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L’avvocato dei trapper: “Il dl Caivano non serve, aumentare le pene non porta i minori a non delinquere”

“A mio parere, leggendo le bozze che stanno circolando sul decreto legge Caivano, è che le misure che dovrebbero essere approvate vadano più verso l’inasprimento delle pene e poco verso la rieducazione e il reinserimento nonostante questi siano principi cardine dell’esecuzione penale che trovano particolare valorizzazione nei confronti degli imputati minorenni”: a dirlo a Fanpage.it è l’avvocato Niccolò Vecchioni relativamente al Dl Caivano.
A cura di Ilaria Quattrone
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Nelle ultime ore è stata diffusa la bozza del decreto legge Caivano pensato dal Governo per contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità giovanile. A far discutere è il fatto che le misure pensate (ma non ancora approvate) mirano a inasprire le pene invece di favorire percorsi di rieducazione e inserimento sociale.

Tra le disposizioni ci sono le multe ai genitori che non controllano i figli, il carcere per i genitori che non mandano i figli a scuola, la rimozione dell'assegno di inclusione se il figlio non va a scuola, il Daspo urbano per i minorenni dai quattordici anni.

"La strada da seguire dovrebbe essere quella della cultura e dell'educazione, non della repressione", ha spiegato a Fanpage.it l'avvocato Niccolò Vecchioni, noto per aver difeso diversi artisti musicali tra i quali Baby Gang e Simba La Rue.

Lei difende molti giovani, spesso trapper, con esperienze difficili alle spalle e vite complesse. Un inasprimento delle pene, per chi arriva da contesti problematici, è davvero utile?

leggendo le notizie in merito alle bozze che stanno circolando sul decreto legge Caivano, la mia impressione è che le misure in discussione propendano esclusivamente verso l'inasprimento delle pene e poco verso la rieducazione ed il reinserimento, nonostante questi siano principi cardine dell'esecuzione penale che assumono particolare rilievo proprio nei confronti dei soggetti minorenni. L’esperienza insegna che l'idea di poter scongiurare la commissione di nuovi reati attraverso l'aumento delle pene è fallimentare.

Chi commette un reato spesso lo fa nella convinzione di non incorrere in alcuna sanzione. Per questo motivo un aggravamento delle pen imposto dal legislatore risulta quasi sempre irrilevante sulla risoluzione criminosa del singolo.

La strada da seguire dovrebbe essere quella culturale ed educativa non quella repressione.

Il decreto di legge pensato dal Governo, ha una parte dedicata alle pene nei confronti dei genitori: multe, carcere o eliminazione dell’assegno di inclusione. ha senso privare ragazzi così giovani di genitori o di supporti economici?

Al momento si parla solo di una bozza di decreto di legge. Bisognerebbe anzitutto capire meglio cosa sarebbero queste multe da un punto di vista giuridico.

Prevedere sanzioni di natura penale per madri e padri di figli devianti significherebbe ritenerli concorrenti colposi nel reato commesso dal figlio, scelta che sottende una concezione quantomeno discutibile del rapporto genitoriale posto che i figli, specie se adolescenti, non sono un’emanazione dei genitori. Se discutessimo invece di sanzioni pecuniarie amministrative nei confronti di genitori di minori destinatari del provvedimento dell'ammonimento del Questore sarebbe tutt'altro tipo di discorso.

Deve peraltro interrogarsi sull’utilità di queste misure, dal momento che per legge oggi ogni genitore è già responsabile civilmente per il fatto illecito commesso dal figlio.

La possibile esclusione dall'assegno di inclusione è poi una misura inutilmente penalizzante che non farebbe altro che aggravare le condizioni di vita di nuclei famigliari che vivono in contesti di marginalità sociale creando un terreno fertile per comportamenti illeciti.

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Il punto è che c'è oggi una buona fetta della popolazione che vive in una situazione di profondo disagio economico. Per questo colpire nel portafoglio i genitori di minorenni che hanno problemi con la giustizia, anziché pensare a migliorare le misure a sostegno di queste famiglie, rischia di produrre un effetto paradosso.

Questo decreto peraltro non considera minimamente l’attuale emergenza gli istituti penali di minorenni che sono in una situazione di sovraffollamento cronico: il sistema penitenziario minorile, infatti, non ha risorse sufficienti a gestire il numero di ragazzi che si trovano all'interno.

I giovani che finiscono nel carcere minorile, specialmente in grosse città come Milano e Torino, vengono trasferiti spesso in centri del Sud, questo sradicamento territoriale ed affettivo rende la loro detenzione estremamente penosa ed ostacola il reinserimento in società del minore.

Anche i tribunali per i minorenni sono in affanno e prevedere l’arresto obbligatorio per i minori nei casi di flagranza, non fa che aggravare le difficoltà organizzative della giustizia minorile.

L'arresto del minore è oggi sempre facoltativo: l'obbligatorietà dell'arresto determinerebbe, sul piano concreto, la necessità di attivare e coinvolgere giudici nella fase della convalida. Ci sarebbe una moltiplicazione di procedimenti e fascicoli. Inoltre, in molti casi, il giudice comunque deciderebbe per una remissione in libertà del minore perché per legge deve tenere conto della gravità del fatto, della sua età e della sua personalità. Si onora il sistema di una fase processuale inutile che risulterebbe vana nella stragrande maggioranza dei casi.

Pensando ai ragazzi che lei stesso difende, percepisce la totale assenza di spazi e luoghi di incontro nei quartieri più difficili di Milano? Sarebbe più utili rispetto a maggiori pene?

Sì, certo. In alcune aree del Paese – non solo a Milano – si avverte la mancanza di una rete assistenziale in grado di fornire supporto a questi ragazzi nella gestione di quelle problematiche individuali che possono estremizzarsi quando c'è un nucleo familiare in difficoltà, magari con genitori meno presenti perché impegnati tutto il giorno a cercare di sopravvivere. Anche il degrado ambientale è un fattore da considerare, basti pensare all’inaccettabile situazione dell'edilizia popolare: a Milano i quartieri popolari sono abbandonati a loro stessi e costituiscono un ambiente che facilita la deriva comportamentale dei giovani. Se le persone vengono lasciate vivere in una condizione di degrado, tenderanno – con i loro comportamenti – a riflettere questo degrado e più facilmente assumeranno condotte anti-sociali e anti-giuridiche.

Social, serie televisive, canzoni inducono davvero i ragazzi a commettere crimini?

No. Le ragioni della devianza minorile sono molto complesse e variegate. Io credo che vi siano anzitutto ragioni di tipo economico – sociale, ma vi sono anche anche delle responsabilità da parte del sistema scolastico ed educativo, che spesso non è in grado di indirizzare i ragazzi verso modelli comportamentali virtuosi o lo fa con molta difficoltà.

Secondo lei, questi ragazzi vengono descritti come mostri da mandare in carcere a prescindere?

C'è un tema sicuramente legato a un aumento di reati nella fase adolescenziale. Il numero di ragazzi che entra in contatto con il circuito penale sta crescendo. La questione peraltro non è limitata ai soli minorenni: basti pensare che oggi, per la prima volta nella storia nel carcere San Vittore, un terzo dei detenuti ha poco più di 18 anni e buona parte di questi sono stranieri.

A Milano c’è poi il problema dei minori non accompagnati che vivono per strada e delinquono. Bisognerebbe puntare di più a valorizzare il circuito delle comunità, soprattutto quando c'è una situazione familiare precaria. In ogni caso l’impressione è che le misure proposte dal Dl Caivano rischino di portare al collasso il sistema giudiziario minorile piuttosto che fornire valide risposte a quelle che sono le legittime richieste di maggiore sicurezza della cittadinanza.

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