Passa un vecchio avvocato penalista, nota la folla crescente dei fotografi, dei cameraman, dei cronisti e dice: "Era dai tempi di Terry Broome che al palazzo di giustizia non si vedeva una ressa così per un delitto". In effetti, la piccola aula a breve sarà cambiata con l’intervento in persona del presidente del Tribunale. E tutti, imputato compreso, si trasferiranno nella gigantesca prima Corte d'assise d'appello.
L'esperienza dell'avvocato, però, ha colto un dettaglio e, insieme, un parallelismo: Terry Broome, modella americana che alla fine di periodo di abusi, ammazzò a colpi di pistola quello che riteneva un suo persecutore, diventò il simbolo della parte nera degli anni '80, e della Milano buia e rampante dei ricchi nottambuli, e se ne parla ancora oggi; e oggi, in questo mondo dove si muore nella gogna dei social, dove si scatenano tempeste di odio feroce contro gli inermi, Giulia Tramontano, incinta del figlio Thiago, ammazzata dal fidanzato convivente, rappresenta uno spartiacque: nel mare insanguinato dei femminicidi, non è mai accaduto prima di Giulia che una vittima diventasse, in qualche modo, come una "parente" di molti italiani.
Era una ragazza che aveva lasciato il Sud anche per amore, una giovane donna che lavorava, sognava di far carriera e credeva di costruire una famiglia; e finisce ammazzata dal suo fidanzato Alessandro Impagnatiello, un traditore seriale. Uno che, entrando ai tempi in carcere, aveva detto: "Ieri ero in Montenapo, e adesso a San Vittore". Uno che, nei colloqui con gli psicologi, non aveva mai nominato il figlio di otto anni, avuto da una precedente relazione. Un "freddo", un battutista, che a sorpresa, con la mano tremolante, la voce bassa e affranta, lo sguardo basso, ha chiesto di parlare in aula per domandare alla famiglia, e forse al mondo, scuse che nessuno accetterà. O che sono comunque molto difficili da accettare.
Lo scorso maggio, dopo aver per mesi avvelenato la compagna con il topicida, in modo da farla abortire, l’ha accoltellata (37 volte) e s’è disfatto del corpo, semibruciato, abbandonandolo (o deponendolo? Chissà) in una discarica. Scene che ci portano davvero aldilà del tollerabile. E che portano moltissime persone a sostenere la famiglia Tramontano, che chiede giustizia e lo fa a gran voce: e – questo il punto – ottiene un ascolto che sino all’anno prima raramente avevano i parenti delle vittime.
Questo omicidio, che ha lasciato inorriditi persino gli investigatori, cambia infatti qualcosa. E lo cambia a tal punto che nel padovano, quando viene uccisa la giovane laureanda Giulia Cecchettin, il dolore privato diventerà richiesta collettiva, anche diretta agli uomini, ai maschi, di rileggere la nostra educazione sentimentale.
Nel palazzo di giustizia di Milano, nelle due aule, chi può cerca di guardare Impagnatiello. Pettinato, jeans, t-shirt bianca, scarpe da ginnastica con lacci bianchi, ha un aspetto innocuo. Da ragazzino. Magro. Secco. Minimo.
Non fa alcuna paura e via via che le ore passano, mentre la Corte d'assise dice no a ogni "parte civile" che non sia la famiglia (no al comune di Senago, dove Giulia viveva; no all’associazione Penelope), mentre nega (ore 13.29) l’accesso alle telecamere nelle prossime udienze e i carabinieri (ore 13.32) invitano a spegnere ogni luce rossa, l'imputato Impagnatiello cambia posto nella gabbia, usa un fazzoletto di carta e se lo passa sugli occhi e tra le mani, guarda il soffitto. Sembra riflettere, ragionare e, quando ne ha la possibilità, chiede di parlare. Lo fa sussurrando.
In un tono da recita del rosario, si sentono frasi come "Quel giorno ho distrutto la vita di Giulia e del bambino, ma anche la mia"; oppure: "Quello che faccio alla sera è pensare di non svegliarmi al mattino"; e anche "non chiedo che le mie scuse vengano accettate". Frasi che hanno un senso, ma anche no. Difficile valutare, mettersi nei suoi panni, ma le risposte e le valutazioni e persino le confessioni o le lacrime che avranno un senso compiuti le sentiremo al momento del suo interrogatorio.
La prossima udienza il 12 febbraio, sarà dedicata a uno degli investigatori, e poi è fissata una seconda tappa, il 7 marzo, quando parlerà una testimone importante, A., la ragazza che era stata ingannata da Impagnatiello, era rimasta incinta e aveva abortito. Nello stesso 7 marzo testimonieranno madre e sorella di Giulia, e nonna e zia di Thiago, il bambino che non è mai nato. Thiago, ucciso nel grembo della madre dal suo stesso padre.
Lo strazio resta fuori dall’aula di giustizia, ma questo non vuol dire che non esista: forse non entra nelle pagine del diritto, eppure si fa strada e cammina, cammina, forse, chissà, anche nella coscienza di Impagnatiello.