Malata terminale a 25 anni non può ricongiungersi con il marito: “Manca solo il visto, ma aspettiamo da mesi”
Saima ha 25 anni. Originaria del Bangladesh, vive a Milano da quattro anni dove ha lavorato come cameriera. Lo scorso gennaio ha scoperto di avere un tumore al quarto stadio: si tratta di un adenocarcinoma del colon-retto. Quando ha scoperto la malattia, ha dovuto cambiare radicalmente vita: "Non posso più lavorare. Il problema è che a Milano vivo da sola. Ho solo uno zio, con il quale però non parlo", ha raccontato a Fanpage.it.
I parenti della 25enne vivono tutti nel suo paese d'origine. Tra loro c'è anche il marito, Md Mohsin. La coppia sta cercando in tutti i modi di poter ricongiungersi. Ad aprile scorso Saima ha infatti inviato una richiesta di ricongiungimento familiare alla Prefettura di Milano. Ha allegato anche tutta la documentazione fornitale dai medici che l'hanno presa in cura.
Nonostante per questo tipo di richieste ci sia un'attesa di due anni, la Prefettura meneghina è riuscita a smaltirla in un mese. Le è stato dato quindi il nulla osta. Il marito ha presentato a maggio la richiesta di visto in ambasciata in Bangladesh, ma non ha ancora ricevuto una risposta: da cinque mesi è in attesa nonostante i solleciti inviati da lui stesso, dai servizi sociali dell'ospedale Niguarda di Milano – dove la 25enne è in cura – e dall'associazione Naga, che si occupa di aiutare persone straniere in Italia, alla quale Saima si è rivolta.
"Mi sarebbe d'aiuto averlo accanto. Mi sottopongo alla chemioterapia ogni due settimane. Ho bisogno della mia famiglia, qui. Ne sento troppo la mancanza", ha spiegato con una voce carica di stanchezza e rabbia.
"Dal mio Paese non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta. Stiamo aspettando da cinque mesi. Mio marito è andato all'ambasciata, ma gli hanno detto che saranno loro a dargli notizie sul visto. Gli assistenti sociali dell'ospedale Niguarda hanno più volte chiesto notizie, ma non hanno ricevuto risposta", ha ancora continuato.
"Io continuo a mandare e-mail, ma loro non mi rispondono. Non mi fanno nemmeno sapere se manca qualche documento o quanto tempo ci vorrà. Io sono sola e non ce la faccio più. Sono stanca. Per tornare nel mio Paese ci vorrebbero molti soldi e, inoltre, non ci sono buone cure. Ho anche provato a far venire qui mia madre, ma anche per il suo visto non ho avuto alcuna risposta".
L'associazione Naga da circa due settimane sta aiutando la 25enne. Anche i volontari hanno inviato diversi solleciti all'ambasciata: "In questo caso c'è in realtà una doppia storia. Gli stranieri che fanno domanda di ricongiungimento familiare a Milano devono solitamente aspettare due anni. La Prefettura infatti impiega diverso tempo a rispondere. Questo significa che ha un importante carico di lavoro da smaltire. In questo caso però le cose sono andate diversamente. Saima ha presentato la domanda con allegati alcuni certificati scritti da medici che hanno spiegato l'urgenza della richiesta. La ragazza infatti si sta sottoponendo a terapie pesantissime e vive da sola. Per questo motivo è stata certificata la necessità per lei di avere vicino il marito", ha spiegato Nadia Bovino, volontaria del Naga.
"La Prefettura, nonostante l'arretrato di lavoro che ha, è riuscita dopo un mese a dare il nulla osta. Una volta ricevuto questo, il marito si è rivolto all'ambasciata e ha chiesto il visto. Da quel momento è in attesa. I servizi sociali hanno scritto all'ambasciata e in una sola occasione hanno ricevuto risposta: è stato detto che stanno lavorando, ma che stanno andando in ordine. Due settimane fa si è rivolta a noi. Abbiamo inviato una prima richiesta all'ambasciata, ma non abbiamo ricevuto risposta. Stiamo inviando un sollecito a settimana", ha continuato Bovino.
"È un'agonia. E ogni giorno per lei è importante. Sta affrontando tutto l'iter sanitario completamente da sola. Qualche volta è accompagna da una giovane, una ragazza originaria della Tunisia, che le dà sostegno e l'aiuta. Non è però lo stesso di avere qui un parente vicino".