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La Spumador è vittima o complice della ‘ndrangheta? Tutta la verità

Attraverso minacce e intimidazioni il personale dell’ufficio aggiudicazioni della Spumador era stato così costretto a fare gli affari della ‘ndrangheta. Ma i vertici sapevano tutto? Sono dunque complici o vittime?
A cura di Giorgia Venturini
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Le famiglie di ‘ndrangheta erano riuscite ad autoassegnarsi, tra l'altro in regime di monopolio, gli appalti per i trasporti delle consegne della Spumador. Come facevano? Mettendo in campo (ancora una volta) il metodo mafioso: attraverso minacce e intimidazioni il personale dell'ufficio aggiudicazioni della nota azienda che produce bibite gassate era stato così costretto a fare gli affari del clan e non quelli della società.

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Gli affari della ‘ndrangheta nel colosso delle bibite

Non è che il primo passo della ‘ndrangheta per entrare di prepotenza nel colosso delle bibite il cui quartier generale è ancora oggi a Cadorago, in provincia di Como, ma dal 2011 venduto agli olandesi di Refresco Europe B.V. L'avanzata della criminalità organizzata al suo interno era stata fermata già nel 2021 quando un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano aveva svelato tutto e aveva fatto scattare le manette per 54 persone. Chi finì agli arresti un anno fa furono anche i fratelli Antonio e Attilio Salerni, titolari della ditta (ora sotto sequestro) Sea Trasporti srl. I fratelli Salerni erano poi subappaltatori dell'aziende dei fratelli Alessandro e Vincenzo Palmieri, e dei fratelli Domenico e Andrea Stillitano. Tutte e tre le famiglie sono vicine alla ‘ndrangheta e tutte sono state in grado di aggirare le interdittive antimafia dietro sempre nuovi veicoli societari e alterare le regole della concorrenza. A distanza di un anno per la Spumador è arrivata la decisione del Tribunale di Milano di sottoporre l'azienda all'amministrazione giudiziaria per un anno. Come spiegano fonti investigative a Fanpage.it nel dettaglio questo vuol dire che ai vertici dell'azienda è stato affiancato un "tecnico" per impedire che altre scelte vengano condizionate dal volere della ‘ndrangheta.

Le minacce e intimidazioni ai dipendenti

Tra l'azienda di Salerni e i dipendenti della Spumador gli affari venivano "discussi alla calabrese", come si sente dire in un'intercettazione a uno dei membri della famiglia di ‘ndrangheta. E se l'azienda cercava di assegnare una tratta a qualche altra società iniziavano le minacce. Come si sente nelle intercettazioni riportate da La Repubblica: "Non rompermi più il cazzo, perché ti faccio nero, ti faccio nero a te e al tuo capo…hai capito, non rompermi più". A mettere in atto più di tutti il metodo mafioso era proprio Antonio Salerni, leader della Sea Trasporti. I suoi due fratelli riportano così le parole di intimidazione del boss ai danni di uno dei dipendenti: "Ha detto che ti spacco in due che ti mando all'ospedale (…) e sennò va a finire che l'ammazzava di botte".

L'azienda vittima o complice?

Nessun vertice dell'azienda, così come nessun dipendente è finito sotto indagini. La ‘ndrangheta infatti nei loro confronti ha usato il metodo mafioso: l'azienda dunque è "parte offesa" di un metodo mafioso che continua a far tremare le aziende del territorio lombardo. Nessuna collusione accertata dunque, nessun affare stretto con l'unico obiettivo di guadagnare da entrambe le parti. Ma l'azienda sapeva della prepotenza della criminalità organizzata? Sì, la conferma arriva anche dai giudici: "E' fuor di dubbio che la direzione della società Spumador S.p.a. fosse pienamente consapevole dell'inserimento dei fratelli Salerni in contesti malavitosi e che, tuttavia, per lungo tempo sia rimasta inerte a fronte della progressiva infiltrazione della famiglia Salerni nei rapporti imprenditoriali, omettendo di assumere iniziative volte a rescindere i legami commerciali con tali soggetti, con ciò realizzandosi, quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall'inerzia della società, quella condotta agevolatrice richiesta dalla fattispecie ex art. 34 D.Lvo 159/2011 per l'applicazione della misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria". Per questo nei confronti della direzione non è stato attivato nessun provvedimento penale ma i giudici hanno riconosciuto che l'azienda non è stata capace di agire e reagire alla progressiva infiltrazione della famiglia Salerni e dei fratelli Palmieri e Stillitano.

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