L’ex sindaco Albertini: “Milano sta perdendo la sua identità. Se il centrodestra vuole vincere, punti su civico”
Gabriele Albertini, già sindaco di Milano per due mandati dal 1997 al 2006, poi parlamentare europeo per due legislature dal 2004 al 2013 e senatore dal 2013 al 2018, si racconta a Fanpage.it a 360 gradi, toccando i temi più scottanti che riguardano il capoluogo meneghino. Oltre alla questione sicurezza e a come immagina il futuro di Milano, Albertini ha spiegato che alle prossime elezioni comunali, che coinvolgeranno il capoluogo meneghino nel 2027, "forse la candidatura che potrebbe far prevalere il prescelto del centrodestra, dovrebbe avere un connotato più civico e meno politico".
Sindaco Albertini, i recenti gravi episodi di criminalità e di violenza registrati a Milano sembrano avere fatto esplodere, in tutta la sua interezza, la questione sicurezza nel capoluogo lombardo. Dove stiamo andando, secondo lei?
È innegabile che dal punto di vista dei dati acquisiti dalla Questura, la criminalità di strada – che non chiamerei con un termine assolutamente inappropriato microcriminalità, ma predatoria e indistinta perché colpisce chiunque – è aumentata negli ultimi anni e in percentuali significative. Tutti noi abbiamo vissuto qualche episodio che racconta fatti del genere. Mia moglie Giovanna e io ne siamo stati vittime. E stiamo parlando di fatti avvenuti a Citylife davanti a casa.
Mia moglie ha subìto uno strappo di catenine che portava al collo da parte di un uomo straniero e io, mentre ero nei pressi delle Tre Torri a Citylife che portavo a spasso il cagnolino di miei amici, mi sono avvicinato, non intenzionalmente, a un gruppo di giovani stranieri, che hanno cominciato a aizzarlo, con l'evidente scopo di provocarmi e poi di divertirsi a bullizzarmi. Anziché reagire o scappare, mi sono fermato. A quel punto ho guardato intensamente in mezzo agli occhi il presunto capo che stava camminando verso di me: lui deve avere percepito qualcosa e poco dopo si è allontanato.
La criminalità predatoria – sono dati del Questore – per circa il 28 per cento è commessa da poco più dell'1 per cento della popolazione e cioè dalla componente di immigrazione illegale, che a Milano e nelle grandi città, ha raggiunto numeri e livelli di allarme sociale. Questo argomento non c'entra con il colore politico dell'Amministrazione, ma fa riferimento alle sue priorità.
Da più parti si dice che il Sindaco Sala, in questo secondo mandato, stia fallendo su più fronti, in primis quello della sicurezza.
Questa Amministrazione non ha posto tra le sue priorità la sicurezza, ma ha sempre minimizzato la questione. L'attenzione è tutta concentrata sulle piste ciclabili e l'ecologia. Milano è l'unica città in cui non si può girare con un diesel Euro 6 neanche pagando l'accesso. Quindi le priorità sono queste mentre, per almeno un decennio, non sono state reintegrate le forze di polizia
dell'Amministrazione comunale. La polizia locale non ha avuto rinforzi, piani di assunzione, investimenti in tecnologia o, se li ha avuti, li ha avuti in maniera del tutto insufficiente.
Milano è stata toccata pesantemente da un fenomeno esogeno come l'immigrazione illegale. Essendo una città attrattiva sotto ogni aspetto è frequentata da decine di migliaia di immigrati illegali che hanno un profilo criminogeno (e qui non si tratta di essere né razzisti né inumani).
La telenovela di San Siro, si arricchisce continuamente di colpi di scena e di nuovi capitoli
Mi trova in piena solidarietà umana con il sindaco Sala. Fare il sindaco di una grande città sopra il milione di abitanti vuol dire avere responsabilità politiche e istituzionali equivalenti a un ministro di serie A con grosso portafoglio. La durata poi è di 10 anni se sei rieletto. In più, c'è il secondo e inenarrabile peso da portare, che è quello di essere l'amministratore delegato di una grande impresa di servizi (a Milano l'aggregato holding del Comune è di 40mila persone, tra diretti e occupati nelle aziende controllate o partecipate), i cui azionisti sono anche i clienti.
Ogni scelta, dalla buca per terra allo scenario della città da qui a 10 anni, lo vede responsabile. Fatto salvo questo però c'è qualcosa che aiuta a essere in una situazione critica. La questione dello stadio di San Siro, (che è giusto chiamare stadio Meazza, così come l'Arena Civica è stata da me intitolata Arena Gianni Brera, anche se nessuno la chiama così), è ferma da cinque anni.
La delicata sensibilità per non scontentare la sua componente politica, che io definisco "verde talebana", ha portato il Sindaco Sala a non decidere. Che il tempo metta a posto le cose può valere per argomenti che non riguardano ciò che è da fare, ma che hanno a che vedere con le tendenze, con aspetti sociologici e psicologici della realtà. Ma quando c'è una necessità di gestione di capitali e risorse, lo stadio diventa un alveo in cui si realizzano sia le partite di calcio, sia attività ludiche di varia natura, di centri commerciali, di ospitalità. Questa è una necessità che il vecchio San Siro/Meazza non può più affrontare soprattutto se poi aggiungiamo che l'intervento di privati, a suon di miliardi, riqualificherebbe l'intera area.
Ora, questo è il punto: l'Amministrazione Sala, nel secondo mandato, si è caratterizzata, a mio modo di vedere, per essere meno civica e più politica e ideologica. Lo stesso sindaco Sala, che veniva dall'impresa, nel primo mandato aveva il ruolo di un manager che svolgeva un'attività politica. Poi si è iscritto ai Verdi e, da quel momento, il suo connotato è quello. Pensiamo che il traffico incide per il 12 per cento dell'inquinamento e sembra che il 100 per cento dell'attenzione sia dedicato a bloccarlo.
Che cosa le piace di più di Milano? Che cosa, invece, non le piace? E qual'è la Milano che vorrebbe?
Di Milano, la cosa che mi piace di più sono i milanesi. 25 anni fa, nell'anno del Giubileo, ero a Roma, nell'ufficio dell'allora sindaco Rutelli. Mi offrì una vista straordinaria. Attraversammo un piccolo vestibolo e ci affacciammo sul balconcino che dà sui Fori Imperiali. Ebbi un momento di vertigine. Era uno spettacolo straordinario.
Rutelli notò che stavo barcollando, mi accompagnò all'interno, si sedette molto amabilmente dallo stesso lato della scrivania e mi disse: "Vedi Gabriele, ti capisco. È uno spettacolo straordinario. Quando capita che sono assediato, come tutti i sindaci, dai problemi, dallo stress, dalle cose che non vanno, allora mi rivolgo allo spettacolo che hai visto e ritorno a sedermi a questa scrivania, rincuorato. Capisco, quindi, che ti abbia colpito la bellezza di Roma, la sua gloria, la sua storia, la sua civiltà millenaria, però c'è una cosa che ti invidio: sono i milanesi. Non c'è un'altra comunità, certamente in Italia, ma forse anche in Europa, che sia nel presente che nel passato, si sia caratterizzata per tanta capacità di fare, di impegnarsi, di migliorarsi, di accogliere, di inventarsi una nuova vita".
Mi viene in mente quella bella frase di Guareschi, in un librettino che aveva scritto intitolato ‘La scoperta di Milano', che recitava: "Milano non muore neanche se l'ammazzano". Perché è fatta di questa comunità così dinamica, così forte, così generosa. Insomma. Milano è il prodotto della comunità milanese. Invece non mi piace che si stia perdendo qualcosa, forse troppo, della sua identità. Vale a dire quel fervore di volontà di lavoro, di miglioramento, di sviluppo, di innovazione, quel voler essere l'avamposto di tutto il nuovo, la capacità di creare. Non è che siano scomparsi, ma si sono forse appannati.
Si tratta, un po' di un'omologazione con un'insieme di stanchezza, di disvalori, di sfiducia nel futuro. Prendiamo ad esempio il Covid. Milano è una città neuronale, di incontri, di traffici, di connessioni. Quindi, se un centimetro cubo di cervello muore, il corpo intero ne risente. Il Covid ha un po' piegato Milano. Anche certe forme di delinquenza minorile (il bullismo, le gang) sono cresciute dopo il confinamento. C'è anche un potenziale criminogeno nel disagio giovanile perché questi giovani non vedono bene il loro futuro, non hanno alte motivazioni, ideali, valori di riferimento e quindi si abbassano a essere dei bulli, dei violenti.
La Milano che vorrei, un po' l'ho raccontata nel mio libro Rivoglio la mia Milano. Provo un po' di nostalgia per quella che era la Milano che abbiamo anche modellato intorno agli anni duemila. Mi piacerebbe che ritornasse una fase in cui, chi governa la città, si avvicini ai valori di dinamismo, volontà di fare, razionalità e non ideologie astratte, convulsioni ideologiche, faziosità, stupidità.
A lei, già sindaco di Milano, vedendo la situazione della sua città, non viene la tentazione, la voglia di rimettersi in gioco?
Nel 2021, mi era già stata offerta la candidatura, da tutte le forze politiche del centrodestra, dall'opinione delle persone che incontravo per strada, dalle telefonate e dalle comunicazioni dirette di grandi personalità della politica, della cultura, dell'economia. Quella è stata la fase in cui sono stato più tentato, dalla gratitudine e dalla volontà di richiamarmi.
Poi però, l'impegno, il rischio che si corre, la fatica che si fa, l'enorme responsabilità, la delicatezza dell'incarico, quello che io chiamo il sequestro di persona del consenziente. Io l'ho fatta questa esperienza: è bellissima quando è finita, ma quando la vivi, non vedi l'ora di smettere. Sei veramente sequestrato. Alla fine, mia moglie mi ha fatto rinsavire e ho detto no. Il desiderio di ritornare sindaco, non ce l'ho. Mi piacerebbe poter aiutare, magari dall'esterno, con consigli, suggerimenti o con ruoli meno impegnativi e totalizzanti, come quello di vicesindaco, da me già proposto.
Che cosa vede o chi vede per il dopo Sala: Letizia Moratti, Maurizio Lupi, o chi altri?
Bisogna dire innanzitutto che nelle ultime due elezioni politiche, quelle europee e quelle nazionali e anche quelle comunali e regionali, a Milano hanno dato una maggioranza di voti per il centrosinistra. A Milano il Pd ha raggiunto quasi il 30 per cento, nelle ultime elezioni. Quindi il centrodestra, dal punto di vista del consenso popolare dei partiti, è in minoranza. Fatta questa considerazione oggettiva, conseguentemente, forse la candidatura che potrebbe far prevalere il prescelto del centrodestra, dovrebbe avere un connotato più civico e meno politico.
Ciò potrebbe sottrarre voti, innanzitutto, all'astensionismo e poi alla sinistra moderata. Dei due nomi che lei ha fatto: Letizia Moratti, può avere il desiderio, tutto personale, di riscattare la sconfitta subìta nel secondo mandato. Però mi sembra che sia più interessata, in questa fase della sua vita, a svolgere un ruolo nazionale. Accetterebbe, credo, un posto adeguato in una funzione di governo, in un ministero. Si sta occupando, dopo la morte di Berlusconi, di rigenerare Forza Italia.
Quello che è più motivato a candidarsi, è senz'altro Maurizio Lupi, credo proprio che lo voglia. Però, nel suo caso, vale quanto detto prima: può avere legittime aspirazioni, ma è molto connotato politicamente. Poniamo che, dall'altra parte, ci sia un Mario Calabresi, che ha già un'area di riferimento prevalente. Ecco, le possibilità di batterlo, non sono altissime.
Sindaco Albertini, a quale provvedimento o realizzazione è più affezionato, guardando ai due mandati della sua Amministrazione?
La nostra Amministrazione ha fatto la centrale elettronica computerizzata, per il controllo del traffico, costata 192 milioni, di cui 23 come contributo dell'Unione Europea, con cui poi si sono fatte tutte le cose che abbiamo visto: la ‘congestion charge', l'Area C, l'Area B. Non è forse l'innovazione più importante, però è un investimento che mi piace ricordare, perché si ignora che l'abbiamo realizzato noi.
Noi avevamo in mente di utilizzarla non per gli argomenti che legano l'inquinamento alle auto, che a mio avviso sono fuorvianti, ma l'avremmo utilizzata per fluidificare il traffico con il "road pricing", cioè per far pagare l'ingresso, peraltro ai non milanesi, nei momenti del giorno e della settimana in cui le strade fossero sature. Volendo però scegliere, la cosa più importante è stata la rigenerazione urbanistica. I grattacieli, che sono il nuovo skyline di Milano, anche in termini quantitativi, sono 11 milioni di metri quadrati di città che, prima del nostro intervento, non erano più fabbriche, né zone di servizi e non erano ancora città.
Una certa sinistra ha provato ad appropriarsi di quelle iniziative che avevano inteso negare o addirittura impedire. Un episodio, voglio ricordarlo. La canzone “Un albero di 30 piani”, di Celentano, era fatta proprio in polemica con il progetto Garibaldi-Repubblica-Porta Nuova, Citylife, Il Portello, Montecity Rogoredo, ecc. Io, quando il brano era stato diffuso, ero a Roma per un congresso.
Uscito da lì, sono stato assalito da una frotta di giornalisti che mi chiedono cosa pensassi della canzone di Celentano. Mi vanto ancora della mia risposta brillante: "Facciamo così. Ritornate tra 50 anni. Io non ci sarò, ma voi o i vostri parenti più giovani valuterete o valuteranno che cosa è rimasto delle belle canzoni di un bravo cantautore e delle opere che i Bernini e i Brunelleschi di oggi stanno progettando e costruendo a Milano".
La mia soddisfazione, è che sono bastati 10 anni e io ho visto questa transizione dalla protesta e volontà di impedire questo sviluppo al volersene appropriare gloriosamente, dopo aver appunto cercato di fermarlo. Non nego di essere orgoglioso di ciò. Ma sa che anche adesso, entrando in un bar o in un ristorante, c'è sempre qualcuno che si alza, mi saluta, mi stringe la mano e mi dice "Grazie per quello che ha fatto. Quand'è che ritorna?".
Milano può tornare a essere la guida per l'Italia e la città italiana più europea o questo ruolo lo mantiene ancora pur barcollando?
Milano è una città pragmatica. I milanesi sono ancora quelli che ricordiamo, anche se si sono un po' omologati e potrebbero essere migliori se ritornassero alla loro visione del mondo storica e si lasciassero sedurre meno dalle mode del momento. Accoglienza, sì ma selettiva: tu diventi milanese perché ti comporti da milanese, non perché sei nato a Milano o ci sei arrivato senza invito. Perché ti impegni, ti metti in gioco. C'è una bella frase di San Paolo VI, già Arcivescovo di Milano e che mi aveva anche cresimato, che disse: "Incoraggianti rimedi, non deprimenti diagnosi". È il modo con cui affrontare questa fase di appannamento critica. Tanti i problemi nella nostra città, più di quelli che ho trovato io e qui spezzo una lancia per il sindaco Sala.
Ma con questo insegnamento di un santo, possiamo pensare di aver trovato il metodo giusto per ritornare a essere noi stessi. È una vocazione che non tramonterà mai. Milano è l'anticipazione, nel bene e nel male, del resto dell'Italia. Non ci vuole molto, poi, nell'affermare che Milano è la città più europea d'Italia. Inoltre è anche la città più italiana.
Un dato, nel 1997, quando studiavo da sindaco, mi impressionò: solo il 5 per cento della popolazione di Milano è nata a Milano da cittadini milanesi. Il resto sono cittadini milanesi che lo sono diventati. Indro Montanelli, di cui mi considero un figlio adottivo, il giorno del suo 90simo compleanno, mi disse: "Quello che sono, lo devo a Fucecchio, quello che sono diventato, lo devo a Milano".
Nel futuro di Gabriele Albertini, che cosa c'è?
Spero che il Padre Eterno mi tratti così bene, ancora per qualche anno, come sinora mi ha trattato. L'Avvocato Agnelli, a chi gli chiedeva come avrebbe voluto morire, rispose: "Il più tardi possibile e il più in fretta possibile". A me sarebbe piaciuto e piacerebbe fare il ministro della Difesa, ma ho passato la mia possibilità di farlo.
Nel 2013, quando ero senatore, eletto in Scelta Civica di Mario Monti e avevamo il 10 per cento di consensi, di cui un terzo proveniente dal Pdl (dati esibiti da Pagnoncelli, non sono io a dirlo), molti ministri erano in quota Scelta Civica, ma stranamente, nei governi di Enrico Letta e Matteo Renzi, vennero scelte tutte personalità tecniche. Pur avendo un terzo dei voti provenienti da elettori del Pdl, un solo ministro, Mario Mauro, due soli parlamentari provenienti proprio dal Pdl, lui ed io.
Fu un errore politico macroscopico di Monti, di cui ancora non mi capacito, non valorizzare un terzo del suo consenso, nella rappresentanza di governo. Quindi, il Ministro della Difesa non lo posso più fare, perché nessuno me lo farebbe fare. A questo punto, ripiego sull'interpretazione personalizzata della canzone di De Andrè: "Non potendo più dare il cattivo esempio, cerco di dare buoni consigli".