L’amico di Lorenzo Mazzoleni, l’alpinista morto sul K2: “La gioia della vetta, poi la tragedia”

Lorenzo Mazzoleni era una promessa dell’alpinismo lecchese e italiano. A 28 anni dalla sua morte, il suo zaino è stato ritrovato alle pendici della montagna su cui ha perso la vita, il K2. Lo ricorda l’amico e allievo Alberto Pirovano.
A cura di Chiara Daffini
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Lorenzo Mazzoleni
Lorenzo Mazzoleni

Lorenzo Mazzoleni è, per sempre, un ragazzo di 29 anni. Eppure di lui non c'è traccia sui social e non ha mai visto il nuovo millennio: la sua vita si è fermata sul K2 il 29 luglio 1996. Riposa ancora lì, sulle montagne che tanto amava, ma il suo ricordo, sempre vivo tra chi gli era vicino, è tornato nel presente di tutti il 19 luglio 2024, quando la squadra K2-70, organizzata dal Cai, ha trovato il suo zaino.

Chi allora non era ancora nato o era bambino, chi si era dimenticato di quell'incidente alpinistico, ha sentito e letto il nome di Lorenzo Mazzoleni e si è chiesto chi era. Abbiamo cercato risposte in un suo amico e allievo, Alberto Pirovano, ai tempi membro dei Ragni di Lecco, club alpinistico a cui apparteneva Lorenzo, e successivamente presidente dello stesso, fino al 2010.

Chi era Lorenzo Mazzoleni e come lo ha conosciuto?

"Lorenzo a Lecco era già un mito da ragazzino. È cresciuto nel Cai, noi che andavamo in montagna lo vedevamo come una specie di Ercole. Era bello, bravo, forte, simpatico. È stato il mio istruttore al corso di roccia dei Ragni di Lecco. Eravamo giovani, io giovanissimo, lui qualche anno più di me. Aveva già fatto esperienze, era stato in Himalaya, aveva scalato il suo primo 8000 metri, per cui era un po’ un modello. Aveva questa capacità di mettere a proprio agio chiunque, non toccando le debolezze ma mettendo sempre in risalto i pregi delle persone con cui si rapportava. Era uno che non sapeva giudicare, ma solo essere amico".

Condividevate la passione per la montagna.
"Sì, lui ai tempi era poco più che ventenne e aveva già fatto grandi imprese, ma aveva questa visione dell'alpinismo assolutamente inconsueta per un ragazzo della sua età. Era per l'alpinismo classico, le grandi cavalcate, gli 8000 metri, le salite faticose. La montagna per lui era il punto di ritorno: era capace di andare a un concerto di Vasco Rossi, conoscere una ragazza e poi la mattina proporle di vedere l'alba sul lago di Carezza”.

Che cosa le ha insegnato?
"Aveva un incredibile senso della misura in montagna, che era esattamente il contrario di quanto fosse in realtà nella vita di tutti i giorni: tanto era sopra le righe quando si andava fuori, si andava a ballare o a fare qualsiasi qualcosa, quanto era serio nelle arrampicate.

Si ricorda un episodio in particolare?

"Ricordo una volta, sulle Dolomiti, in cui ero a capo di un gruppo e ho dovuto rinunciare a terminare una salita perché una ragazza che era con noi non ce la faceva. Mancavano due tiri all'uscita. Quanto siamo rientrati, a notte fonda, i Ragni più vecchi me ne hanno dette di tutti i colori perché mancavano solo due tiri e avrei potuto farcela. Invece Lorenzo mi disse ‘Ma alla fine siete tornati a casa tutti salvi?' Risposi di sì. ‘E allora vedi che hai fatto la cosa giusta?'".

Una frase che fa effetto, a sentirla oggi. Si ricorda quel 29 luglio del 1996?
"Non ricordo esattamente l'ultima cosa che ci siamo detti, ma ricordo l'atmosfera di quei giorni. Era carica di di fermento. C'era questa spedizione che doveva partire, si stavano preparando i materiali. E Lorenzo, all'interno di questo progetto, era un po’ il collante che riusciva a tenere insieme le diverse generazioni. Sapere della sua morte è stato terribile. In sequenza, al campo dei Ragni è arrivata prima la notizia dell'arrivo del gruppo in vetta e quindi un'esplosione di gioia. Ma poi, nel giro di poche ore, è cominciata ad arrivare l'informazione di un mancato rientro. Quello di Lorenzo. È un segnale, per chi ne sa in materia, che qualcosa che non funziona, che qualcosa è andato storto. E poi purtroppo la mattina la constatazione della tragedia".

È scivolato al Passo Collo di Bottiglia durante la discesa.
"In realtà la dinamica esatta nessuno l'ha mai saputa. Quando sei in alta quota di fatto ognuno bada a se stesso e quindi diventa difficile capire le scelte che può aver fatto, cosa può essere stato, se un incidente tecnico, banalmente una scivolata, oppure una qualsiasi decisione che in quel momento poteva sembrare quella giusta e che invece si è rivelata quella sbagliata.
Posso dire però che sicuramente non era uno che affrontava le cose senza sapere ciò che stava facendo".

Il suo corpo è rimasto sulle montagne del K2.
"La salma è stata vista e quindi è stata anche constatata la morte, si trovava in una posizione in cui era assolutamente impossibile fare qualsiasi tentativo di recupero, perciò è stato deciso di farlo rimanere dove lui avrebbe voluto. D'altronde Lorenzo aveva sempre detto che voleva essere lasciato in montagna".

Il 19 luglio di 28 anni dopo è stato ritrovato il suo zaino.
"Lorenzo era caduto fuori dalla via, su un pendio e in discesa, è per questo che lo zaino è arrivato a valle ed è stato trovato solo ora. Se l'incidente fosse accaduto in salita i suoi effetti sarebbero stati rinvenuti molto prima. Quando è arrivata questa notizia, per me, per la famiglia e per gli amici più stretti, è stato come quando arriva un temporale e di colpo scende la luce".

Che cosa resta oggi di Lorenzo Mazzoleni?

"La sua mancanza si è sentita nel mondo dell'alpinismo lecchese, è mancato proprio il passaggio generazionale che lui sicuramente avrebbe garantito con i ragazzi più giovani. Però se potessi parlargli gli direi con orgoglio che il suo esempio non è mai svanito. Un ragazzino che porta il suo nome è partito in spedizione proprio il 19 luglio, il giorno in cui è stato ritrovato il suo zaino. Quella che era la sua voglia di trasmettere l'amore per la montagna ai ragazzi più giovani, come ha fatto con me e con tanti altri, non è mai svanita e ancora oggi Lecco continua in questa tradizione grazie anche al suo esempio".

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