Licenziata la donna violentata a Milano: “Prima dello stupro volevano promuoverla, ora la cacciano per inefficienza”
Prima lo stupro di gruppo in un locale sui Navigli nella notte del 16 marzo 2023, poi il licenziamento, a un anno di distanza, da parte dell'azienda milanese per la quale lavorava. Non c'è pace per la manager 32enne vittima di violenza sessuale perpetrata da tre giovani in una delle zone più frequentate dalla movida milanese. L'avvocato della donna, Alexander Boraso, spiega a Fanpage.it: "La mia cliente è molto provata, il lavoro era per lei un appiglio per risollevarsi dopo la terribile esperienza dello scorso anno".
"Il licenziamento – continua il legale, al quale si è rivolta la manager per intentare una causa civile nei confronti dell'azienda – è stato inaspettato e senza preavviso, al contrario, la mia cliente doveva andare a parlare con le risorse umane per una promozione che le era stata promessa l'anno precedente e invece si è trovata la lettera in mano. Sul momento ha avuto un malore ed è stata soccorsa dal 118″.
Un foglio su cui viene scritto nero su bianco che la donna non rientra nei piani di ridimensionamento aziendale dell'impresa. Quindi, tecnicamente, "licenziamento per giusta causa":
In un’ottica di maggior efficienza abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione di “Service Merchandiser” da lei attualmente ricoperta e ridistribuendo le sue attuali mansioni tra altri dipendenti attualmente impiegati presso di noi. (…) La informiamo che, dopo attenta verifica, abbiamo constatato l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni.
Siamo a marzo 2024 e la donna è rientrata al lavoro da settembre 2o23, dopo un periodo di mutua servito per riprendersi fisicamente e psicologicamente, con costanti terapie. "Stava meglio – spiega l'avvocato Boraso -, ma non era ancora riuscita a superare il trauma. Ha voluto rientrare il prima possibile, senza nemmeno usare tutti i giorni di permesso per le cure, per non mettere in difficoltà l'azienda e per concentrarsi sul lavoro che amava, però era difficile per lei sostenere i ritmi di prima".
Ritmi "da stacanovista", precisa il legale: "Era operativa anche 12 ore al giorno, sempre in viaggio. Prima della violenza era la punta di diamante, perché non si tirava mai indietro e aveva grandi ambizioni, poi l'episodio di cui è stata vittima l'ha inevitabilmente cambiata".
E infatti si legge nella lettera:
Il mercato in cui opera la società richiede il raggiungimento e il mantenimento di adeguati livelli di profittabilità.
Ma, oltre alla produttività, l'ipotesi della difesa è anche quella che l'azienda, inizialmente solidale verso la propria dipendente a seguito dello stupro, temesse un ritorno negativo sull'immagine: "Erano circolati alcuni filmati della violenza – spiega Boraso – e può darsi che la società avesse paura di perdere credibilità agli occhi dei clienti, visto che la mia assistita era molto esposta, rappresentando il brand nei centri commerciali".
Anni di sacrifici e di speranze che si concludono con cinquemila euro offerti dall'azienda per evitare l’impugnativa di licenziamento: denaro che la 32enne non ha accettato. "Faremo ricorso al Tar", dice l'avvocato.
Nel frattempo prosegue il processo penale a carico dei tre uomini, tra cui due gestori del pub in cui è avvenuto lo stupro di gruppo. Uno degli imputati, 23enne, ha patteggiato scegliendo il rito abbreviato, ed è stato condannato a 3 anni e 7 mesi di reclusione. Per gli altri due, entrambi di 27 anni, si procede con il rito ordinario. L'accusa è quella di aver approfittato dello stato di ubriachezza della donna per avere ripetuti sessuali senza il suo consenso.
"È una vicenda che sta segnando profondamente questa giovane donna – conclude Boraso -, costretta a rivivere nell'iter giudiziario tutti i momenti della violenza e a sentirsi talvolta quasi colpevolizzata".