L’audio inedito rivela i comuni di Cremona che dovevano diventare zona rossa due giorni dopo Codogno
Pizzighettone, Formigara, Gombito. Tre cittadine cremonesi affacciati sul Lodigiano, con il fiume Adda a tracciare il confine tra le due province. Tre comuni che già il 23 febbraio, due giorni dopo la scoperta del primo paziente Covid-19 a Codogno, erano state identificati come focolai dell'epidemia da chiudere urgentemente per evitare la diffusione. Lo rivela l'audio inedito pubblicato da Fanpage.it sulla riunione tenutasi quella sera con il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, la prefettura e la protezione civile, in cui tutto era pronto per estendere a 19 comuni la zona rossa. Una decisione che non è mai stata presa. Così è rimasto senza nessuna protezione un territorio che in seguito sarebbe risultato uno tra i più colpiti in assoluto.
La provincia di Cremona non protetta: il primo maggio c'erano già mille morti
Nei tre comuni cremonesi citatati nell'elenco letto dal governatore nel corso della riunione, così come in tutti quelli limitrofi, i numeri sono stati altissimi per incidenza sulla popolazione. Anche perché in questo territorio tutti sono andati in giro senza limitazioni fino al lockdown dell’8 marzo. Così in poco più di due mesi nella provincia di Cremona è consumata una strage che, purtroppo, non è molto lontana da quella, più nota, della Bergamasca: il primo maggio i morti di covid-19 a Cremona erano già più di mille. I contagiati (nelle stime ufficiali) sono stati oltre seimila.
Per salvare la situazione è stato necessario l'intervento di medici cubani e statunitensi
Non sono solo i numeri a dimostrare che la provincia di Cremona, lasciata del tutto prima di protezione, ha vissuto una tragedia di dimensioni enormi. Ci sono anche le storie: quelle degli ospedali del capoluogo, dove è stato necessario l'intervento della ong statunitense Samaritan's Pursue con una grande struttura da campo, così come il nosocomio di Crema, dove ha lavorato per settimana la brigata dei medici cubani.
La decisione mai presa e la lista di 22 comuni che "dimenticava" Pizzighettone
Questi territori feriti, che ancora faticano a riprendersi, ora si chiedono: la strage si sarebbe potuta evitare? Perché la zona rossa non è stata estesa anche all'area confinante con il Lodigiano in modo da creare una "barriera" alla diffusione del virus? Chiudere la provincia di Cremona, così vicina al focolaio di Codogno, così collegata al Lodigiano per i continui scambi e passaggi di persone e merci da una sponda all'altra dell'Adda, sembrava una decisione ovvia.
Ma dopo la riunione del 23 febbraio tutto si è fermato. La versione di Regione Lombardia è affidata all'assessore Gallera, che assicura di aver consegnato un elenco di 22 comuni da chiudere al governo, che non avrebbero però agito. Ma in quell'elenco manca il comune di Pizzighettone, il più grande e il più importante dei tre di cui si era discusso nel vertice, quello dove c'era stato il secondo caso in provincia. Qualcosa non ha funzionato, ma dopo quattro mesi ancora non sappiamo cosa e perché.
Manca l'atto ufficiale di Regione Lombardia
Marco Degli Angeli, consigliere regionale M5S e residente a Crema, ha presentato un'interrogazione all'inizio di luglio, dopo aver chiesto un accesso agli atti. "Ma finora non ho mai ricevuto risposta", spiega a Fanpage.it. "Manca un atto ufficiale che dimostri che, dopo la riunione del 23 febbraio, la Regione abbia chiesto di procedere. Giravano fogli, progetti, schemi. Ma io non ho mai visto niente di ufficiale".