L’ex carcerato che aiuta i poveri invisibili: “C’è chi mi dice che se non ruba non sa come fare”
Qualche settimana fa le immagini della gente in fila fuori da Pane quotidiano, una onlus di Milano che distribuisce aiuti alimentari a chi ne ha bisogno, avevano suscitato molte reazioni, sbattendo davanti agli occhi di chi non l'aveva ancora visto il problema dei nuovi poveri, o poveri del Covid. Si tratta di tutti coloro che, a causa dell'emergenza Coronavirus, si sono trovati improvvisamente in difficoltà economica. Col passare dei giorni l'ondata emotiva legata alle file chilometriche davanti alla onlus (file che, è bene precisarlo, c'erano anche prima della pandemia, ché la povertà non è certo un sintomo del virus) si è acquietata, ma il problema naturalmente rimane. E anzi alcuni provvedimenti che potrebbero arrivare a breve, come la revoca del blocco dei licenziamenti o del blocco degli sfratti, potrebbero far deflagrare ancora di più una bomba sociale i cui effetti già si vedono nelle nostre città.
Le conseguenze economiche del Coronavirus hanno colpito in misura maggiore coloro che, anche prima della pandemia, avevano meno diritti. I lavoratori in nero, gli irregolari, gli immigrati clandestini. C'è chi, davanti a gente che non sa cosa mangiare o far mangiare alla propria famiglia, trova il modo di polemizzare e di puntare il dito contro queste categorie, scrollando le spalle quasi a dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Naturalmente, non tutti godono o godevano nel trovarsi in quelle condizioni, ma c'è chi vi è semplicemente costretto dalle circostanze della vita. E c'è chi non fa domande sul perché una persona sia in difficoltà, ma semplicemente si prodiga per aiutarla.
Abbiamo citato prima la onlus Pane quotidiano, con una secolare storia alle spalle. E ad essa si aggiungono anche le tante altre onlus e opere di carità laiche e religiose che fortunatamente integrano il sistema di welfare ambrosiano e costituiscono una rete di salvataggio per le persone ai margini della società. Ma c'è anche chi ha iniziato ad aiutare gli altri per riscattarsi da un passato difficile: è il caso di Gennaro Speria, conosciuto come "Genny Lo Zio", che ha raccontato la sua storia a Fanpage.it.
Chi è Gennaro Speria, Genny lo Zio: un passato controverso da riscattare
Gennaro non è nuovo alle cronache: le immagini della sua via crucis da Milano a Roma con un crocifisso di 40 chili sulle spalle, finanche un selfie con l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini, avevano fatto molto discutere. Così come fa discutere il passato certo controverso di quest'uomo, napoletano residente a Rozzano, comune nell'hinterland sud di Milano che da anni cerca di scrollarsi di dosso la fama di "periferia difficile". Gennaro ha molti precedenti alle spalle e un passato diviso tra la strada e il carcere, dove ha scontato nove anni. Dal carcere è però iniziata la sua redenzione: non appena uscito, grazie a un meccanico e a un'officina nota come Area 51, ha iniziato aiutando gli ex detenuti e le loro famiglie, offrendo un posto per reinserirsi nella società e distribuendo saltuariamente pacchi alimentari.
La sua Area 51 aveva chiuso dopo alcune vicissitudini, ma tra febbraio e marzo dello scorso anno Gennaro stava per riaprirla e inaugurarla nuovamente, sempre a Rozzano. Quando il Covid ha travolto l'Italia, e in particolare la Lombardia, Genny ha dismesso la sua officina, iniziando ad accumulare derrate alimentari e vestiti da donare ai più bisognosi. "Quando è scoppiato il Covid ho tolto l'attrezzatura, ma pensavo che sarebbe stato per poco", spiega a Fanpage.it. Invece, in poco tempo le persone che si rivolgevano ogni giorno a lui sono diventate centinaia, poi migliaia. Adesso l'Area 51 è diventata un punto di riferimento, un servizio che nei mesi è cresciuto ed è diventato fondamentale per Rozzano e l'hinterland: "Rozzano sta vivendo tante storie. Tante famiglie non ce la fanno perché la maggior parte vivevano con lavori saltuari, tanti in nero. È da un anno che tanto non riescono a guadagnare", racconta Genny.
I giovani mi dicono: Se non spaccio, se non vado a rubare come faccio?
Tra coloro che si rivolgono a Genny ci sono anziani e meno anziani: "Non abbiamo mai avuto bisogno di nessuno, ma questo è un periodaccio – dice un ragazzo appartenente a una numerosa famiglia di giostrai -. Abbiamo anche i banchi dei panini ambulanti, ma siamo tutti fermi", spiega. C'è chi si confida con Genny e non gli nasconde la tentazione di cedere al crimine: "I giovani che ho io mi dicono ‘Zio, il nostro futuro qual è? Se non spaccio, se non vado a rubare come faccio, come vivo?'". Gennaro però in merito ha le idee chiare: "Io ero un ladro prima, mi drogavo, spacciavo. Dall'ultima carcerazione di nove anni fa ho detto basta. Oggi c'avevi mille euro, poi quando andavi in galera eri più morto di fame di prima. Ho capito tante cose, ho detto: ma chi me lo fa fare?".
Genny sembra aver trovato la sua redenzione nell'aiutare gli altri: "La gente è arrivata allo stremo, e mi dicono che si sentono abbandonati". Ad aiutarlo sono i privati che donano generi alimentari e vestiti. E c'è anche una rudimentale forma di finanziamento, un cestello in cui chi può tra coloro che si rivolgono a lui lascia qualcosa: "Qui dentro ci sono anche le lire, monete, bulloni, viti – dice facendo tintinnare il contenuto del cestello – Parecchie famiglie pur di far vedere che mettono qualcosa mettono medagliette o altro. Ma io li ammiro: quando finirà tutto per me questo sarà un ricordo", dice Genny. Quella che doveva essere la riapertura della sua officina è ormai un lontano ricordo, cancellato dal Covid: "Gli ultimi attrezzi li ho scambiati con una cella frigorifera. Dovevamo fare l'inaugurazione dell'Area 51, invece abbiamo fatto inaugurazione della sofferenza, delle famiglie che soffrono".
(Interviste a cura di Simone Giancristofaro)