Laura Ziliani, dai vestiti piazzati nel bosco ai cellulari finti: tutte le bugie del “trio diabolico”
Una fitta rete di bugie per depistare le indagini: è questa la ricostruzione che emerge dall'ordinanza di custodia cautelare, firmata dal giudice per le indagini preliminari Alessandra Sabatucci, nei confronti di Paola Zani, Silvia Zani e Mirto Milani. I tre sono stati arrestati con l'accusa di aver ucciso e nascosto il cadavere di Laura Ziliani, mamma delle due ragazze, scomparsa l'8 maggio scorso dalla sua villa di Temù (Brescia). Sono state proprio le due figlie a far partire la macchina delle ricerche, dando l'allarme alle forze dell'ordine, e lanciando diversi appelli anche alla trasmissione "Chi l'ha visto?" in onda su RaiTre.
La versione data agli inquirenti
Il trio, fin dall'inizio, ha dato la stessa versione: la donna si sarebbe alzata intorno alle 6 del mattino dell'8 maggio e sarebbe uscita da casa alle 7 per fare una passeggiata. Sarebbe dovuta tornare alle 10 del mattino per andare con le figlie alla discarica, ma non sarebbe più tornata. Parole che i tre hanno continuato a ripetere interrogatorio dopo interrogatorio, ma che per gli inquirenti non erano credibili. Sia le sorelle Zani che Milani hanno detto che la 56enne, prima di uscire da casa, sarebbe stata sul divano con il cellulare tra le mani, intenta a guardare dei social network. Una consulenza informatica ha fatto emergere che nessun traffico è stato rilevato prima delle 7. Dalle geolocalizzazioni inoltre risulta che il telefono fosse connesso alla rete fino alle ore 9.57 mentre l'App per contare i passi ne registrava 38 tra le 8 e le 8.20. Dati fondamentali considerato che poi il cellulare è stato trovato sotto una cassapanca in cantina.
I vestiti "abbandonati in modo intenzionale"
Dopo uno stop, le ricerche di Ziliani riprendono il 23 maggio quando viene trovata una scarpa nel letto del torrente Fiumeclo. La scarpa viene riconosciuta da una delle figlie. Per le forze dell'ordine, il ritrovamento rafforza i dubbi: è improbabile che la scarpa possa essere scesa lungo il torrente, fino ad arrivare nel punto in cui è stata recuperata. Per gli investigatori avrebbe potuto aver senso solo nel caso in cui Ziliani fosse caduta nel torrente. Il corpo però, nonostante il corso d'acqua sia stato perlustrato per giorni, non è mai stato trovato. Si inizia quindi a pensare che i vestiti vengano abbandonati in modo intenzionale. Una teoria alimentata da ciò che poi accade due giorni dopo il ritrovamento della prima scarpa.
Il 25 maggio infatti viene trovata la seconda: alle 19 un cittadino segnala la presenza dell'oggetto dentro un'area boschiva. L'uomo racconta di aver visto una ragazza e un ragazzo, di circa 30 anni, fermarsi lì vicino. Ha detto di aver visto il giovane entrare nel bosco e le ragazza cercare di non farsi riconoscere. Una volta che i due si sono allontanati, l'uomo è entrato nell'area, dove ha visto uscire il giovane, e ha trovato la scarpa. All'arrivo dei militari della compagnia di Breno, guidati dal capitano Filiberto Rosani, il testimone ha detto di essere certo che la ragazza fosse una delle figlie della Ziliani e, dopo avergli mostrato una foto di Milani, l'uomo ha riconosciuto il giovane. Ancora una volta i tabulati telefonici hanno permesso di scoprire che i ragazzi, pur vivendo a Brescia, si trovavano proprio a Temù in quelle ore. Alcuni giorni dopo vengono trovati dei jeans. Tre minuti prima che venissero avvistati, dai tabulati emerge che i tre si trovavano vicino al Torrente Fiumeclo dove poi sono stati recuperati i pantaloni. La figlia Silvia li riconoscerà dicendo che sono della madre, ma Riccardo Lorenzi – compagno di Laura – dirà che la 56enne non faceva mai un'escursione in jeans e di non riconoscere quei pantaloni.
I cellulari falsi
Gli ultimi due depistaggi arrivano da una conversazione tra Milani e un amico e dal sequestro dei cellulari. Nel primo caso, non è ancora chiaro se il ragazzo aveva già iniziato a pensare di essere intercettato, ma nel colloquio racconta all'amico di alcuni debiti a carico di Ziliani: "Spendeva più di quello che prendeva". Il giovane allude inoltre alla possibilità che la donna invece di sparire, fosse scappata. Dalle indagini però emerge che non c'era nessun debito a carico della 56enne. Il 26 giugno, infine, arriva la notifica del sequestro dei telefoni. I tre ne consegnano tre diversi da quelli usati nelle ultime settimane. Diranno agli inquirenti che sono stati costretti a venderli per problemi economici. Tesi confermata anche da Silvia che sostiene che la persona a cui li hanno venduti, gliene aveva consegnati altri tre. Il 19 luglio però i tre danno i loro telefoni che sono stati completamente resettati, rendendo così inutile il lavoro degli inquirenti.