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Omicidio di Giulia Tramontano

La perizia psichiatrica su Impagnatiello deve servire a non mescolare la realtà con gli alibi incredibili

Nelle sue deposizioni Impagnatiello è stato verboso, prolisso, ripetitivo. Persino logorroico. Evasivo e succinto, però, ogni volta che veniva messo alle strette sugli elementi che dimostrerebbero la premeditazione nell’omicidio di Giulia Tramontano.
A cura di Piero Colaprico
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Pazzo non è il termine giusto, né scientificamente, né in nome del politicamente corretto, ma un fatto è certo. Adesso saranno i consulenti nominati dalla corte d’Assise ad aiutarci a capire se Alessandro Impagnatiello, "ci è" oppure se "ci fa". Pazzo? La domanda resta sospesa finché non saranno gli psichiatri ad accendere, nelle tenebre, una luce. Una luce sull'assassino.

Impagnatiello: narcisista, e cioè innamorato di se stesso. Con nuclei patologici anche ossessivi e paranoidei, e cioè preda delle sue fissazioni. Quando Impagnatiello ascolta dalla gabbia degli imputati le prime "diagnosi" dei consulenti della difesa sulla sua personalità, resta inespressivo. Ma chi è davvero questo giovane ex barman e ora galeotto che per ore e ore di domande e risposte, in ben due udienze, ha abbondantemente mostrato varie versioni di "se stesso" e delle sue malefatte all'aula gremita? E se alla fin fine Impagnatiello non fosse altro che il classico assassino che ammazza la compagna e si crea degli alibi? Uno che pensa di essere intelligente? Anzi, molto più intelligente lui dei carabinieri che lo braccano, dei magistrati che lo ascoltano, dei giornalisti che prendono appunti? Se insomma fosse un narcisista, certo, ma anche uno che ancora adesso le inventa tutte per evitare l’ergastolo?

Un po' a sorpresa, e un po' no, ma andando in cerca di certezze scientifiche, la corte d'Assise ha deciso che una perizia psichiatrica adesso ci vuole. E ci vuole nel giudizio di primo grado per due ragioni. Una, molto pratica, e non scritta, affinché in nessun grado di giudizio successivo qualche difensore possa dire che ci siano state omissioni. L'altra, molto onesta, per stabilire se davvero esistano in Impagnatiello alcuni deficit che abbiano minato la sua capacità d'intendere e di volere.

Quindi, nell'attesa della nomina degli psichiatri (il 27 giugno), sia permesso, a noi che non siamo seguaci ed esegeti di Sigmung Freud e Carl Gustav Jung, ma che abbiamo ascoltato numerosi interrogatori e confessioni di assassini, di dire che sinora Impagnatiello è stato nelle sue deposizioni verboso, prolisso, ripetitivo. Persino logorroico. Evasivo e succinto, però, ogni volta che veniva messo alle strette.

Con l'occhio che resta facile alle lacrime quando parla di se stesso, o delle tenerezze che lo legano al primo figlio concepito a 21 anni, il bambino che lui vedeva come “il fratello minore che non ho mai avuto”. Ma con il ciglio asciutto quando racconta delle sue relazioni parallele e dei suoi inganni molteplici. Rivolti sia alla fidanzata Giulia (che ammazzerà e che per mesi e mesi confina nella casa di Senago, abbandonandola ogni volta che bisogna comprare i mobili per la cameretta). Sia alla collega A., che, contrariamente a quanto aveva raccontato in aula, Impagnatiello (lo ha scoperto l’avvocato di parte civile) porta in giro per cene e aperitivi, anche costosi – 130 euro al Duca di Milano – e lo fa spesso nel raggio del luogo di lavoro, per "ottimizzare i tempi" e per non farsi fare troppe domande dalla fidanzata ufficiale e saggiamente gelosa.

Se dalla corte arriva all’imputato l’invito a esprimersi "sinteticamente", l’avverbio non viene percepito. Con il figlio giocava "assieme" e questo "assieme", così rassicurante, lo ripete cinque volte. Sappiamo che ha ucciso Giulia, ha truccato la scena del crimine, ha tentato subito di costruirsi degli alibi: ma – domanda della Presidente della corte – quando si è reso conto di aver ucciso?

"Ore dopo", risponde. "Ore dopo" perché "una parte di me sapeva che cosa era accaduto", e un’altra parte chissà. Questo suo "ore dopo" torna e ritorna, come un mantra, nella ripetitività del suo striminzito vocabolario. Ma davvero Impagnatiello può "credere" che i familiari di Giulia, i giudici e gli psichiatri possano "credere" a questo suo black out molto, ma molto selettivo? "L’oscurità in me non mi faceva ragionare", assicura. Considerando tutti i depistaggi che ha tentato di costruire, inventando per i parenti in lacrime che Giulia si fosse allontanata per una sua amara e in fondo comprensibile scelta, quanto intermittente sarebbe questa presunta oscurità. E che cos’è questa oscurità?

Impagnatiello usa spesso una parola curiosa: "Cancellato". Cioè, la sua testa, così vuol farci credere, non ha negato l'evidenza, non ha truccato orari e atteggiamenti, non lo ha fatto piangere a comando, non gli ha permesso di tentare più volte di distruggere il cadavere, no. La sua testa ha (più semplicemente) "cancellato" qua e là i tanti, troppi pezzi di realtà che non gli piacciono. Cioè, sulla lavagna dei suoi comportamenti e dei suoi ricordi, è passato uno straordinario cancellino che ha eliminato una serie di "cose". Guarda però il destino! La testa rannuvolata dall'oscurità ha cancellato soprattutto quei fatti che lasciano ipotizzare un'aggravante precisa e cruciale: e cioè la premeditazione.

La realtà di un omicidio feroce, delle 37 coltellate, della morte del bimbo di sette mesi che Giulia portava in grembo non si può cancellare. Lui lo sa, ma nell’aula dice: "La mia testa stava impazzendo". E aggiunge: "Ho voluto credere di essere pazzo, ma non sono pazzo". Non è pazzo, lui non lo dice di sé. Ma se lo dicesse qualcun altro?

A noi cronisti resta da notare che la mente del "narcisista ossessivo paranoide" (termini dei consulenti della difesa), pur nel grande buio che la circonderebbe, è rimasta abbastanza attiva. Attiva, ad esempio, per spiegare che le sue ricerche sul veleno per topi ("per uccidere uomo") non volevano assolutamente "danneggiare" Giulia. O che il cloroformio serviva per costruire un acquario per meduse. E che quella "ceramica bruciata", cercata poco prima dell’omicidio con distruzione del cadavere con fuoco nella vasca da bagno, altro non fosse che il comportamento del bravo casalingo. Impagnatiello, dentro il suo “Castello di bugie”, sta per ricevere una visita speciale: quelle di chi lo aiuterà a non mescolare la luce della realtà con le tenebre degli alibi incredibili.

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Piero Colaprico. Liceo al collegio Morosini, laurea in legge a Milano, assunto nel 1985 da Repubblica, nominato nell’89 inviato speciale, nel 2006 responsabile del settore nera e giudiziaria, nel 2017 capo della redazione. Si è dimesso nel ’21, mantenendo varie collaborazioni giornalistiche. Scrittore di gialli e noir, ne ha scritti 15, alcuni tradotti in inglese, francese, romeno. Da un suo saggio, “Manager calibro 9”, è stato tratto il film “Lo spietato”. Scrive anche per il teatro, attualmente è direttore artistico del teatro Gerolamo, storica sala milanese.
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