Laura Ziliani, le carte sull’arresto delle figlie: “L’avevano già avvelenata con una tisana”
Il loro sarebbe stato "un piano criminoso" che gli ha permesso di "celare per lungo tempo la morte della donna e di depistare le indagini a loro carico": è questo quello che emerge dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal giudice per le indagini preliminari di Brescia nei confronti di Paola e Silvia Zani e Mirto Milani rispettivamente figlie di Laura Ziliani, l'ex vigilessa scomparsa a Temù (Brescia) lo scorso 8 maggio, e fidanzato della figlia più grande. Stando alle indagini, i tre avrebbero infatti provato già ad aprile ad avvelenare la donna.
Ad aprile era stata "avvelenata con una tisana"
Sulla base della ricostruzione degli inquirenti e delle testimonianze del compagno di Ziliani e di una sua amica, ad aprile scorso – un mese prima della scomparsa – la donna era tornata stanca da una passeggiata. A questa era seguita una cena: subito dopo il pasto, la 56enne avrebbe bevuto una tisana che, secondo gli inquirenti, "era avvelenata". La donna infatti aveva avuto un malore dormendo per 36 ore di seguito. In quelle settimane poi, sempre secondo le parole di chi la conosceva, appariva sempre stanca e strana.
Il farmaco trovato in casa dei tre
A confermare la tesi degli inquirenti, è il ritrovamento di un flacone di bromazepam pieno fino a un terzo – le cui tracce sono state rivenute nel corpo della donna dall'esame tossicologico – nella casa di Brescia in cui vivevano le due ragazze e il fidanzato di Silvia. A questo si aggiunge quanto dichiarato dal medico di base della 56enne che ha affermato di "non averglielo mai prescritto" e da un episodio che ha avuto come protagonista la figlia più grande: la ragazza infatti era dipendente in una casa di riposo dove tempo prima aveva sottratto della Quetipina 50 per provarne gli effetti insieme all'alcol. Alla sorella aveva poi detto di essere stata malissimo, ma che ha convinto gli inquirenti che "l'indagata poteva procurarsi facilmente il farmaco".
L'ipotesi di premeditazione
Questi elementi ha favorito l'idea secondo la quale l'episodio di aprile fosse un'avvisaglia "dell'omicidio consumatosi" nella notte tra il 7 e 8 maggio. Per gli inquirenti infatti è stato: "frutto di una premeditazione lunga che ha permesso ai tre di organizzare un piano criminoso che ha permesso loro di celare per lungo tempo la morte della donna e di depistare le indagini a loro carico". Il movente dell'omicidio sarebbe di natura economica e dovuta alla gestione degli immobili di famiglia. Per tutti questi motivi, è stato disposto l'arresto dei tre che adesso si trovano nel carcere di Brescia.