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L’assessora di Petilia Policastro partecipa ai funerali di Rosario Curcio, il killer di Lea Garofalo

Un assessore del Comune di Petilia Policastro (Crotone) ha partecipato ai funerali di Rosario Curcio, morto suicida in carcere a Opera dove stata scontando l’ergastolo perché ritenuto uno dei responsabili della morte di Lea Garofalo.
A cura di Giorgia Venturini
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Non bastavano i manifesti che esprimevano la vicinanza dell'amministrazione comunale alla famiglia di Rosario Curcio, morto suicida in carcere a Opera dove stata scontando l'ergastolo perché ritenuto uno dei responsabili della morte di Lea Garofalo. Un membro dell'amministrazione comunale ha preso parte anche ai funerali: presente alla cerimonia c'era l'assessora Maria Berardi. Perché tutta questa solidarietà a un uomo della ‘ndrangheta? Perché l'amministrazione comunale ha espresso tutta questa vicinanza a un ergastolano accusato di aver ucciso una delle donne più stimate d'Italia? Perché non esprimere vicinanza e solidarietà a Lea e per di più nella sua città?

Rosario Curcio condannato all'ergastolo

I funerali si sono tenuti a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, paese natale anche di Lea: a sciogliere nell'acido a Milano la donna testimone di giustizia contro la ‘ndrangheta è stato proprio Rosario Curcio. Il Tribunale di Milano lo ha così condannato in via definitiva all'ergastolo ritenendolo così proprio uno degli autori del femminicidio maturato in ambito mafioso. Lea Garofalo è stata uccisa a Milano perché dopo aver deciso di separarsi dal boss Carlo Cosco aveva raccontato tutto alla magistratura.

Eppure, saputo del suicidio in carcere di Curcio, l'amministrazione locale in poco tempo ha fatto girare per le vie di Petilia Policastro un manifesto funebre che così citava: "Il sindaco Simone Saporito e l'Amministrazione comunale partecipano al dolore che ha colpito la famiglia Curcio per la perdita del caro congiunto". Con tanto di nome e cognome del sindaco, cosa che non capita spesso. Perché scomodarsi così per chi ha ucciso Lea Garofalo?

I funerali molto partecipati di Rosario Curcio

Ai funerali di Curcio non bastavano fiori e palloncini, uno striscione con l’immagine del defunto in tenuta da body builder e il simbolo della Juventus (era un tifoso bianconero?). Ha partecipato anche un rappresentante istituzionale. Intanto in molti dopo i manifesti ne hanno chiesto le dimissioni del sindaco: primo tra tutti il Partito Democratico sia di Petilia Policastro che della provincia di Crotone con il suo rappresentante Leo Barberio. E poche ore fa, appreso della partecipazione dell'assessora comunale ai funerali, il Prefetto di Crotone ha chiesto un colloquio al primo cittadino per avere spiegazioni.

Come si difende il sindaco di Petilia Policastro

Sulla questione dei manifesti il sindaco Saporito aveva risposto con un secco "lo facciamo per tutti". Per poi precisare: "Da quando è scoppiata la pandemia come Amministrazione comunale abbiamo fatto un accordo con le agenzie di pompe funebri per fare i manifesti di vicinanza per tutti i funerali che si celebrano in città. L’opportunità di fare il manifesto è in effetti opinabile, ma noi abbiamo fatto il manifesto a tutti. Perché a lui no? Davanti alla morte si è tutti uguali. Sarebbe stata una discriminazione al contrario non farlo”.

Chi era la testimone di giustizia Lea Garofalo

Lea Garofalo fu una delle prime donne a ribellarsi alla sua famiglia di ‘ndrangheta. Nel 2002 decise di parlare con la magistratura, in cambio lo Stato la inserì insieme alla figlia Denise, avuta con l’ex compagno Carlo Cosco, nel programma di protezione. Ai giudici raccontò la ‘ndrangheta a Petilia Policastro e la guerra tra clan per lo spaccio di droga. Nel 2009 sfuggì a un primo tentativo di omicidio mentre si trovava a Campobasso. Ma non al secondo: il 24 novembre del 2009 Carlo Cosco convinse Lea Garofalo, che intanto era uscita dal sistema di protezione, di incontrarsi per parlare del futuro della figlia. L'appuntamento era a Milano.

Le telecamere comunali la ripresero per l'ultima volta camminare con la figlia per le vie della città. Il corpo di Lea venne trovato tempo dopo nel quartiere San Fruttuoso a Monza, dove era stato dato alle fiamme per tre giorni. Durante il processo Denise si schierò contro il padre. Nel 2014 la Cassazione ha confermato l'ergastolo Carlo e Vito Cosco, Massimo Sabatino e Rosario Curcio. La pena per Carmine Venturino venne scontata a 25 anni di reclusione perché decise di collaborare con la giustizia.

(Ha collaborato Ilaria Quattrone)

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