“Mio papà è morto per difendermi dal mio ex, grazie a lui oggi sono libera”: parla Lavinia Limido
Sono passati quasi quattro mesi da quando, il 6 maggio 2024, a Varese, la famiglia Limido ha visto realizzarsi l'incubo che la tormentava da più di due anni. Lavinia Limido, 37 anni, è stata accoltellata fuori dallo studio di famiglia dall'ex marito Marco Manfrinati. Il padre della donna, Fabio, di 71 anni è subito accorso in difesa della figlia, ma non ha avuto scampo: Manfrinati ha accoltellato anche lui, ferendolo a morte.
Lavinia Limido ripercorre oggi quegli attimi di terrore, preceduti da anni di paura. "Quel giorno ero pronta a morire – dice Lavinia -, è morto mio padre per salvare sua figlia".
Che cosa è rimasto dentro di te del 6 maggio?
"Quel giorno è stato un giorno pazzesco. Ho percepito che la paura era in via Menotti, la via della mia azienda. Sono uscita, dopo aver lavorato tutta la mattina, mi sono diretta verso la mia auto e lui subito mi ha aggredita. Ricordo perfettamente il momento in cui mi pugnalava e me le dava. E ricordo anche il momento in cui poi è intervenuto il mio papà per difendermi. Sono stati attimi terrificanti, perché sembravano non finire mai e perché ho percepito anche l'aggressione a mio papà".
Ti ricordi i tuoi pensieri in quel momento?
"In quel momento ho anche pensato che io per mio figlio sarei stata anche pronta a morire. Io ero pronta a morire quel giorno, invece è morto il mio papà per me: io sarei morta per mio figlio, mio papà è morto per sua figlia".
Marco Manfrinati aveva minacciato di aggredirti?
"Sì, tant'è che i fatti del 6 maggio si sono verificati anche in sfregio a un divieto di avvicinamento – rivolto al mio ex marito – alle nostre persone e ai luoghi da noi frequentati. Questa è stata una tragedia preannunciata da lui parecchie volte, mi aveva detto ‘Sappi, Lavinia, che ammazzerò te, tua madre, nostro figlio, e sai che lo faccio'".
Vivevate nella paura, quindi.
"Gli ultimi due anni sono stati due anni tremendi. Due anni in cui un giorno sì e un giorno sì succedeva qualcosa. Un anno fa è stato trovato con un martello in macchina e aveva detto che il suo piano era quello di sfondare i finestrini dell'auto e sgoazzarci. Abbiamo cercato di attuare tutti i mezzi in nostro possesso per proteggerci. Abbiamo denunciato più volte, però il sistema Italia è un sistema di giustizia lungo. Io e la mia famiglia sapevamo che sarebbe successo e diciamo che in fondo al cuore tutti noi eravamo pronti a un epilogo del genere".
Riavvolgiamo il nastro. Com'era Manfrinati quando vi siete conosciuti?
"Quando l'ho conosciuto, Marco mi sembrava il ragazzo perfetto: educato, intelligente, di buona famiglia, che ci sapeva fare, che ti corteggiava e ti lusingava. Poi, nel corso della vita matrimoniale, piano piano, alcuni suoi aspetti sono emersi e si sono accentuati. Aveva degli scatti d'ira, lanciando per esempio degli oggetti, era molto fuori luogo quando pronunciava certe frasi su di me, sulla mia famiglia e sui miei amici. Trovava sempre il modo di farmi sentire inadeguata: per esempio mi diceva che guadagnavo troppo poco oppure che sentivo troppo le mie sorelle".
In quel periodo eri riuscita a mantenere dei rapporti al di fuori della coppia?
"In modo molto sottile, in modo molto raffinato, Marco è riuscito a isolarmi sia dalla mia famiglia che dalla mia cerchia di amici. Mi ricordo che un giorno avevo detto ‘A me piacerebbe andare a Capri'. Dato che lui ha un odio nei confronti dei meridionali, e io tra l'altro sono per metà campana, mi aveva riposto: ‘Io non ti porterei mai lì'. Avevo allora ribattuto che sarei andata con le mie amiche e ricordo che lui mi disse una cosa molto vera: ‘Quali amiche?'"
Come è finito il matrimonio?
Ci ho messo un po’ a dare un nome al mio sentimento, che era la paura. Avevo paura e non riuscivo a sentirmi libera di avere paura, finché non sono andata da una psicologa e ho iniziato a parlare di questa cosa con lei e con persone esterne al nostro nucleo-coppia. Da lì ho preso contatto con un'emozione che non riuscivo a nominare e quando ho capito che era quella, ho capito anche che dovevo solo scappare".
Come hai fatto ad allontanarti dalla casa in cui vivevi con lui?
"La fuga è stata uno dei momenti più difficili. Mi ricordo che quella sera lui mi aveva detto ‘Adesso vengo su e ti meno, per insegnare una regola a una come te bisogna metterle la testa negli escrementi come si fa con i cani'. Questo perché non gli avevo reso conto di come avevo speso 20 euro, che lui non trovava nel mio portafoglio. Quella sera ho detto a me stessa ‘Devo solo arrivare fino a domani'. E l'indomani mattina me ne sono andata".
Di recente, a meno di tre mesi dall'aggressione, il gip di Busto Arsizio ha archiviato il procedimento seguito alla tua denuncia per maltrattamenti in famiglia.
"Questa cosa mi ha delusa e amareggiata, perché mi sono sentita sola. Non solo, mi fa anche rivivere una paura per la mia incolumità, perché ho il terrore che possa non essere fatta giustizia neanche negli altri procedimenti a suo carico. È desolante, perché chi sente questa vicenda, magari donne che si trovano nella situazione in cui ero io, si chiede ‘Cosa faccio, denuncio?'Io mi sento di dire che è sempre importante denunciare le violenze però dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che dobbiamo contare solo su noi stessi. L'accusa per maltrattamenti riguardava la violenza psicologica, che è difficile da provare. Le stesse situazioni di cui si compone questa violenza sono difficili e lunghe da spiegare e, secondo me, non sono comprensibili a chi non ha mai provato il sentimento della paura".
Hai trascorso diverse settimane in ospedale per le gravi ferite che Manfrinati di ha inferto. Oggi come stai?
"Fisicamente sempre meglio, anche se devo fare visite praticamente quotidiane, il mio viso tra un annetto avrà una guarigione più o meno definitiva e forse riuscirò anche a parlare normalmente. Le ferite interiori, invece, credo richiederanno molto più tempo. Solo da poco sono riuscita ad andare al cimitero da mio papà. Quello è stato praticamente il mio momento del saluto, visto che non avevo potuto partecipare né al funerale".
Tuo padre è riuscito a salvarti.
"Penso che quella sia stata la dimostrazione, da parte di mio papà, dell'affetto che lui aveva per me e per mia mamma. Perché quando ridai un figlio a una mamma le hai fatto il regalo più grande della terra, la dichiarazione di amore più profonda. Io sarò eternamente grata a mio papà perché mi ha salvata e anche perché ha restituito sua figlia libera a mia mamma. Grazie a lui, oggi mi sento libera".