Le contraddizioni dell’inchiesta sul Covid a Bergamo: così Fontana, Conte e Speranza si incolpano a vicenda
La Procura di Bergamo ha concluso le indagini sulla gestione della prima fase della pandemia da Covid-19. In totale sono 19 le persone indagate. Tra loro c'è l'attuale presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, l'ex assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera, l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l'ex ministro della Salute Roberto Speranza.
Agli atti c'è una relazione del microbiologo Andrea Crisanti che, rispondendo ai quesiti posti dalla Procura, ha delineato quella che è stata la dinamica degli eventi di quei primi giorni e cosa si sarebbe potuto evitare se fossero state prese fin da subito misure drastiche come l'istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro, due dei territori più colpiti dalla pandemia.
L'istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro
E partiamo proprio dalla zona rossa dove si concentra il più alto livello di "scarico barile" tra governo centrale e regionale. A cercare di far chiarezza è proprio Crisanti. Per il microbiologo, nel momento in cui sono stati diagnosticati i primi casi Covid all'ospedale di Alzano – avvenuti tra il 22 e il 23 febbraio – non sarebbero state prese risposte adeguate sia da parte del ministero della Salute che da parte di Regione agli ospedali.
L'esperto ha sostenuto che, nel caso di Regione, nonostante il significativo incremento di casi non è stato ritenuto necessario estendere le misure di distanziamento né nei comuni in cui si erano registrati i primi casi né da quelli più colpiti dal contagio. Una presa di posizione che è stata mantenuta anche nei giorni immediatamente successivi.
“Il giorno 28 febbraio, il presidente Fontana inviava alla Protezione Civile e alla segreteria del primo ministro un messaggio di posta elettronica nel quale chiede che per la settimana successiva, che va da giorno 2 al giorno 8 marzo, vengano mantenute le misure già adottate con l’ordinanza del ministro della Sanità”, scrive Crisanti.
Subito dopo chiedeva "che fosse emesso un altro provvedimento che disponga la chiusura degli esercizi commerciali in tutto il territorio della Regione a esclusione di quelli di prima necessità”. Da questa e-mail, in cui era allegata una presentazione, emergerebbe come il Governatore fosse informato e consapevole della dinamica di trasmissione del virus già il 28 febbraio.
E in effetti l'allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante l'interrogatorio di giugno 2020, ha raccontato: “Ho a disposizione un documento del 28 febbraio, in cui il Presidente Fontana chiede il mantenimento, per la settimana dal 2 all’8 marzo, delle misure di contenimento già adottate per il basso lodigiano. Non ricordo che sia mai stata discussa con il presidente Fontana, la creazione di una zona rossa ad Alzano e Nembro né tantomeno che vi siano state richieste formali o informali in tal senso”.
Fontana e Gallera hanno invece raccontato agli inquirenti di aver chiesto se ci fossero gli elementi per istituire una zona rossa. Preoccupazione che avrebbero ribadito anche durante un incontro avvenuto a Milano con il ministro Speranza il 4 Marzo: "Evidenziai quali sono le ragioni per le quali ritenevamo opportuno istituire la zona rossa, il ministro ricordo che fisse che in serata ne avrebbe parlato con i suoi colleghi”, racconta Gallera.
L'ex ministro però non ha ricordato alcuna “discussione specifica sui due Comuni di Alzano e Nembro, né ricordo si fece riferimento all’eventuale istituzione di nuove zone rosse, né da parte mia né di alcuno degli esponenti della Regione Lombardia. Certo posso dire che il messaggio di fondo della riunione era quello di grande preoccupazione generale e di una sostanziale richiesta di misure più dure, ma senza specifico riferimento a zone rosse”.
Conte, Speranza e la zona rossa
Le incongruenze, evidenziate da Crisanti, nei racconti degli indagati sono diverse. Per esempio: Speranza avrebbe dichiarato di essere venuto a conoscenza del caso di Alzano e Nembro solo il 4 marzo mentre Conte il giorno successivo. Luigi Cajazzo, Direttore Generale al Welfare di Regione Lombardia, ha affermato di aver inviato i dati, insieme alla richiesta di istituire la zona rossa, il 3 marzo: “Tutto sembra concordare, ma i fatti in realtà si sono svolti diversamente”, ha scritto Cirsnti.
Ci sarebbe infatti un verbale, stilato durante una riunione del Cts, datato 2 marzo, a cui avrebbero presenziato sia Speranza che Conte. Durante quell'incontro, il professore Silvio Brusaferro (portavoce del Cts, ndr) avrebbe illustrato la situazione dei comuni di Alzano, Nembro e Cremona e avrebbe sottolineato "l’urgenza di adottare misure analoghe alla zona rossa”.
Conte avrebbe evidenziato che la zona rossa sarebbe dovuta essere usata "con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato” salvo poi decidere di pensarci su. Sia il Cts che Speranza che Conte “sono quindi consapevoli della criticità dei comuni di Alzano e Nembro già dal pomeriggio del giorno 2 marzo”.
La richiesta sarebbe stata poi formalizzata dal Cts solo il 3 marzo. Il 4 marzo Conte e Speranza avrebbero chiesto altre informazioni – confermato anche dall'ex premier nel suo interrogatorio di giugno 2020 – a sostegno della richiesta di zona rossa per Alzano e Nembro. L'ex ministro della Salute avrebbe scritto a Brusaferro: "Conte senza una relazione strutturata non chiude i due comuni. Pensa che se non c’è una differenza con altri comuni ha un costo enorme senza beneficio”.
I documenti sarebbero stati forniti il 5 marzo a Speranza. Quest'ultimo avrebbe deciso di firmare il provvedimento per la zona rossa che però non è stato controfirmato da Conte. La zona rossa è stata approvata solo l’8 marzo, ma in tutta Italia. Lo stesso Speranza avrebbe appreso la notizia solo il 7 marzo: “Non si riteneva più possibile contenere la diffusione del virus in aree circoscritte. C’era bisogno di misure rigorose che però avrebbero dovuto riguardare un’area molto più vasta".
Per il microbiologo sia il Cts, che Speranza che Conte avrebbero avuto “tutte le informazioni e gli strumenti per valutare la progressione del contagio e comprendere le conseguenze in termini di decessi e impatto sul sistema sanitario nazionale nel caso in cui il valore di Rt fosse uguale 2”.
Tanto che se fosse stata istituita la zona rossa ad Alzano e Nembro al 27 febbraio si sarebbero evitati oltre quattromila morti.
Il ruolo del Comitato Tecnico scientifico
Due giorni prima, durante una riunione del Comitato tecnico scientifico del 26 febbraio, sarebbe stata affrontata la possibilità di estendere la zona rossa ad altri Comuni: “In quella occasione il Cts concordava nel ritenere che non vi siano le condizioni per estendere la zona rossa ad altre aree del Paese”. Eppure le decisioni prese dal 26 e fino al 28 febbraio, sono state fondamentali nella diffusione del virus nelle settimane successive.
Il 27 febbraio il report della Lombardia ha segnalato 401 casi. Il 28 sono saliti a 531: “Con questi livelli di progressione e le conoscenze di matematica impartite nelle nostre scuole medie si sarebbe potuto facilmente calcolare che nel giro di due giorni i casi avrebbero raggiunto quota mille come è di fatto puntualmente accaduto”, ha scritto il perito.
Questi numeri dimostravano come il valore Rt fosse superiore a 2 e che “bisognasse tempestivamente estendere a tutta la Regione, le misure di distanziamento sociale della zona rossa”.
Il problema della competenza
Gallera ha spiegato ai magistrati che Regione non ha istituito la zona rossa perché convinti che fosse una competenza esclusiva del Governo: “Nessuno della Presidenza del Consiglio ci ha rappresentato o sollecitato l’attivazione dei poteri” previsti dall’articolo 32 della legge 833/78.
“La Presidenza ci inviava le bozze dei Dpcm e noi rispondevamo con le nostre proposte. In quella fase intrattenevamo rapporti su questi aspetti con i ministri Speranza e Boccia e il presidente Conte”.
Ricorda poi che la mattina del 7 marzo ci sarebbe stata una telefonata tra l’ex premier Giuseppe Conte e il Governatore Fontana: “L’approccio di Regione Lombardia – specifica – Gallera – è stato quello di pretendere l’adozione id misure particolarmente restrittive. Ritengo che anche grazie al nostro intervento si sia poi pervenuti al Dpcm dell’8 marzo”.
Nella sua relazione, Crisanti fa riferimento all’articolo 32 della legge del 23 dicembre del 1978 numero 833 che stabilisce come il ministro della Sanità può emettere ordinanza di carattere urgente in materia di igiene e sanità pubblica, ma allo stesso tempo anche il presidente della giunta regionale o il sindaco, in caso di emergenza, possono prendere decisioni simili.
E infatti il microbiologo afferma che gli stessi sindaci di Alzano e Nembro avrebbero potuto istituire la zona rossa. Tuttavia entrambi “trasmettevano messaggi rassicuranti alla popolazione che avevano una efficacia limitata se non controproducente nel bloccare il contagio”. Il sindaco di Alzano addirittura “invitava i cittadini a svolgere la loro attività normalmente e ironizzava sul fatto che la situazione fosse percepita come preoccupante solo se vista dall’esterno dei comuni interessati”.
Per Crisanti però è pur vero entrambi avrebbero ricevuto istruzioni a non prendere iniziative personali. Non sono stati nemmeno gli unici che “hanno preferito allinearsi alle indicazioni delle autorità sanitarie e politiche di Regione Lombardia e che hanno rassicurato le proprie comunità invece di prendere decisioni che avrebbero bloccato il contagio e che erano nelle loro prerogative”.
La questione esercito ad Alzano e Nembro
Un altro punto è quello relativo all'invio di militari e carabinieri ad Alzano e Nembro. Il Governatore di Regione Lombardia ha raccontato agli inquirenti che l’8 marzo era stata inviata ai Prefetti una direttiva della ministra Luciana Lamorgese dove si sosteneva che “l’istituzione della zona rossa era competenza esclusiva del Governo”.
Una tesi smentita dalla stessa ex ministra che ha specificato come in quella direttiva avesse solo spiegato che in caso di zona rossa, il dispiegamento di forze di polizia "avrebbe dovuto chiedere l'intervento dello Stato per il tramite del Prefetto o del Questore".
In ogni caso, sia Gallera che Fontana hanno affermato di aver trovato “singolare” il dispiegamento di forze militari avvenute il 5-6 marzo soprattutto perché non venne poi proclamata una zona rossa: “Il 5 marzo sono arrivati i Carabinieri pronti per la chiusura, ma il Governo ha cambiato idea nel giro di 48 ore”, dice l'ex assessore ai magistrati. Dello stesso avviso il presidente di Regione "Mi sono stupito che dopo l'arrivo dei soldati e carabinieri non si è più fatta la zona rossa".
Lamorgese ha invece spiegato agli inquirenti che il 5 marzo, a margine del Consiglio dei Ministri, si è discusso della situazione epidemiologica di Alzano e Nembro con il ministro Speranza e il presidente Conte: “Si cominciò a pensare all’ipotesi di istituire una zona rossa. Chiamai dunque il capo della. polizia per rappresentare questa eventualità, affinché si evitassero i ritardi che hanno connotato il caso di Lodi”.
Il capo della Polizia, ha precisato l’ex ministra, avrebbe programmato un sopralluogo organizzativo “per rendersi conto di come fosse la situazione e del numero di persone necessarie. Il contingente programmato è arrivato a Nembro e Alzano il 6 marzo la sera, iniziando l’attività ricognitiva. Non c’erano ancora disposizioni che imponessero di cinturare l’area”. Così come confermato da Conte.
Tutte le operazioni sarebbero state però di verifica e ricognizione. Non ci sarebbe stata alcuna disposizione formale tanto che con il Dpcm dell’8 marzo sarebbero ritirati gli uomini che provenivano da altre Regioni.
“Il Presidente Conte non sapeva dell’invio delle forze armate e di polizia a Nembro e Alzano, proprio perché in quel periodo il fine era di natura preventiva e ricognitiva. Ove ci fosse stato un Dpcm di “cinturazione”, avrei informato il presidente dell’invio di uomini, anche alla luce delle valutazioni sul numero di uomini e di mezzi necessari in proposito”.