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Violenza ostetrica: tutte le testimonianze

L’incubo di Giada per interrompere la gravidanza: “O fai seppellire il feto o non puoi abortire”

“La mia è la storia di tante”. Per poter accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, Giada ha dovuto affrontare un calvario durato più di un mese. In ventidue giorni è stata sottoposta a cinque ecografie in cui le hanno fatto sentire più volte il battito, ed è stata obbligata a firmare per la sepoltura del feto: “Altrimenti non mi avrebbero fatto abortire”.
A cura di Natascia Grbic
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"Se non firmi per la sepoltura del feto non ti facciamo interrompere la gravidanza". Un ricatto e una violenza: questo si è trovata a dover subire Giada (nome di fantasia, ndr), una ragazza residente in Lombardia, quando ha comunicato all'ospedale che voleva accedere all'ivg, l'interruzione volontaria di gravidanza. La ragazza è stata offesa, costretta a fare almeno cinque ecografie, obbligata ad aver a che fare con i ‘Centri di aiuto per la vita'. Da quando ha scoperto di essere incinta, due giorni dopo il ritardo del ciclo, ha dovuto aspettare più di un mese per poter abortire. Una violenza fisica e psicologica che ha deciso di condividere, in modo da aiutare altre donne che hanno subito la sua stessa esperienza.

La testimonianza di Giada

"Ho scoperto di essere incinta a novembre 2021 dopo un ritardo di soli due giorni. – ci spiega – Sono andata immediatamente al consultorio per farmi fare il certificato per l'ivg, ma al suo posto mi hanno fissato un appuntamento per una visita ginecologica e una consulenza psicologica, dicendomi che non potevo rifiutarla. Le interruzioni venivano effettuate solo in un ospedale della mia città  e solo con il metodo chirurgico. Ma io non avevo nessuna intenzione di parlare con uno psicologo e dato che ero nei tempi volevo accedere all'ivg con il metodo farmacologico".

Giada ha trovato un ospedale dove somministravano la Ru486, a mezzora da casa sua. "Ho telefonato e mi hanno assicurato che se fossi andata il giorno dopo mi avrebbero fatto il certificato per iniziare l'iter. Stupidamente non ho chiesto con chi stavo parlando, perché le cose sono poi andare molto diversamente".

L'attesa infinita per abortire

Quando Giada si è presentata in ospedale, le infermiere l'hanno informata che non le avrebbero fatto il certificato per l'ivg. "Non è così che funziona, mi hanno detto. Sostenevano che il certificato me l'avrebbe dovuto fare o un consultorio o il mio medico di base. Hanno poi aggiunto che se dal test risultavo incinta da 2/3 settimane, avrei dovuto aspettare perché la gravidanza si sarebbe potuta interrompere da sola".

Giada ha chiesto ai medici di farle un'ecografia, in modo da essere sicura della gravidanza. "Hanno accettato, ma solo a patto che la pagassi come prestazione non legata all'aborto. Durante la visita non si è visto l'embrione, e mi hanno consigliato di fare le beta (un esame per rilevare l'ormone della gravidanza) due volte per essere certa che stesse andando avanti".

Il rifiuto di fare l'ivg senza il battito del feto

Dopo le beta, Giada ha dovuto pagare un'altra visita presso un ginecologo privato in modo da avere un certificato per accedere all'interruzione. "Da quest'altra ecografia la gravidanza è stata accertata, quindi sono tornata all'ospedale. Ho trovato un altro medico che mi ha fatto un'altra visita, dicendo che non sentiva il battito. Mi ha detto che così non potevo abortire, che avrei dovuto aspettare un'altra settimana, in cui comunque avrei potuto ‘riflettere'. Anche la responsabile delle ivg mi ha detto che senza battito non potevano darmi nessun appuntamento".

Le offese per aver deciso di abortire

Passa un'altra settimana. Intanto la gravidanza, non desiderata, procede. Giada torna in ospedale, speranzosa di poter finalmente avere il suo appuntamento per l'interruzione, ma anche qui si scontra con un muro di gomma. "Trovo ancora un altro medico, che mi fa un'altra ecografia. ‘Quasi 40 anni e non sanno ancora usare gli anticoncezionali', commenta. Aggiungendo ‘la gravidanza procede benissimo e si sente battito'. Chiedo di nuovo di poter prendere appuntamento per l'ivg, ma il dottore mi dice che non se ne occupa e devo parlare con la responsabile, che però non c'è. Mi invitano a tornare il giorno dopo, e finalmente mi fissano l'appuntamento. Il primo è solo dopo un mese, e ormai devo procedere per forza con il raschiamento. Ho accettato, altrimenti sarei dovuta partire da zero in un altro ospedale ma non ne potevo più. Mi fanno l'ennesima visita, l'appuntamento per l'ivg era stato fissato qualche giorno prima di Natale. Mi viene inoltre detto che se il tampone covid che avrei dovuto fare due giorni prima fosse stato positivo, non avrei potuto abortire".

L'obbligo di seppellire il feto

Due giorni prima dell'intervento Giada fa il tampone covid, che risulta negativo. Si reca nel reparto di ginecologia per avere tutte le informazioni sul ricovero, e la responsabile le dà un foglio in cui le chiede di firmare per la sepoltura del feto. Nel riquadro c'è in chiaro la scritta ‘Firma del genitore'. "Ho avuto un sussulto. Ho chiesto spiegazioni e mi hanno risposto che per legge è così, ‘ che dovremmo fare, buttarli in pattumiera?'. Mi informa che li seppellivano anche quando non era consentito e che sarei dovuta essere contenta che ci fosse qualcuno a occuparsene".

"Ho chiesto dove li seppellivano, e la responsabile mi ha spiegato che il Comune aveva dato loro uno spazio, e con il Centro di aiuto per la vita che si trova fuori il reparto andavano a tumularli. Ho domandato cosa sarebbe successo se mi fossi rifiutata di firmare: mi ha risposto che non mi avrebbero fatto abortire".

Stanca da quasi due mesi di rimpalli, Giada firma per la sepoltura del feto, e la mattina successiva si reca in reparto per procedere con l'ivg. "Ero con altre due ragazze in camera, ci hanno dato una pastiglia. Abbiamo chiesto a cosa servisse, ci hanno risposto ‘ma lo sapete cosa siete a fare qui?'. A causa dei forti dolori di pancia abbiamo chiesto un antidolorifico, che ci hanno dato solo dopo un'ora perché avevano altre pazienti da seguire e dovevano fare altre cose. Alle 13 finalmente è arrivato il mio turno, ed è tutto finito. Per poter accedere all‘ivg ho passato un mese terribile. Sono stata in ospedale sei volte in 22 giorni, ho fatto cinque ecografie. Sono stata umiliata e giudicata. E sono stata costretta a firmare per una sepoltura che mai avrei voluto ci fosse".

Obiezione respinta: "Combattiamo narrazione violenta su aborto"

La testimonianza di Giada è stata raccolta da Obiezione Respinta, progetto transfemminista parte della rete nazionale Non una di meno, che nasce con l'intento di mappare l'obiezione di coscienza in Italia. "Quella di far ascoltare il battito del feto a chi vuole o deve abortire è una pratica che è stata normalizzata e che viene usata per scoraggiare le donne a interrompere una gravidanza – spiega Eleonora Mizzoni, attivista di Obiezione Respinta – Sono anni che ci arrivano queste testimonianze, la prima risale al 2006".

"Denunciare queste violenze non è semplice e non si ha spesso voglia di farlo da sole. La nostra chiamata a raccontare le proprie esperienze serve anche a riempire lo spazio pubblico con queste storie, che altrimenti rimarrebbero invisibili. Anche perché dall'altra parte abbiamo una narrazione antiscientifica, manipolatrice e violenta, che possiamo vedere in questi giorni con le campagne portate avanti da Pro Vita e Famiglia, che altro non sono che la ripetizione della campagna elettorale di Giorgia Meloni. Che molto furbamente parla di tutela della 194 e rafforzare gli articoli che permettono alle donne di non abortire, come se fossimo in un paese in cui questo succede. Nella realtà dei fatti, invece, l'obiezione è aumentata, il farmacologico continua ad avere livelli bassissimi di accesso, e ci sono regioni intere, come le Marche, dove abortire è impossibile".

In occasione dell'8 marzo Non Una di Meno ha lanciato un manifesto sulla salute sessuale e riproduttiva che approfondirà proprio questi temi. "Sarà una risposta concreta agli attacchi che stiamo subendo – conclude Mizzoni – Molte campagne antiabortiste si basano sulla disinformazione, fatta appositamente per arrivare poi a quello che vorrebbero fare Gaspari &co., ossia equiparare lo status giuridico del feto a quello di una persone vivente. Così che chi fa abortire è automaticamente un assassino".

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