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Margherita Botto morta con il suicido assistito: “Non voleva affrontare una vita di sofferenze”

Antonio Lavieri era un amico di Margherita Botto, la docente che ha scelto di morire in Svizzera con il suicidio medicalmente assistito. A Fanpage.it racconta la grande professionalità della professoressa e della sua grande umanità.
A cura di Ilaria Quattrone
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Margherita Botto è morta il 29 novembre scorso in Svizzera. La docente universitaria ha scelto di morire con il suicidio medicalmente assistito. Ad accompagnarla, c'era il fratello Paolo e Marco Cappato, rappresentante dell'associazione Luca Coscioni. Entrambi, il giorno successivo, hanno deciso di autodenunciarsi in Questura a Milano. Rischiano entrambi 12 anni di carcere. "Conoscendo Margherita, mi aspettavo una scelta simile. È una scelta che farei anche io se dovesse capitarmi una situazione simile. Voglio quindi ringraziare l'Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato e chi si batte per l'eutanasia in Italia. Io trovo veramente assurdo che ancora oggi, per aiuto al suicidio, in questi casi si debba rischiare fino a dodici anni di carcere", ha detto a Fanpage.it Antonio Lavieri, tra i più cari amici di Margherita Botto.

Che rapporto avevi con Margherita Botto?

Ho conosciuto Margherita, 22-23 anni fa, credo fosse il 2001. A quell’epoca io vivevo a Parigi, ma stavo cercando di riavvicinarmi al mondo dell'università italiana. Stavo finendo il dottorato di ricerca e ci fu l’occasione di un contratto all’università di Sassari, dove Margherita ha insegnato. La conobbi proprio in quell'occasione.

Il rapporto non si è mai fermato: fu lei, per esempio, a correggere le bozze della mia tesi di dottorato che discussi poi nel 2007. È un rapporto che è nato in ambito professionale, che si è trasformato, nel corso degli anni, in un'autentica amicizia.

Che tipo di persona era Margherita Botto?

Ho 4 aggettivi con cui definirla: era schietta, tenace, sensibile e autentica. Era una delle persone migliori che io abbia mai incontrato nella mia vita. Dal punto di vista professionale, aveva un grande rigore ed era dotata di una intelligenza delle emozioni. Traduceva con grande sensibilità. È sicuramente una delle migliori traduttrici di letteratura francese che l’Italia abbia avuto negli ultimi decenni.

Che tipo di rapporto aveva con gli studenti?

Era sempre presente, di grande generosità, sempre disponibile ad aiutare, a venire incontro, ma anche di grande rigore e precisione. Una cosa che non piaceva a Margherita era la sciatteria, non sopportava le cose fatte male o fatte perché si dovevano fare e basta. C'era un grande rigore accompagnato anche da una grande disponibilità, anche in termini di tempo.

Eri a conoscenza della malattia? 

Assolutamente sì. Quest’estate le inviai una foto con mio figlio. Le mandai un abbraccio. Lei mi disse che era in ospedale da qualche giorno, che stava facendo alcuni accertamenti e che aveva avuto diversi problemi. Poi ci siamo sentiti un paio di volte, una volta mi ha riposto e un’altra no. Ho saputo dalle nostre amiche comuni come stavano andando le cose e del suo desiderio di rivolgersi alla Svizzera perché non voleva assolutamente affrontare una vita di sofferenze.

Ti aspettavi una scelta simile? 

Conoscendola proprio di sì. È una scelta che farei anche io se dovesse capitarmi una situazione simile. Voglio quindi ringraziare l'Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato e chi si batte per l'eutanasia in Italia. Io trovo veramente assurdo che ancora oggi, per aiuto al suicidio, in questi casi si debba rischiare fino a dodici anni di carcere: trovo che sia incivile perché il diritto alla vita, è anche diritto di poter decidere della propria vita e di autodeterminarsi.

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