La rettrice del Politecnico di Milano: “Le donne a capo degli Atenei sono ancora meno del 20 per cento”
"Per diventare Rettrici nelle università statali bisogna essere votate e a farlo, specie in università tecnico-scientifiche come il Politecnico, sono proprio gli uomini, che rappresentano la netta maggioranza. Significa che c’è una larga fiducia nelle donne e nelle loro capacità, e questa va oltre il pregiudizio", così la professoressa Donatella Sciuto, attuale rettrice (la prima) del Politecnico di Milano commenta con Fanpage.it il fatto che a Milano, su otto atenei, cinque siano guidati da donne.
Professoressa Sciuto, lei è la prima donna a dirigere il Politecnico di Milano, succedendo al Professor Ferruccio Resta. Una grande responsabilità guidare una delle più prestigiose Università italiane ed internazionali?
Sicuramente lo è. Parliamo di quasi cinquantamila studenti… una bella responsabilità, che non ci spaventa. Il Politecnico di Milano in oltre centosessant’anni non si è mai sottratto a questo impegno. È così che oggi possiamo dire di essere una delle università italiane più riconosciute all'estero.
Chiedo anche a lei: cinque donne a capo di altrettanti atenei cittadini. Cinque su otto. Che cosa significa?
È un buon segnale: vuol dire che da un lato le donne si candidano, il che non è banale. Si mettono in gioco senza timore, accantonano quella che in gergo si chiama la “sindrome dell’impostore”. Spesso le donne non si sentono adatte e si sottovalutano. Quando arrivano al vertice pensano di essere inadeguate. Ma non è così. Per diventare Rettrici nelle università statali bisogna essere votate e a farlo, specie in università tecnico-scientifiche come il Politecnico, sono proprio gli uomini, che rappresentano la netta maggioranza. Significa che c’è una larga fiducia nelle donne e nelle loro capacità, e questa va oltre il pregiudizio. Milano poi è un ottimo esempio per il resto d’Italia. Una vera "role model".
Qual è il segreto del Politecnico per essere così qualificato in Italia ed Europa?
Segreti non ce ne sono, solo duro lavoro e la dedizione delle molte persone che rappresentano l’anima del Politecnico. Ricerca di qualità e didattica di eccellenza; una rete solida di contatti con le imprese; un impegno costante verso la società civile; una propensione a guardare all’estero e a misurarci con le prime università in Europa… Questi sono alcuni degli ingredienti che ci posizionano al cento undicesimo posto nella classifica mondiale QS. Ma forse il vero segreto è proprio quello di non accontentarsi, di continuare a progettare politiche di crescita che ci rendano ancora più attrattivi. Lo abbiamo nel DNA!
Quali sono gli obiettivi del suo mandato che, ricordiamo, va dal 2023 al 2028?
Gli obiettivi sono diversi e vanno tutti nella direzione di rendere l'ateneo ancora più sostenibile, più inclusivo e più attrattivo. L'Obiettivo, con la lettera maiuscola, è quello di valorizzare la persona e di crescere nella diversità. Sono infatti profondamente convinta che solo un ambiente aperto possa stimolare idee nuove. Ci stiamo muovendo in questa direzione su tutti i fronti, a partire dai nostri studenti, dal diritto allo studio a percorsi di studio sempre più personalizzati e multidisciplinari, alla ricerca, poliedrica e ispirata agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Solo così potremmo affrontare in forma critica le grandi sfide globali, sempre articolate e complesse.
Quanto è valsa la sua esperienza qualificata all'estero per la sua attività di ricerca prima e di professoressa e rettrice dopo?
Come ricercatrice è stata un'ottima base. Mi ha permesso di mettere a fuoco la direzione dei miei studi. Il dottorato negli Stati Uniti mi ha consentito di capire alcuni aspetti della cultura della ricerca dei laboratori delle università americane e completare la mia preparazione, che ho poi scelto di sperimentare in Italia. Ho avuto la fortuna di provenire da una famiglia "europea", papà italiano e mamma francese. Ho studiato alla scuola internazionale. Insomma, ero già esposta a un contesto multiculturale, ma per molti ragazzi ancora oggi un periodo all’estero è quello che può dare un’apertura mentale che credo sia fondamentale in ogni campo. Questa è la ragione per la quale è indispensabile che le nostre università siano luoghi di scambio, che siano internazionali senza bisogno di oltrepassare il confine. Al Politecnico ogni anno accogliamo ragazzi da oltre cento paesi al mondo. Contiamo circa 8.000 studenti stranieri su un totale di 20.000 in tutta Milano. Quasi la metà…
Una domanda comune alle altre rettrici: è finito il tempo in cui, nel suo ruolo, una donna doveva dimostrare qualcosa in più di un uomo per poter essere all'altezza del compito?
Penso sia una domanda molto personale. Ciò che mi ha maggiormente discriminato, specie all’inizio della carriera, è stato il dato anagrafico: troppo giovane. A ventidue anni mi sono laureata in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano e da lì in poi è stato difficile scrollarsi di dosso questa etichetta. Detto ciò, c’è ancora molta strada da fare prima che una donna con pari competenze di un uomo abbia le stesse opportunità e, sottolineo, che nella carriera accademica non esistono quote rosa! Il collo di bottiglia è ancora stretto. Aggiungo poi che le Rettrici sono meno del 20 per cento del totale. Manterrei un cauto ottimismo.
Professoressa Sciuto: chi sono gli studenti per lei? Che cosa rappresentano?
Gli studenti sono il cuore pulsante dall’ateneo e, anche da rettrice, continuo a insegnare il mio corso di Ingegneria Informatica. Il nostro lavoro è dedicato a loro, affinché possano trovare la propria strada, esprimersi al meglio e dare un contributo positivo alla società una volta usciti dai nostri cancelli. Gli Alumni continuano ad essere parte attiva della nostra comunità. Sono i nostri ambasciatori. Alcuni hanno fatto carriere eccezionali, hanno portato i nostri valori e il genio italiano nel mondo. Giusto qualche giorno fa, all’evento di inaugurazione del Festival dell’Ingegneria, è stato davvero emozionante vedere con quale attenzione gli studenti pendessero dalle labbra di Giampaolo Dallara, letteralmente accerchiato da tantissimi ragazzi che vedono in lui un modello a cui tendere.
Politecnico e Milano: come vede il rapporto tra il suo ateneo e la città? E quanto e come è cambiata Milano, negli ultimi anni?
Il rapporto è simbiotico. Il Politecnico è stato voluto dalla città di Milano nel 1863 come sua prima università e questo legame non si è mai interrotto. Siamo parte integrante della città e del suo cambiamento: dal grande progetto della Goccia a Bovisa, che prevede non solo l’ampliamento del campus ma anche la realizzazione di un vero polo dell’innovazione e della rigenerazione del grande spazio verde, agli Off-Campus, che abbiamo aperto in alcuni quartieri periferici e a San Vittore come spazi di progettualità condivisa.
Essere rettrice, quanto è difficile conciliarlo con la vita privata? Ed esiste una vita privata?
Il lavoro è tanto e bisogna avere una buona organizzazione per conciliarlo con la vita privata. Devo dire che quando mia figlia era piccola ho attraversato sicuramente un periodo più impegnativo sotto questo punto di vista, facendo i salti mortali tra tate e nonni e coperture per le vacanze. Ricordo i pomeriggi in cui accompagnavo mia figlia a fare sport fuori Milano. Lavoravo col pc in macchina, aspettandola. Oggi è decisamente più autonoma…
Un'ultima domanda. Politecnico, come unicamente luogo di studio ed esami o gli studenti possono e devono imparare a vivere l'ateneo in maniera diversa, più totale, a 360 gradi?
Il Politecnico, prima ancora che un luogo di studio, è una comunità: dalle residenze agli spazi per la ricreazione e lo sport. Qualche anno fa abbiamo rimesso a nuovo il centro sportivo Giuriati e prevediamo di costruire una pista di atletica e una piscina in Bovisa. Giusto qualche giorno fa abbiamo inaugurato, nei pressi del rettorato, un nuovo spazio dedicato alle attività delle molte associazioni studentesche presenti in Ateneo. Negli ultimi anni, abbiamo esteso gli orari di apertura delle biblioteche, luoghi di studio ma anche di ritrovo… Vogliamo che l’università sia un’esperienza di vita. Una lezione che il Covid ci ha insegnato in modo chiaro! L’università non si fa a distanza.
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