Qualche settimana fa, era il 20 luglio, era successo a Voghera. L’assessore alla sicurezza leghista Massimo Adriatici, che girava armato in città per controllare il rispetto dell’ordinanza contro l’abuso di alcolici, aveva ucciso con un colpo di pistola al petto Youns El Boussettaoui, un cittadino marocchino residente in città, padre di una bambina.
Poco più di due settimane dopo, era l’8 agosto, è successo a Bergamo, dove il 19enne Alessandro Patelli ha ucciso il cittadino tunisino Marwen Tayari, con una serie di coltellate, davanti agli occhi della moglie e delle due figlie della vittima, di 3 e 12 anni.
Provate adesso a immaginare la scena a parti invertite. Uno straniero armato che ammazza a colpi di pistola un assessore leghista disarmato padre di famiglia. E un diciannovenne straniero che dopo una spallata fortuita sale in casa e col volto coperto dal casco accoltella un uomo italiano davanti alla moglie e ai figli.
Provate a immaginare cosa sarebbe successo dopo. Prime pagine sull’emergenza sicurezza, campagne per armare gli onesti padri di famiglia italiani contro la violenza “degli immigrati” perché “la difesa è legittima sempre”, pagine e talk show traboccanti di razzismo spacciato per sociologia, per spiegare che questi due omicidi sono l’effetto dell’accoglienza senza regole, del “buonismo”, della sinistra terzomondista e anti-italiana.
Stavolta, invece, non è successo nulla di tutto questo. A quanto pare, quando muoiono gli stranieri non c’è nessuna emergenza sicurezza. Nessuno che dice che dovremmo armarli per rispondere alla violenza degli italiani. Nessuno che parla di sbatterli in galera e buttare via la chiave. Nessuno che dice che questi due morti sono figli del “cattivismo”, della cultura securitaria e repressiva che considera ogni marginalità sociale un problema di ordine pubblico, ogni straniero una potenziale minaccia da trattare a colpi di “Daspo urbano”, perché per i sussidi vengono “prima gli italiani”.
Quando muore uno straniero in Italia, nessuno dice nulla. Nessuno collega i delitti. Nessuno generalizza. Nessuno ne fa una questione politica. Nessuno gli dedica pagine sui giornali e puntate di talk show. Silenzio. Un silenzio – ipocrita e complice – che fa più schifo e orrore di mille grida contro l’uomo nero.