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L’ex campione Dino Meneghin: “Gli impianti sportivi a Milano fanno piangere, vorrei San Siro ristrutturato”

“Se parliamo di sport di alto vertice, mancano impianti degni di questo nome. In una città d’importanza mondiale come Milano, questo rappresenta un pugno nello stomaco”, ha detto l’ex campione di basket Dino Meneghin a Fanpage.it.
A cura di Paolo Giarrusso
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Dino Meneghin, 74 anni, campione inarrivabile di pallacanestro, vive a Milano. Nel campionato italiano, ha giocato per Varese, Milano e Trieste, totalizzando 836 partite e segnando 8580 punti. Ha vinto 7 Coppe dei Campioni e 4 Coppe Intercontinentali.

A livello nazionale, ha vinto 12 scudetti e 6 Coppe Italia. Con la nazionale azzurra, ha partecipato a 4 Olimpiadi (argento a Mosca nel 1980) e ha vinto un oro e due bronzi ai Campionati Europei. È il mito vivente del basket italiano ed è un grandissimo uomo di sport (dal 2009 al 2013 è stato Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro e nel 2016 è stato nominato Presidente Onorario della FIP).

Dino, se ti chiedessi lo stato di salute dello sport italiano, in generale, che cosa risponderesti? Gode di buona salute?

Pur tra mille difficoltà, sì. Ci sono sport di vertice che hanno una grande visibilità, che, appunto, pur tra mille difficoltà, vanno avanti. Sotto, però, c'è un mare di atleti che lavorano in silenzio, senza grandi proclami, per lavorare sul loro talento e costruire il proprio futuro. C'è una grande passione che fa seguire gli sport di vertice, però ce n'è altrettanta per chi fa lo sport a livello
amatoriale.

Credo che lo sport sia la quarta o quinta industria, in Italia e che ha un indotto di gente che lavora e produce qualità, benessere e fa forte la nostra economia.

Una volta, i campioni come Meneghin, Mennea, Simeoni, Panatta, Tomba, Pellegrini, solo per citarne alcuni. Ora Sinner, Tamberi, i nostri nuotatori e le nostre nuotatrici, Sofia Goggia, le nostre pallavoliste, le nostre ginnaste. Tempo fa, sembrava esserci la nascita casuale di campioni che duravano tanti anni, ora sembra che ci sia dietro al loro sbocciare, una sorta di costruzione, di lavoro programmato. È così?

Deve essere assolutamente così. La competitività tra i vari settori dello sport e fra gli atleti, diventa sempre più forte e più aspra. Quindi, per cercare di andare ai vertici e per competere ad alti livelli, ci vuole una programmazione fatta di professionisti, preparatori atletici, tecnici, medici, traumatologi, che seguono il cammino di ogni singolo atleta, per far sì che renda al meglio e, con grande lavoro, unito al talento, si possano raggiungere grandi risultati. Senza programmazione, non si va da nessuna parte.

Parliamo di impianti sportivi, rimanendo a Milano. Ci sono, nella nostra città, situazioni un po' vergognose. Milano non ha, ad esempio, un Palasport, a eccezione dell'ex Palalido. Il Forum di Assago, appunto, è ad Assago. Il Palasport, che doveva nascere in zona San Siro, è ormai un sogno tramontato. È una visione troppo pessimistica?

Purtroppo, è assolutamente vera. È da mesi che parlano di buttare giù lo stadio di San Siro, di costruirne un altro o di farne addirittura due. La trovo una cosa incredibile. San Siro è bellissimo così. Questo, per fare un esempio. Per tutto il resto, gli impianti sportivi di Milano fanno abbastanza piangere. Leggevo, in questi giorni, della piscina Scarioni, abbandonata, lasciata ai clandestini e ai senza fissa dimora…Pensiamo, poi, all'atletica: se non ci fosse stato Napoleone, non avremmo neanche una minima pista di atletica (l'Arena Civica, ndr).

Il Vigorelli è lì da anni e non sanno bene cosa farne. Aggiungiamo le palestre delle scuole, che non sono degne di una grande città come Milano. Ci dovrebbero essere più playground, campi dove la gente può andare a giocare e divertirsi. Se parliamo di
sport di alto vertice, mancano impianti degni di questo nome. In una città d'importanza mondiale come Milano, questo rappresenta un pugno nello stomaco.

Da uomo di sport, ti sei fatta un'idea sulla telenovela di San Siro… Da che parte stai, quindi? Ristrutturazione o abbattimento dello storico impianto?

Assolutamente ristrutturazione. Non stiamo parlando di un campetto di oratorio, ma di uno stadio che ha una sua storia. È bellissimo, comodo, in quanto raggiungibile in ogni modo. È inutile spendere altre centinaia di milioni di euro, per fare qualcos'altro che non sarà usato a dovere. San Siro è lì e penso che, con un minimo investimento, si possa riportare agli antichi fasti.

Dino, qual è il livello attuale del basket italiano, secondo te? E perché Milano non riesce a primeggiare in campo europeo?

La pallacanestro italiana ha sofferto per anni e soffrirà ancora della crisi economica, della difficoltà di reperire sul mercato sponsor che possano aiutare le squadre e le società a fare il proprio lavoro. Le sponsorizzazioni sono proprio la benzina del nostro movimento. Ogni anno, però, la sorpresa, salta fuori qualche squadra (quest'anno Trento, Trieste, Trapani), che, in base al lavoro fatto bene, alla programmazione, alla scelta di giocatori e di allenatori giusti, riesce a dare un po' di pepe al campionato che non è più l'eterna sfida Milano-Bologna e nulla più.

In questo momento, il livello del campionato è spalmato in tutto il territorio nazionale. Questo lo rende più incerto e fa bene
all'intero movimento. Milano, soffre, come sempre all'inizio, di questo continuo cambio di diversi giocatori. Ora che capiscono dove giocano, cosa chiede loro l'allenatore, che si conoscono l'uno con l'altro, passano almeno due mesi.

Se poi ci si mettono gli infortuni di giocatori importanti, la cosa diventa più complicata, a maggior ragione in campo europeo, dove ti confronti con le potenze economiche delle squadre turche, greche e spagnole. Se non hai i giocatori giusti, tecnicamente e fisicamente preparati e con la giusta mentalità, è difficile competere ad altissimo livello e bisogna soffrire.

In questo momento, Milano è un po' come i cantieri autostradali: “stiamo lavorando per voi”… Ci vuole un po' di pazienza,
ma i risultati arriveranno.

La carriera di Dino Meneghin, è immensa. Hai vinto tutto. Ma hai qualche rimpianto?

Io ho avuto la fortuna di giocare sempre in grandi squadre, in prestigiose società, con grandi allenatori e compagni, vincendo un po' tutto, come dicevi. L'unica cosa che mi manca, è la NBA. Quel mondo lì mi manca, perché non l'ho mai provato. È il mio rammarico, anche se, allora, quando ero molto più giovane, era davvero più difficile farsi vedere e conoscere. Mi ritengo, comunque, assolutamente soddisfatto di quello che ho avuto qui, in Italia.

Mai pensato di allenare, di fare il coach?

Ma non sono capace! (ride…) Quando guardo una partita, la guardo come un tifoso. Vedo qualche errore, sì, ma quello che mi manca è proprio il “timing”, durante la gara, stare attento a che cosa fa l'avversario, che giocatori mettere dentro, le contromisure, le contromosse, inserire quel giocatore per cambiare il ritmo. Tutto questo, io non ce l'ho. Gli allenamenti li posso fare ad occhi chiusi, però, se mi chiedi di gestire una partita, questo proprio no. Meglio, quindi, restare a bordo campo e guardare l'incontro come tifoso.

Quando vedi qualche incontro di basket, magari di Varese o di Milano, in te scorre ancora adrenalina e qualche emozione?

Tranquillamente, quando guardo partite che non vedano impegnate Milano, Varese o Trieste. Quando giocano loro, mi immedesimo, salto sulla sedia quando fanno un errore banale e marchiano. Non mi viene voglia di entrare in campo, se è per quello, ma le sento molto di più.

Hai dei campioni italiani attuali che ammiri particolarmente e perché?

Dunque, vediamo. Beh, sicuramente Tamberi. È un atleta straordinario. Ci ha fatto sognare tra mondiali, europei ed Olimpiadi. È tornato grande, dopo un terribile infortunio. È un incredibile talento, che ha saputo lavorare per tornare ad altissimo livello. Mi piace come immagine, nel senso che è uno aperto, sorridente, sa entusiasmare la gente. Pur avendo fatto cose straordinarie, mi sembra un ragazzo molto semplice, alla mano, senza grilli per la testa e questo fa sì che sia uno dei miei preferiti. Sinner sta
facendo cose eccezionali.

Lui, come carattere è l'opposto di Tamberi: un grandissimo campione, serio, posato. Quindi, direi che ci sono diversi modi per diventare dei fuoriclasse, pur avendo caratteri diversi.

Il calcio è ancora lo sport da prima pagina per gli italiani, o è minacciato, da qualche tempo, dal tennis (vedi appunto alla voce Jannick Sinner)?

Il calcio resta e resterà sempre lo sport principale, il più seguìto dai tifosi italiani. Per quanto riguarda il tennis (Sinner) e gli altri sport, c'è bisogno del fuoriclasse o del giocatore che fa cose straordinarie e che faccia un po' da locomotiva a tutto il suo movimento. Invece il calcio, no. Ha sempre grande visibilità e grande seguito.

Un'ultima domanda, Dino. Che differenza c'è, secondo te, tra campione e fuoriclasse?

Allora… Il campione è l'ottimo atleta che fa cose buone, fa vincere la propria squadra, stabilisce dei record, ecc. Il fuoriclasse, secondo me, è quello che fa delle cose che gli altri non si sognano nemmeno. Mi riferisco, che so, a Maradona. Lui compiva gesti tecnici che gli altri comuni mortali non sapevano e potevano fare. Il vero fuoriclasse è quello: lo guardi, lo ammiri, cerchi di rifare le cose che fa lui, ma non ci riesci perché lui è troppo forte, al di sopra di tutti, di un altro livello.

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