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La lettera del trapper che ha tentato il suicidio in carcere: “Ho perso la battaglia contro la depressione”

Il trapper 26enne Jordan Jeffrey Baby, in carcere da agosto per aver rapinato un operaio nigeriano con l’aggravante di aver agito per odio razziale, ha tentato di nuovo il suicidio nel carcere di Pavia.
A cura di Ilaria Quattrone
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Il trapper 26enne Jordan Jeffrey Baby, all'anagrafe Jordan Tinti, ha tentato di nuovo il suicidio nel carcere di Pavia. Tinti si trova in carcere da agosto scorso con l'accusa di aver rapinato, insieme al collega Traffik, un operaio nigeriano a Carnate (Monza) con l'aggravante di aver agito per odio razziale.

Il 26enne avrebbe provato di nuovo impiccarsi: "Lo hanno trovato in cella a terra con una ferita alla testa, privo di sensi, segno che la corda o il lenzuolo che ha utilizzato si è strappato quando è caduto a terra".

Un episodio simile era già accaduto alcune settimane fa. "Anche questa volta la notizia non mi è arrivata dal carcere, ma dal ragazzo stesso". L'avvocato ha spiegato a Fanpage.it che il carcere di Pavia "non ha mai riscontrato le mie richieste, via Pec e telefono, di informazioni in merito allo stato di salute del mio assistito e in relazione alla violenza sessuale subita".

La lettera al padre

Accanto al corpo del ragazzo, è stata trovata una lettera indirizzata al padre: "Se starai leggendo questa lettera è perché dopo l’ennesimo tentativo di riabbracciarti e trascorrere con te tutto il tempo perso in questi anni, che fin dal primo giorno in cui sono entrato dentro le mura dell’inferno, ho avvertito una voglia matta di recuperare".

"Ho ceduto e perso la mia più importante battaglia: quella contro la depressione, che mi affligge da mesi ormai. Non avrei molto da aggiungere, ma allo stesso tempo ho un’infinità di cose. Ma le lacrime che sto versando mentre ti scrivo tutto ciò mi bloccano e limitano a chiederti solo scusa e perdono. Scusa per non essere mai riuscito ad essere il figlio perfetto né tantomeno mai un buon figlio".

"E scusami per tutto il dolore arrecato in questi anni e al dolore ti arrecherà questo mio gesto disperato, ma ti chiedo di comprendere allo stesso tempo tutto il dolore percepito, al quale oggi voglio porne fine. Voglio che tu sappia che, anche senza avertelo mai esternato, sei la persona che più ho amato in questa breve ma intensa vita".

"Voglio che la forza che hai sempre avuto non ti abbandoni nemmeno questa volta, perché sei la persona più forte che abbia mai conosciuto. Ti ho sempre ritenuto una sorta di supereroe, il mio preferito. Ovunque sarai sarò sempre con te, non dimenticarlo. Che giustizia venga fatta, con o senza di me in vita. Non smettere mai di lottare. Fallo per me".

Il processo

L’11 gennaio, durante l’udienza preliminare, l’avvocato difensore ha presentato un’istanza di sostituzione della misura del carcere con quella degli arresti domiciliari da scontare a casa del padre. Il legale ha motivato la sua richiesta ricordando che il suo assistito è stato trasferito dal carcere di Milano a quello di Pavia per le aggressioni e le minacce subite da altri detenuti.

Ha precisato che Tinti ha iniziato in carcere un percorso per superare la dipendenza da alcol e droga. Ha sottolineato come ha scelto di essere giudicato con rito abbreviato e offerto un risarcimento alla parte civile. Ha poi specificato che il giovane ha una particolare situazione familiare dove il padre è invalido al 70 per cento e la madre ha un disturbo borderline.

Sostituire la misura cautelare con gli arresti domiciliari, gli avrebbe quindi consentito di poter assistere il padre nelle attività quotidiane. Due giorni dopo, il 13 gennaio, il giudice ha rigettato l'istanza. L'avvocato ha impugnato la decisione e ha presentato la documentazione medica del ragazzo in cui venivano riportati alcuni episodi di autolesionismo dovuti "all'insofferenza per il protrarsi dello stato detentivo".

Successivamente è stata anche depositata una querela attraverso la quale il ragazzo denunciava di aver subito una violenza sessuale da parte di un altro detenuto. Durante un'udienza, l'avvocato ha poi presentato ulteriori documenti che mostravano come tra loro e la parte civile ci siano stati contatti per un'integrazione dell'offerta di risarcimento.

Il ragazzo ha poi raccontato al giudice di essere molto "provato dalla detenzione e che i gesti di autolesionismo erano dovuti a tale insofferenza". Soprattutto chiedeva di "poter tornare a casa dal padre, unico vero affetto rimastogli". Il tribunale del Riesame però non ha accolto l'istanza.

Per il Tribunale infatti persiste “ancora oggi un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato”. Il Collegio, oltre a ricordare come il ragazzo abbia commesso un reato “particolarmente odioso”, ritiene che ancora oggi non ha compreso “appieno la portata offensiva del fatto contestato” dal momento che avrebbe più volte “negato gli addebiti”.

Il Riesame ha quindi risposto punto per punto agli elementi presentati dalla difesa. Per i giudici la scelta del rito abbreviato e le offerte risarcitorie rappresentano “un dato neutro". Ha poi sottolineato che il passato di abusi di sostanze alcoliche e stupefacenti da parte del giovane, non è un dato tranquillizzante.

Così come non lo è il fatto che in passato abbia più volte iniziato e abbandonato percorsi terapeutici. I giudici hanno affermato però di apprezzare la presa di coscienza dei suoi problemi, la volontà di prendere contatti con il Sert e le visite con uno psicologo del carcere. Sostengono che sia necessario che il ragazzo inizi un percorso terapeutico in comunità. Purtroppo però, come spiegato dall'avvocato a Fanpage.it, nessuna comunità al momento ha risposto alle loro chiamate.

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