Lombardia, epidemiologo La Vecchia: “È vero, i dati migliorano: possibili riaperture a dicembre”
Non c'è solo l'indice di contagio: in Lombardia molti dati stanno iniziando a migliorare. "Ma è presto per abbassare la guardia: è indispensabile restare sotto i mille ricoverati in terapia intensiva. E bisogna essere consapevoli che i morti continueranno ad aumentare ancora, perché quello è l'ultimo indicatore a calare". Il professor Carlo La Vecchia, docente di Epidemiologia alla Statale di Milano, analizza per Fanpage.it la situazione della pandemia di Coronavirus in Lombardia. Dopo l'aumento incontrollato dei contagi e il successivo lockdown, negli ultimi giorni sono emersi i primi dati in controtendenza, che hanno fatto sperare in un miglioramento.
L'indice di contagio la scorsa settimana è sceso sia a Milano che in Lombardia. È una buona notizia?
L'indice di contagio Rt è un indice molto impreciso. Innanzi tutto basa sulla data di comparsa dei sintomi, che non è pubblica, e anche per l'Iss che lo calcola presenta incertezze. Comunque nella sua imprecisione riflette anche altri indicatori sull'epidemia e ci fornisce informazioni utili.
Come si sta sviluppando l'epidemia in Lombardia?
Abbiamo avuto un'esplosione largamente inattesa. La prima fase, tra il 5 e il 25 ottobre, è stata di tipo esponenziale. Da fine ottobre la crescita ha continuato, e sta continuando anche negli ultimi giorni, in maniera lineare. Allo stesso modo i nuovi casi – che pur risentono molto del numero dei tamponi fatti – sono più o meno stabili nelle ultime due settimane. Certo, ce ne sono ancora tantissimi. Il mio sospetto che il 3-5% popolazione sia attualmente positiva. Ma è normale: siamo in fase di espansione.
Con questi dati a disposizione, è possibile parlare di miglioramento?
La crescita lineare in un'epidemia è strana e complessa e riflette diverse componenti. Un'epidemia, infatti, anche con Rt basso, tende sempre a essere esponenziale. Il fatto che questa ora non lo sia implica altri fattori: c'è l'effetto delle misure di contenimento, ma anche il fatto che la diffusione della malattia in alcune zone era già stata importante in passato, quindi ora c'è una certa immunità. Non va chiamato "effetto gregge", ma sicuramente provoca una compressione della diffusione del virus in quella parte di popolazione.
Questo andamento si riflette anche sugli ospedali e sulle terapie intensive?
I miei colleghi clinici – pneumologi e responsabili dei pronto soccorso – confermano che la pressione è un po' diminuita. Questo avviene anche per l'apertura di strutture per pazienti Covid non gravi, che alleggeriscono i reparti. Il dato più favorevole degli ultimi giorni è la tendenza a crescere meno dei ricoverati in terapia intensiva. Nelle settimane precedenti crescevano di 30 al giorno, negli ultimi giorni meno di 20. Stiamo sempre parlando di aumenti, però la tendenza è tale che la speranza di tutti è quella di riuscire a non superare la capacità di gestione delle terapie specialistiche. A inizio aprile avevamo 1300 persone in terapia intensiva, se restiamo sotto i mille il sistema regge.
Il bilancio dei decessi però continua a crescere.
I decessi sono molti meno rispetto a marzo e aprile. Parliamo mediamente di 145-150 al giorno in Lombardia nell'ultima settimana, in primavera erano il triplo. Questo è dovuto al fatto che il servizio sanitario ha imparato a gestire meglio i casi. Ciò nonostante i morti continuano ad aumentare e questa sarà l'ultima variabile a calare: mi aspetto che ancora per qualche settimana non diminuisca.
Il timore è che, con gli ospedali pieni, alcune persone possano morire senza ricevere cure.
C'è qualcosa di strano in questi decessi: solo una piccola parte esce dalle terapie intensive, la maggior parte ancora non arriva nemmeno in rianimazione. Molti sono pazienti fragili e molto anziani. Ricordo che questa è una malattia insidiosa, e senza dubbio ci sono dei morti che non superano il pronto soccorso o i reparti di medici. Qualcuno forse non ci arriva nemmeno, ma si tratta di una minoranza. Ciò detto, il sistema di gestione e cura è enormemente migliore oggi.
Fin qui la descrizione dei dati, ma come si riflette questo andamento sulle nostre vite?
È semplice: bisogna stare ancora molto attenti. In questo momento andare a cena da un amico è più rischioso di quanto non fosse andare in discoteca la scorsa estate. Ora è il momento di stare chiusi nel nucleo familiare.
Eppure si parla già di allentare le misure, alcuni sindaci lombardi vorrebbero zone arancioni locali.
È possibile ipotizzarlo, ma non abbiamo certezze. Di certo questa grande diffusione del Covid non può durare in eterno. Ci sarà un picco e poi un livellamento, è fisiologico. Questi virus, se lasciati andare, hanno un periodo di diffusione di 70-90 giorni. Questo contagio sarà più lungo, perché lo stiamo rallentando, ma finirà. Per quanto riguarda le chiusure, tra zona rossa e arancione non c'è poi una enorme differenza.
Possiamo già pensare di rinunciare ad alcune restrizioni?
Le misure di contenimento hanno schiacciato le curve, hanno avuto un effetto positivo. Chi fa modelli si aspetta in generale un altro picco entro fine mese e una discesa successiva, quindi salvo sorprese – che con il Covid ci sono sempre – l'ipotesi più probabile è che dicembre vedrà una riduzione. Tranne i decessi, ci aspettiamo che gli indicatori prenderanno un andamento favorevole. Il prossimo Dpcm dovrà tenere conto di due cose: la scuola, perché lasciare una generazione senza istruzione per un anno avrà conseguenze catastrofiche e nessun paese europeo ha le scuole chiuse. E poi gli aspetti socio-economici.
Che Natale ci aspetta in Lombardia?
È ancora presto per dirlo. Siamo stati scottati dall'estate, anche se le conseguenze delle aperture di luglio e agosto ci sono state, ma non hanno fatto esplodere l'epidemia a ottobre. Secondo me anche la popolazione non tenderà più a comportamenti di grande eccesso. Per Natale il consiglio deve essere di usare in privato le stesse precauzioni che si usano in pubblico. Il rischio è maggiore quando ci si rilassa, ormai l'abbiamo capito.