Mancata chiusura dell’ospedale di Alzano, l’ex direttore: “Ci chiedevamo cosa c.. stavano facendo”
"Il paragone con la guerra a qualcuno disturba, ma secondo me è il più giusto. Ci siamo trovati di punto in bianco in guerra senza essere preparati a combatterla, ma combattendola con tutte le nostre forze, questo ci tengo a dirlo". Il dottor Giuseppe Marzulli fino al primo ottobre del 2020 è stato il direttore medico dell'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo. La struttura è al centro dell'inchiesta per epidemia colposa aperta dalla procura di Bergamo, che sta cercando di capire perché la Val Seriana e la Bergamasca siano state due delle zone più colpite al mondo dal Coronavirus e se tutto ciò si poteva evitare. Tra gli episodi sotto la lente della procura c'è proprio quanto accadde all'ospedale di Alzano all'inizio dell'epidemia: quando il 23 febbraio 2020, due giorni dopo il primo caso di Codogno, nella struttura venne accertato il primo caso Covid, Marzulli dispose la chiusura del Pronto soccorso, che però venne riaperto dopo appena quattro ore e mezzo. Come si arrivò a quella decisione, che Marzulli non condivise, è uno dei punti centrali dell'inchiesta, ma a Fanpage.it l'ex direttore racconta: "Quello che posso dire è che la nostra direzione generale era in contatto con la Regione Lombardia".
La chiusura del pronto soccorso e la sua riapertura dopo 4 ore e mezza
Nella sua intervista con Fanpage Marzulli ricorda così quel 23 febbraio del 2020: "Ricevetti la telefonata di un medico della Medicina: ‘Abbiamo un caso positivo al Covid'. Disposi la chiusura del pronto soccorso. Mi chiamarono dal Ps, mi dissero: ‘Marzulli, qui siamo tutti preoccupati'. C'era anche la necessità di sanificare i locali, per cui disposi la chiusura. Nel frattempo telefonò la direzione generale dell'azienda e mi dissero che alle 14 ci sarebbe stata una riunione a Seriate. È evidente – aggiunge Marzulli – che questa scelta (la chiusura del pronto soccorso, ndr) fu da loro condivisa: perché se non fossero stati d'accordo mi avrebbero detto come è successo successivamente che avrebbero aperto loro l'ospedale, perché io mi rifiutai di farlo". Riapertura che venne poi decisa a breve: "L'ospedale riaprì dopo circa 4 ore e mezzo, una decisione che non condividevo assolutamente".
Tra i motivi per cui, secondo Marzulli, il pronto soccorso non avrebbe dovuto riaprire c'è il fatto che non era attrezzato per la gestione dei pazienti del Covid: "Un problema apparentemente marginale è quello dei percorsi: vuol dire nel caso di una pandemia avere percorsi differenziati tra i pazienti Covid e non Covid. Torno volentieri al piano pandemico (un altro dei punti al centro dell'inchiesta, ndr). Si sarebbe dovuta fare un'auto analisi delle strutture: se non si avevano i percorsi separati dovevi essere escluso dal trattamento dei casi Covid".
Il racconto dei giorni successivi
Nonostante non condividesse la decisione di riaprire, il 24 febbraio Marzulli ritorna al lavoro: "Sono tornato al lavoro con la consapevolezza che sarebbe successo il disastro. Pur essendo consapevole delle conseguenze, il giorno dopo andai a lavorare e a fare il possibile e l'impossibile per tamponare la situazione". E l'ex direttore medico non è stato il solo a combattere il virus: "Ci sono stati nell'ospedale comportamenti eroici. Un eroe fu Marino Signori, medico della Medicina del lavoro che gestiva i dipendenti: poteva far finta di niente e invece il lunedì mattina alle 7.30 era lì ad Alzano con me a lavorare". Marzulli ricorda inoltre l'impiegato Gennaro Leardi che lavorava con lui e l'ostetrica Ivana Valoti: "Si diceva che avesse fatto nascere metà Val Seriana", ricorda Marzulli. Tutte queste persone sono poi morte per Covid.
La promessa al collega morto per Covid
Nell'eventuale processo che scaturirà dall'inchiesta della procura di Bergamo il dottor Marzulli è pronto a costituirsi parte civile. E a Fanpage.it racconta, in lacrime, un aneddoto mai rivelato: "Era una promessa che feci al dottor Signori, quando cercavamo di fare il possibile e l'impossibile. Di fronte a quell'incapacità di gestire che vedevamo, ci eravamo promessi che se fosse successo qualcosa a uno dei due l'altro avrebbe fatto questa battaglia, avrebbe denunciato quello che era successo. Lui fu uno che era con me a dire: "Ma che caz… stanno facendo?". Una domanda che ancora adesso non ha risposte certe: "Penso abbiano deciso di aprire per non creare allarmismo nella popolazione". Spetterà alla magistratura capire se, per non creare allarmismo, si sia in qualche modo favorita la propagazione del virus nella Val Seriana, con gli esiti tragici che conosciamo.
(Intervista, video e foto a cura di Simone Giancristofaro)