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Lo scrittore Jonathan Bazzi non esce di casa da mesi: “Ordino i farmaci a domicilio, uso il telefono 10 ore al giorno”

“Un tempo, odiavo l’idea di un giorno trascorso totalmente al chiuso. Non è più così. Ora ordino la spesa, e persino i farmaci, a domicilio, seguo corsi online”. Lo scrittore Jonathan Bazzi racconta la sua vita degli ultimi mesi trascorsa quasi interamente dentro casa.
A cura di Giulia Ghirardi
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"Da alcuni mesi evito di uscire di casa. Senza che lo decida davvero, le giornate iniziano, finiscono ed è successo di nuovo. Un tempo, odiavo anche solo l’idea di un giorno trascorso totalmente al chiuso: avevo bisogno di muovere il corpo, cambiare scenario. Non è più così". A raccontare è lo scrittore Jonathan Bazzi, autore di Febbre (Fandango, 2019), opera finalista al Premio Strega, Libro dell’Anno di Fahrenheit-Radio3, vincitore del Bagutta Opera Prima, del Premio Sila, del Premio Kihlgren e del Premio POP.

"Lavoro a casa ormai da anni, ma prima andavo al supermercato, frequentavo le lezioni di yoga e di altre discipline che mi incuriosivano", ha continuato a spiegare Bazzi a Il Corriere della Sera. "Ora ordino la spesa, e persino i farmaci, a domicilio, seguo corsi online, faccio i saluti al sole incastrato tra il tavolo e il divano, rimando appuntamenti e uscite fino a dimenticarmene, interagisco con la mia famiglia nel gruppo WhatsApp, nonostante ci separino venti minuti di automobile".

"Non posso dire di esserne scontento: per un verso, è esattamente quello che voglio", ha spiegato ancora Bazzi. "Ho bisogno di silenzio e tempi lunghi per lavorare, mi piace cucinare il cibo che mangio, scegliere se questo articolo preferisco scriverlo sdraiato sul tappeto o rannicchiato tra i cuscini, alle cinque del mattino o alle undici di sera. Solo che, quando parliamo di equilibro e salute mentale, forse non ci rendiamo conto dell’influenza che la solitudine autoimposta, desiderata, ha sulla nostra vulnerabilità. Una sorta di estensione della sindrome della capanna di cui si parlava negli anni del Covid" che fa avvinghiare allo spazio domestico con bramosia totalitaria. "Su TikTok va di moda celebrare quando qualcuno con cui hai un appuntamento annulla l’incontro: è una gioia che capisco benissimo. E meno usciamo, meno siamo disposti a uscire. I nostri desideri, però, non sono sempre lungimiranti: tutto questo, a lungo andare, ci rende più forti o ci indebolisce?", si è interrogato lo scrittore.

La comunicazione digitale inibisce la ricerca di contatti diretti

"Vogliamo stare a casa, in una separazione che è fisica ma, all’apparenza, non radicale, dato che viviamo con lo smartphone in mano. Gli esperti dicono che la comunicazione digitale inibisce la ricerca di contatti diretti: la voglia di vedersi dal vivo, nell’iperstimolazione della messaggistica, retrocede sempre più sullo sfondo. Smettiamo di sentirne il bisogno", ha spiegato Bazzi. "La sezione apposita del telefono mi informa che ho una media giornaliera di utilizzo pari a 10 ore e 24 minuti: il 17% in meno rispetto alla scorsa settimana. Sullo smartphone faccio molte cose, compreso sentire amici e conoscenti. Dalle sei del mattino a mezzanotte, in un flusso ininterrotto di link, video, sticker e meme. Se vogliamo passare così tanto tempo da soli è perché, oggi, non ci sentiamo mai davvero tali: lo sciame social ci segue dappertutto, i contatti sono intensi, sebbene confinati allo schermo".

"Gli altri, in questa modalità mediata, sono spettri che ci attivano o intristiscono, esaltano o inquietano, ma sempre in modo controllato. La presenza altrui è resa, in teoria, meno ingombrante dall’incorporeità: la separazione dovrebbe allentare l’ansia da prestazione sociale – fino a passare intere giornate in pigiama, il cosiddetto goblin mode –, e permette anche di concentrarsi su sé stessi. Casa, comfort e cura di sé compongono una costellazione ricorrente in questo isolamento digitalmente affollato. Nella loro assenza materiale gli altri ci condizionano molto più che in passato, in modo più frenetico, normativo, spietato: il nostro isolamento non rinuncia davvero alla socialità, la rimanda di continuo, e si modula, ansiosamente, al suo cospetto".

Così, "le nostre case si fanno infestate", ha concluso Bazzi. "È un po’ così che rischiamo di finire: talmente sulla difensiva, e appartati, da contrarre la tana fino a renderla la tagliola nella quale diventiamo la più facile delle prede".

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