video suggerito
video suggerito

La storia di Asia, figlia di un accumulatore seriale: “Ho paura che mio padre muoia sepolto in casa”

Il disturbo d’accumulo in Italia è ancora poco conosciuto e trattato, ma ha grandi impatti psicologici su chi ne soffre e sui figli, per i quali l’unica soluzione diventa l’allontanamento (spesso sofferto) dal genitore. Asia ha raccontato ai microfoni di Fanpage.it l’esperienza che da anni vive nella casa del padre, piena di oggetti che hanno tolto spazio alla convivialità.
A cura di Beatrice Barra
0 CONDIVISIONI
Immagine

Asia, nome di fantasia scelto per proteggerne l'identità, è la figlia di un accumulatore seriale. Vive a Milano ormai dal 2016, quando ha deciso di andare via dalla città del sud Italia in cui è nata e cresciuta per iniziare i suoi studi universitari e per allontanarsi da una situazione che inizia, letteralmente, a soffocarla"È stata un po' una fuga, anche se spesso questo mi ha fatto sentire in colpa".

Quando si pensa al disturbo d'accumulo probabilmente le prime immagini che arrivano alla mente sono quelle di case piene di oggetti accatastati, sacchi di spazzatura accumulati, sporcizia e animali che girano per casa. Questa, però, è solo una faccia della medaglia. L'altra, che spesso rimane taciuta, è quella che riguarda la sfera psicologica: la sofferenza inascoltata di chi chi ne è affetto e l'impatto che questo disturbo ha anche sulla vita delle persone che circondano chi ne soffre, come i figli.

L'infanzia di Asia

"I miei genitori si sono separati quando io ero molto piccola, avevo 4 anni" e sul divorzio pesa parecchio il disturbo d'accumulo di cui soffre il padre. Asia racconta ai microfoni di Fanpage.it che quando lei e il fratello erano molto piccoli e il padre portava in casa oggetti inutili comprati o presi accanto ai cassonetti della spazzatura, la madre si arrabbiava: "Voleva che il pavimento fosse libero e che ci fosse lo spazio per giocare senza farci male". Lui, però, era convinto che quegli oggetti sarebbero serviti in futuro e continuava ad accumularli. "Non ammetteva di avere un disturbo mentale, quindi non si è mai fatto curare". 

Durante la sua infanzia Asia conosce due versioni diverse di suo padre: da un lato un papà fantastico che la supporta, le dà consigli e la sprona a raggiungere i suoi obiettivi, dall'altro una persona con questioni emotive irrisolte che le "butta addosso tutti i suoi problemi, ripetendo sempre le stesse cose e guardandole dalla sua lente parziale". 

I pensieri intrusivi del padre sfociano poi in comportamenti ossessivi, "come se ci fosse sempre una cospirazione del mondo esterno contro di noi". Pensieri che si concretizzano in una mania del controllo che trova una risposta perfetta nell'esigenza di accumulare oggetti, "come se così potesse avere il controllo dello spazio e del tempo". È come se fatichi a capire quanto tempo ha realmente a disposizione nella vita e questo "è collegato al fatto che accumula più oggetti di quanti ne possa gestire".

Lui, infatti, conserva o porta in casa tutto ciò "che vorrebbe usare in futuro": oggetti trovati vicino alla spazzatura da usare per progetti "che non farà mai", tantissimi libri "che non avrà il tempo di leggere, anche perché sono sommersi da altri oggetti e quindi impossibili da trovare", oggetti di elettronica rotti o datati, piante di qualsiasi tipo messe "una sopra l'altra che non hanno spazio per vivere o crescere". 

Dopo la separazione, il disturbo del padre degenera. "È come se il quadro familiare complesso che vive agiti il suo animo e lui tenti di ricreare in casa il caos che ha dentro": più aumenta il dolore, più peggiora il disturbo. Nonostante ciò, dopo un litigio in cui il padre di Asia diventa anche violento al punto da allertare i vicini, il terapeuta assegnatogli "lo ha liquidato dicendo che i suoi problemi erano trascurabili".

Asia si rende davvero conto del disturbo mentale del padre quando ha da poco iniziato le scuole medie. Frequenta la sua abitazione solo qualche giorno a settimana: "Gli ambienti abitabili in casa si erano ridotti drasticamente e non c'era più spazio per la convivialità". Il divano è pieno di oggetti, così come il tavolo o qualsiasi altro angolo della casa. "Per bere una tisana dovevamo spostare tutto e poi rimetterlo a posto, o meglio, dov'era prima", così inizia a preferire di incontrare il padre all'esterno, "per non avere quel senso d'angoscia". 

Immagine

Asia prova più volte a far ragionare il padre, facendogli presente che la casa è "diventata difficile da usare, proprio a livello pratico", ma la sua risposta è sempre la stessa: a lui piace così e sono loro – i figli – che non riescono a capire l'utilità di quegli oggetti "per il futuro".  Lui è convinto di aver scelto quello stile di vita, dice sempre: "anche se questo non ti sembra il modo migliore, ti giuro che lo è". La cosa che fa più male ad Asia è vedere il padre in difficoltà, ma sentirsi impotente perché lui non accetta il suo aiuto e lei non può fare "niente per migliorare la qualità della sua vita".

Ora che lei non vive più nella stessa città dei genitori, quando torna non ha molta voglia di stare dal padre, "perché non c'è letteralmente spazio per fare nulla, andrei solo per sistemare e buttare un po' di roba, nei limiti in cui me lo permette". La situazione adesso è "fuori controllo, a volte ci sono anche dei topi in casa", non perché lui non sia una persona pulita, ma perché c'è "troppa roba che è anche difficile da spostare". 

Quando era piccola Asia notava la differenza con le case dei suoi amici, ma pensava che semplicemente fossero "persone più ordinate" e oggi invidia "quell’assenza di consapevolezza" che le consentiva di non accorgersi di tutto il dolore che si nasconde dietro questo disturbo. Alle sensazioni di angoscia e vergogna, infatti, si aggiunge anche la paura. Suo padre sta invecchiando e soffre di alcune patologie, "se mai dovesse avere bisogno di assistenza per i soccorsi sarebbe anche difficile trovarlo in casa". 

Asia vorrebbe continuare gli studi per realizzare i suoi sogni professionali, ma ogni giorno si chiede se sia il caso di farlo oppure no. "Penso che dovrei lavorare e mettere da parte soldi perché, se mai mio padre dovesse avere un problema, ne servirebbero tanti per svuotare la casa e renderla sicura". 

Lei ha imparato a gestire questo mix di emozioni grazie a un percorso di psicoterapia che le ha permesso di prendere consapevolezza e capire che quello del padre è un disturbo sul quale può intervenire ben poco. Oggi riesce a "dissociarsi" quando sente "che il dolore è troppo", ma continua a vivere con la paura che suo padre possa inciampare perché non c'è spazio per camminare o che gli possano cadere addosso le pile di oggetti che ha accumulato negli anni e che"muoia letteralmente sepolto in casa sua".

Parlare della sua storia non è facile, ma Asia lo fa perché in Italia non esiste una rete di supporto efficace per aiutare le persone che soffrono di disturbo d'accumulo. Lei ha provato più volte a chiamare i servizi sociali della città in cui vive il padre, ma non ha mai ricevuto risposta. "Papà avrebbe bisogno di aiuto", sia emotivo – per gestire tutto il dolore che sente e che si collega al disturbo d'accumulo –, sia dal punto di vista pratico "per liberare la casa e renderla vivibile e sicura". 

Il disturbo d'accumulo dal punto di vista psicologico

Quello che oggi viene chiamato "disturbo d'accumulo" fino al 2013 era conosciuto e trattato solo "come un sintomo di altri disturbi", spiega ai microfoni di Fanpage.it la psicologa Claudia Perdighe. Le sue caratteristiche, invece, sono molto specifiche: l'accumulo di oggetti e la difficoltà a separarsene, la difficoltà a organizzarli nello spazio e l'acquisizione quasi compulsiva senza riuscire a distinguere le cose utili da quelle inutili.

Dal punto di vista diagnostico"pur essendo un disturbo autonomo" – si inserisce nella sfera dei disturbi ossessivo-compulsivi e "non è infrequente vederlo in parallelo con autismo o la fase iniziale della demenza". L'attaccamento agli oggetti può essere di tipo affettivo o legato a un concetto di "responsabilità, perché si pensa che buttarli sia uno spreco oppure che potrebbero servire in futuro".

Solitamente inizia durante l'adolescenza, "nel 70% dei casi si manifesta prima dei 20 anni, ma diventa visibile con il passare del tempo", dice la Dottoressa Perdighe. Peggiora per decenni, ma in momenti traumatici "come perdite, lutti, separazioni si manifesta in modo più evidente".

Le conseguenze del disturbo d’accumulo sulla persona che ne soffre sono svariate. Dal punto di vista psicologico si può generare un senso di vergogna che causa sofferenza sociale"spesso frequentano persone, ma solo fuori casa" – e conflittualità nei rapporti familiari e/o con i vicini di casa.

Immagine

Dal punto di vista pratico, invece, il disturbo d'accumulo nella maggior parte dei casi "coincide con condizioni igienico-sanitarie non positive, soprattutto quando c’è un accumulo di animali" e porta anche a problemi legali e finanziari. Chi ne soffre, infatti, non solo spende tanti soldi per comprare, ma anche per poter conservare ciò che accumula: "Ci sono persone che affittano più case per conservare gli oggetti oppure occupano interi garage". Queste conseguenze ricadono anche sui figli o sui partner "che si trovano costretti a vivere in una casa poco funzionale, raramente possono invitare persone a casa e vengono accusati se provano a mettere in ordine". 

Aiutare la persona che ne soffre è molto difficile, "perché spesso non riesce a vedere il disturbo o lo difende": l'unica cosa che un parente può fare è provare a renderlo più consapevole, mettendolo al corrente delle conseguenze negative che ha sulla vita di chi lo ama "o facendogli vedere trasmissioni o scritti che gli permettano di aprire gli occhi". 

La soluzione migliore, specialmente per i figli, spesso è allontanarsi dalla casa. Se questo non è possibile per diversi motivi, si può provare "a tutelare almeno uno spazio, come la propria stanza". 

Il problema per i familiari è che oggi, in Italia, esistono ancora pochi servizi che si occupano di accumulo – "eccetto qualcuno a Milano"– perché rimane un disturbo poco conosciuto. L'ideale sarebbe "un intervento d’equipe: assistente sociale, medico, terapeuta, figure tecniche per lo sgombero, come succede in America".

Infatti è importante che ci sia sempre qualcuno che si occupi anche dell'aspetto psicologico, "perché negli Stati Uniti è stato osservato come uno sgombero forzato porti spesso a un suicidio". 

0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views