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Milano, lo sfogo di un’estetista: “Nemmeno un euro dallo Stato, aiutate dai parenti per non fallire”

“Abbiamo chiesto aiuto ai nostri parenti per rimanere aperti, ma lo Stato non ci abbandoni”: a dirlo a Fanpage.it è Catia che, insieme ad altre tre donne, è proprietaria di un centro estetico a Milano. Il suo, come tutti gli altri, ha dovuto chiudere dopo l’approvazione dell’ultimo Dpcm e come tanti non ha ricevuto nessun aiuto dal Governo.
A cura di Ilaria Quattrone
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Lo studio di Catia, chiuso per l'ultimo Dpcm
Lo studio di Catia, chiuso per l'ultimo Dpcm

"Abbiamo chiesto soldi ai nostri parenti per tenere aperto. È una situazione complicata, ma noi non molliamo". A dirlo a Fanpage.it è Catia, proprietaria di un centro estetico – insieme ad altre tre donne – in via Moscova a Milano. La sua è una delle tante attività investite dal Dpcm entrato in vigore il 6 novembre e che ne ha imposto la chiusura. La seconda in pochi mesi. I centri come quelli di Catia, infatti hanno dovuto abbassare le saracinesche già a marzo durante la prima ondata di Coronavirus.

Sono 20mila le richieste degli incentivi a fondo perduto rimaste in sospeso

Come tanti altri titolari di aziende, Catia e le sue socie hanno chiesto gli aiuti economici messi a disposizione dal Governo. Finanziamenti però che, vista la moltitudine di domande, sono andati subito esauriti: "Abbiamo fatto richiesta degli incentivi a fondo perduto. Soldi che ci avrebbero aiutato a pagare l'affitto e le spese. Purtroppo però non sono arrivati. L'Agenzia delle Entrate ci ha infatti comunicato che le risorse sono terminate e che la nostra è una delle 20mila richieste rimaste in sospeso". La mancata erogazione di questo incentivo impedisce al centro di Catia di poter ricevere quelli previsti dal Dl Ristori: "L'invio dei fondi è automatico solo per quelli che hanno ricevuto gli aiuti quest'estate. Non sappiamo quindi veramente come fare. Non siamo contrari alla chiusura, ma abbiamo bisogno di un aiuto dallo Stato che in questo momento è assente e non ci sta dando una mano".

L'aiuto di amici e parenti

Per poter quindi sopravvivere, Catia e le sue colleghe hanno unito le forze: "Abbiamo dato fondo ai nostri risparmi e a quelli dei nostri parenti pur di non chiudere. L'affitto infatti è rimasto sempre lo stesso e, se non vogliamo perdere il finanziamento che ci ha consentito di aprire, dobbiamo comunque resistere". Alle spese di mantenimento dei locali, si uniscono quelle per aiutare le dipendenti a sopravvivere: "Abbiamo due estetiste in cassa integrazione che al momento hanno ricevuto solo quella di marzo, aprile, agosto e settembre e spesso con degli importi irrisori (dai 58 euro ai 200 euro) in qualche modo dobbiamo aiutarle a vivere".

"Chiudere i centri estetici è un atto discriminatorio"

Catia non vuole gettare la spugna dopo che, insieme alle sue colleghe, ha investito tanto sudore e speranza: "Siamo imprenditrici e fa male saperci abbandonate. Ci fa sorridere anche la notizia degli sgravi per chi assume donne quando ci sono altre donne che hanno delle attività e non hanno ricevuto un aiuto. Noi intanto stiamo chiedendo altri finanziamenti alle banche per far fronte al lockdown di marzo e alla chiusura di questo mese". Un sorriso malinconico e pieno di amarezza che si è fatto strada già quando sono state comunicate le chiusure: "Per noi decidere di chiudere i centri estetici e non i barbieri è stato un atto discriminatorio: perché noi sì e loro no? Eppure loro quando radano il cliente sono vicini tanto quanto noi. E anche noi, come loro, abbiamo investito soldi per essere a norma: abbiamo sistemi di sanificazione, robot che sterilizzano i lettini, mascherine e schermi. Abbiamo fatto grossi investimenti, ma nessuno ci sta aiutando".

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