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Manager si licenzia e apre un chiringuito ai Caraibi, poi torna a Milano: “La vita lì non è come credete”

La storia di Antonio Iannone, imprenditore comasco che nel 2015 ha lasciato l’impiego da manager in Svizzera per aprire un food truck di cibo italiano sull’isola di Aruba. “Dopo un paio d’anni sono tornato in Italia, lì era tutto difficile. Ma lo rifarei”
A cura di Francesca Del Boca
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Mollare tutto e aprire un chiringuito in spiaggia? Tutti lo dicono, pochi lo fanno. Tra di loro c'è sicuramente Antonio Iannone, comasco di Albiolo passato dall'impiego come manager in una ditta farmaceutica svizzera a barista di un food truck sotto il sole dei Caraibi. "Ma dopo due anni sono tornato a Milano. Dietro la facciata turistica, fatta di mare e colori, la Aruba di tutti i giorni è ben diversa".

È il racconto che l'imprenditore lombardo affida a Il Milanese Imbruttito, dopo due anni di vita sull'isola caraibica. Tutto inizia nel 2015, quando Antonio decide di cambiare vita: la routine in ufficio è diventata ormai una gabbia. "Stabile ma terribilmente monotona e abitudinaria, per quanto appagante dal punto di vista economico", spiega. "Sveglia, corsa, doccia, 90 minuti di auto, ufficio, pausa pranzo, ufficio, 90 minuti di macchina, cena, film, letto. Lavoravo per avere una casa sempre più grande, una macchina sempre più potente, un orologio sempre più costoso. In breve, mi stavo lentamente spegnendo".

È a quel punto che Antonio, da sempre appassionato di cucina e gastronomia, mette in atto un progetto a lungo accarezzato: aprire un food truck di prelibatezze italiane sul lungomare di Aruba, dicendo addio allo stipendio d'oro della ditta farmaceutica in Svizzera per trascorrere le giornate tra lasagne, parmigiana, panini con salsiccia e porchetta da offrire a turisti e abitanti del paradiso caraibico.

Pochi mesi dopo, così, prende moglie e figlia e si trasferisce oltreoceano. Ma la realtà, spesso, è ben diversa dall'immaginazione. E nel giro di un paio d'anni Antonio e famiglia decidono di fare ritorno a casa, nel Comasco. "Sì, perché dietro la facciata turistica, fatta di spiagge e colori, la Aruba di tutti i giorni è ben diversa. Diseguaglianza sociale, povertà, nessuna educazione alimentare. C'è da considerare poi che, essendo un'isola, tutto è estremamente caro".

"In mezzo al mare, poi, ogni cosa è difficile da ottenere. Anche per un banale pezzo di ricambio possono volerci settimane", racconta oggi. "E poi gli arubiani non sono proprio il popolo più ospitale del mondo. Dimenticate i latini caldi e simpatici, e pensate ad un popolo isolano colonizzato dagli olandesi… poi ovviamente ci sono le eccezioni".

"Comunque non mi pento di niente, rifarei tutto", mette in chiaro Antonio, che oggi in Italia fa il freelance e si occupa di innovazione in campo agroalimentare. Senza più i ritmi alienanti dell'ufficio e del pendolarismo da frontaliere con la Svizzera. "Certo, per essere felice e stabile da freelance è necessario davvero reinventarsi quasi giornalmente, ma forse il bello è proprio quello". Un po' di nostalgia? "Per le spiagge, il mare nel tempo libero. Questo è quello che ci manca di più dei Caraibi". Per il resto? "Nessun rimpianto".

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