La storia dei minori stranieri che non possono giocare nella squadra di calcio del paese: “Tesserarli è un calvario”
È la squadra dell'oratorio del paese, quasi 2500 anime nel cuore del Lodigiano. Si tratta del piccolo team di giovanissimi calciatori Under 17 della Polisportiva Oratorio Livraga, che da più di 70 anni accoglie come una seconda famiglia i ragazzi del territorio e insegna loro a dribblare, parare, crossare con il pallone così come gestire sconfitte e vittorie, condividere campo e spogliatoio con i compagni. Tra loro ci sarebbero anche tre ragazzi affidati ad una comunità per minori non accompagnati nella vicina Orio Litta (Lodi), la cooperativa sociale Buonagiornata. Arrivano da Ghana, Senegal, Guinea, e sono qui senza genitori. "Ma cercare di tesserarli e farli giocare è un calvario, ogni volta ci richiedono una montagna di documenti", fanno sapere dalla società sportiva a Fanpage.it.
"Per un caso si è dovuto aprire il tesseramento a Roma, inviando più di 15 documenti. Per un altro è stato addirittura chiesto lo stato di famiglia… Ma se sono affidati a una comunità e vanno regolarmente a scuola, perché non procedere con il tesseramento per la squadra dell'oratorio? Lo sport è una delle maggiori occasioni di integrazione. Perché ostacolare le società che senza chiedere niente in cambio offrono questo preziosissimo servizio, visto che non ci risulta sia un problema solo nostro?".
Il tesseramento impossibile per i ragazzi della comunità
"La Polisportiva Oratorio Livraga è la società sportiva del paese. Con grandi difficoltà quest'anno abbiamo messo in piedi una squadra di calcio categoria Allievi Under 17, dove si gioca in 11 e dove servono almeno 18/20 ragazzi", racconta a Fanpage.it Lorenzo Boffelli, papà di uno dei giovani calciatori e da anni volontario della Polisportiva. Una delle tante squadre parrocchiali del territorio, spesso vivai di talenti in erba e soprattutto palestra di vita per l'amicizia, il senso di disciplina e l'integrazione. "Ci sono 6 o 7 ragazzi con entrambi i genitori di nazionalità italiana, e tutti gli altri immigrati o figli di immigrati. Tra questi ci sono i tre ragazzi della comunità, che vengono sempre agli allenamenti e si comportano benissimo. Uno ha meno di 16 anni, ed è stato tesserato senza eccessiva fatica. Per gli altri due, purtroppo, non è stato così: per uno ci sono voluti mesi, mentre l'altro è stato addirittura respinto".
La burocrazia infinita
Per far partecipare questi giocatori alle partite, la società sportiva deve infatti fornire una serie infinita di documenti non sempre possibili da reperire (permessi di soggiorno dei genitori, certificati scolastici e così via) e il tesseramento richiede così diverse settimane, se non mesi. "C.T. ha 16 anni compiuti e la pratica per il tesseramento era stata respinta dalla FIGC di Lodi con indicazione di rivolgersi alla Federazione Nazionale, sostenendo che l'ente competente fosse quello della Lombardia. L’iter cominciato alla fine dell'estate si è finalmente concluso il 24 ottobre, quando il ragazzo ha saltato ormai diverse partite di campionato".
È andata però diversamente agli due. "T.D., invece, ha 16 anni compiuti ed è arrivato in Italia nell'agosto del 2023. Per lui è stato necessario aprire la pratica del tesseramento presso la FIGC di Roma. Inizialmente è stato richiesto di inserire il suo certificato di nascita e lo stato di famiglia, che ovviamente non possiede perché arrivato senza documenti dopo la traversata del Sahara e i mesi trascorsi nelle prigioni libiche. Quindi abbiamo dovuto inserire infiniti documenti complicatissimi da produrre, tra cui delega dei servizi sociali alla cooperativa affidataria, autorizzazione della cooperativa e dichiarazione per attestare che il minore è sprovvisto di atto di nascita, lettere della società sportiva, documenti della Questura che sostituiscono il passaporto, verbale della Questura con cui il minore è stato assegnato ai servizi sociali, permesso di soggiorno. Documentazione di cui, dopo la consegna, ci è stata anche chiesta una traduzione in inglese, ovviamente certificata da enti pubblici internazionalmente riconosciuti". L'ultimo documento, richiesto dalla FIFA, è lo status del certificato di rifugiato o di persona protetta, da produrre entro sei giorni. Risultato? Domanda bocciata dalla FIFA. Le motivazioni, richieste dalla Federazione di Lodi, sono ancora da visionare: tempistiche, circa 8 settimane.
I dirigenti della squadra, però, non mollano. "Vogliamo evitare di lasciare fuori dal campo questo ragazzo. È già escluso da mesi, il campionato è cominciato a inizio settembre", spiega anche il presidente della Polisportiva Oratorio Livraga, Claudio Mazzucchi. "E non è certo la prima volta. È proprio la procedura che è completamente sbagliata. Riscontriamo spesso problemi anche per i bambini figli di genitori stranieri: tutti gli anni, per il tesseramento, ci vengono a chiedere il permesso di soggiorno, quelli dei genitori e tante altre carte ancora… ma se sono nati in Italia e vanno da sempre a scuola, a che serve?".
Un'occasione di integrazione sprecata
Un iter burocratico decisamente complicato che lascia seduti in panchina i ragazzi per mesi e mesi. Impedendo quindi loro di partecipare alle trasferte, conquistare vittorie in campionato, condividere il campo con i compagni. In poche parole, integrarsi realmente sul territorio e fare parte del suo tessuto sociale. "I ragazzi non vedono l'ora di scendere in campo. Al mister chiedono ogni domenica: la prossima gioco anche io? È dura dirgli di no, che devono incrociare le braccia e non giocare. Non va bene".
Del resto procedure di questo tipo, come fanno sapere dalla FGIC locale, in mancanza dei dati richiesti per legge (e spesso gestiti da privati volontari, non certo segreterie professioniste) diventano il più delle volte di competenza nazionale, quindi non gestite dagli enti territoriali come accade per i cittadini italiani: è quindi Roma a decidere le sorti del singolo giocatore, seguendo le regole dettate dalla FIFA e i tempi di una enorme organizzazione internazionale. Lasciando nel frattempo in panchina, in un tortuoso percorso di sabbie mobili, i sogni dei piccoli calciatori in erba.
"Le lungaggini del sistema creano esclusione. E l'emarginazione crea inevitabilmente povertà, delinquenza e tutti i fenomeni degenerativi che purtroppo conosciamo bene", spiega Andrea Menin, l'educatore che segue i tre ragazzi in comunità. "Il nostro mondo deve girare a un'altra velocità: percorsi di integrazione sani e positivi sono una priorità per il Paese in questo momento. Più si rallenta questo processo, più si crea marginalità. E lo sport, da sempre, è l'attività che per eccellenza accoglie ogni differenza e crea reale integrazione. È un ambiente trasversale, dove non conta la tua lingua o il colore della tua pelle ma la voglia di metterti in gioco, divertirti e stare in gruppo. E questo accade soprattutto nelle realtà dei piccoli territori, che con tanta fatica e lavoro volontario fanno tantissimo per includere i ragazzi della zona". Con la speranza che si possa fare ancora di più.