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La psicologa indagata per il caso di Alessia Pifferi: “Lascio il lavoro in carcere, mi hanno umiliato”

Sentita in Procura, una delle due psicologhe indagate per falso e favoreggiamento nel caso di Alessia Pifferi ha deciso di non rispondere alle domande del Pm, ma ha lasciato l’incarico in carcere.
A cura di Ilaria Quattrone
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Le psicologhe Paola Guerzoni e Letizia Marazzi sono indagate per falso e favoreggiamento per il caso di Alessia Pifferi, la donna che è accusato di aver lasciato morire di stenti la figlia DianaGuerzoni, che non ha risposto al Pm Francesco De Tommasi durante l'interrogatorio, ha però deciso di non lavorare più nelle carceri. Ha, infatti, chiesto all'Azienda socio sanitaria territoriale di essere assegnata ad altri incarichi.

"Ho sempre speso la mia professionalità per gli ultimi degli ultimi, ho dato la vita per quel posto. Ora sono affranta e basita. Sono riusciti a spaventarmi e umiliarmi. La perquisizione a casa che ha coinvolto la mia famiglia è un trauma personale", scrive alla sua dirigente nella lettera riportata dal suo avvocato Mirko Mizzali. Poi la psicologa ribadisce: "Sono innocente su tutta la linea, la verità verrà a galla. Ma ora il mio sentimento è di dolore e annientamento".

L'avvocato Mazzali: "Respingiamo ogni accusa"

Questa decisione sarà presto comunicata al pubblico ministero Francesco De Tommasi: "Respingiamo ogni accusa. Non è stato commesso alcun reato e il loro lavoro è sempre stato svolto alla luce del sole, senza alcun accordo clandestino. La mia assistita, pur ritenendosi estranea a ogni illecito, ha deciso di lasciare questo ambito", ha affermato l'avvocato Mirko Mazzali.

Entrambe le professioniste erano già sospese in via temporanea dal loro incarico a San Vittore: al momento non risultano provvedimenti da parte dell'Asst.

L'interrogatorio davanti al pubblico ministero

Nella giornata di oggi, mercoledì 31 gennaio, si è svolto l'interrogatorio davanti al pubblico ministero Francesco De Tommasi negli uffici della Procura e non più nel carcere di Opera, come paventato inizialmente. Paola Guerzoni non ha però risposto alle domande del magistrato. "Abbiamo prodotto una lettere, una specie di memoria in cui prendevamo posizione sui fatti che contestiamo", ha spiegato il legale della donna Mirko Mazzali.

"Non credo – continua il legale – ci sia accanimento, contesto le valutazioni e pongo problema come cittadino. Può la magistratura dire che siccome hanno sbagliato a fare un test questo sia un reato? Può decidere che se l’avvocato difensore che si attiva o gioisce se ottiene una consulenza questo sia un reato? Secondo me no, questo è il tema di questa indagine".

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