Lascia il posto fisso per seguire il sogno di fare il musicista: “Ma non andrei mai a Sanremo”
"Mio padre era un fisarmonicista e suonava anche le percussioni – racconta Giovanni Bersini, classe 1978, a Fanpage.it -. Quando ero piccolo lo imitavo sbattendo uno contro l'altro i coperchi delle pentole, già allora la musica mi piaceva, ma non pensavo di farne una professione".
Giovanni cresce a Ospitaletto, un paese in provincia di Brescia. "Alle superiori – ricorda – scelsi la scuola che facevano i miei amici, volevo solo non dover studiare tanto e divertirmi, ma ben presto mi sono accorto che il diploma di tecnico elettronico conseguito era solo un pezzo di carta".
La consapevolezza avviene durante il servizio civile in una biblioteca del paese: "In mezzo ai libri e alla cultura – spiega Giovanni – iniziai a chiedermi chi fossi veramente e che cosa volessi dalla vita, domanda a cui però ho impiegato 17 anni per rispondere".
Dal posto fisso allo studio matto
Nel frattempo, non sapendo quale strada intraprendere, Giovanni inizia a lavorare nel salone di acconciature del fratello e impara il mestiere: "Non mi trovavo male – racconta – dicevano che ero bravo, ma non ero felice".
Passano alcuni anni e il malessere non se ne va: "Gli altri non riuscivano a comprendere, anche perché ero io stesso a non avere le idee chiare, come potevo spiegarlo a loro?"
"Loro" sono i familiari e gli amici, che si stupiscono quando, da un giorno con l'altro, a 37 anni Giovanni decide di mollare tutto. "Era l'estate del 2015, uscii dal salone per non rientrarci più".
"Con mio fratello – continua – ci furono parecchie incomprensioni, per fortuna ora superate, ma c'è voluto tempo per fare pace, in primis con noi stessi".
E intanto Giovanni si chiude in casa: "L'unica cosa che potevo fare era studiare: volevo vivere suonando i tamburi. Per un anno sono rimasto in una stanza insonorizzata a provare e riprovare".
Musicista e assistente ad personam
Vivere di musica non è però come vivere per la musica e Giovanni lo impara a sue spese. "Le esibizioni nei locali e l'insegnamento delle percussioni non mi permettevano di sostentarmi, eppure non volevo darmi per vinto".
Poi la chiamata a una cooperativa sociale dove per anni era stato volontario: "I soldi stavano finendo – spiega Giovanni a Fanapge.it -, chiesi di potermi rendere utile in qualcosa. Il mio lavoro di assistente ad personam è iniziato così".
"Da qualche anno – continua – seguo un ragazzino e mi occupo della sua integrazione scolastica, ma in parallelo porto avanti la mia attività di musicista ed è proprio nelle scuole che aiuto gli studenti grazie ai tamburi".
Esperienza senza performance
"Dal 2017 – dice ancora Giovanni – mi sono appassionato di drum circle, una pratica che consiste nel mettersi in cerchio e suonare le percussioni sotto la guida di un facilitatore. Proprio quest'ultimo è diventato il mio ruolo".
"È stata una scoperta fondamentale per me, perché mi ha fatto capire che prima avevo sempre vissuto l'essere musicista con grande stress e ansia da prestazione. Lì ho capito che non mi interessa calcare i palchi, voglio vivere la musica come esperienza, non come performance".
E infatti oggi Givoanni porta in giro il drum circle per aiutare le persone a migliorare il proprio benessere psicofisico: non solo bambini e ragazzi, ma anche anziani e disabili: "È un modo di comunicare ed entrare in empatia attraverso la musica".
Una concezione totalmente diversa da quella che si ha dei musicisti soprattutto durante la settimana di Sanremo: "Se mi invitassero lì? – riflette Giovanni – Mai dire mai, ma magari in qualche locale o per strada, il palco dell'Ariston mi fa troppa paura e mi sentirei decontestualizzato".