mitia Rendiniello, psicoterapeuta per Svs SVS Donna Aiuta Donna Onlus – che hanno saputo riconoscere la violenza psicologica. È più difficile da dimostrare perché le prove della violenza psicologica stanno solo nello stato della vittima. Non c'è un referto del pronto soccorso: potrebbe esserci per attacchi di panico, ma anche quella è sempre una prova considerata molto debole".
I campanelli d'allarme
Molto spesso nemmeno le donne stesse se ne rendono conto: "È difficile. A meno che qualcuno non gli mostri una realtà diversa". Esistono però dei campanelli d'allarme: "Prevaricazione, aggressione fisica, gelosia eccessiva, controllo ossessivo, l'isolamento, la critica continua e la limitazione della libertà fino alla dipendenza economica: sono tutti dei fattori di rischio", spiega ancora Rendiniello. Per uscirne è necessario affrontare un percorso lungo e faticoso: "Bisogna lavorare sull'emergenza-urgenza della messa in protezione. Bisogna lavorare perché esca, una volta usciti inizia tutto un supporto psicologico e di elaborazione del trauma".