La famiglia del 18enne morto carbonizzato a San Vittore: “Non doveva trovarsi in quella cella”
"Vogliamo sapere come è morto mio fratello": a dirlo è Georg Barsom, il cui fratello 18enne Youssef Mokhtar Loka Barsom è morto carbonizzato nel carcere di San Vittore a Milano. Il giovane si trovava in sella con un altro detenuto quando è divampato un incendio – forse causato dai due come atto di protesta – che è sfuggito al controllo e ha investito e ucciso il ragazzo. Il suo compagno di cella è attualmente indagato dalla Procura di Milano per omicidio colposo.
"La nostra famiglia andrà fino in fondo", ha detto la sorella al quotidiano Il Giorno. La famiglia vuole sapere perché è stato "lasciato in carcere, in una struttura dove non avrebbe dovuto stare". Youssef, che è arrivato in Italia dall'Egitto, era stato arrestato rapina. Un reato che aveva commesso già da minorenne. Nell'ottobre 2023, però, il tribunale per i minorenni di Milano lo aveva assolto per vizio di mente a seguito di una perizia psichiatrica. I medici avevano affermato che avrebbe dovuto seguire "un percorso di cura integrato in una struttura specializzata che assicuri in una prima fase un alto contenimento e un controllo stringente e continuativo, quale una comunità terapeutica ad alta assistenza".
Il 18enne, che a 15 anni aveva vissuto in un campo di prigionia in Libia, non sarebbe dovuto essere in carcere. Nella perizia, infatti, era stato sostenuta "la necessità di un contesto di cura altamente protetto che assicuri condizioni di cura integrate". Avrebbe dovuto seguire un "rapporto individualizzato e un'adeguata terapia farmacologica". Dopo questo esame e l'assoluzione, Youssef è diventato maggiorenne e ha commesso un'altra rapina che lo ha portato in carcere a San Vittore. Nonostante le richieste del suo avvocato di trasferirlo in un'altra struttura, il 18enne è rimasto lì: a quanto pare non c'era posto in comunità ed è finito in lista d'attesa.
"Mio fratello non si sarebbe mai tolto la vita. non aveva mai espresso un simile proposito, e lui era una persona che diceva sempre in faccia quello che pensava. Era incapace di nascondere i suoi sentimenti. L’ho incontrato per l’ultima volta a luglio e non stava bene, sia fisicamente sia nella psiche. Una persona con i suoi problemi non avrebbe dovuto stare in carcere ma in una comunità protetta, per essere curato. Per questo qualcuno deve darci delle risposte, andremo fino in fondo perché sia fatta chiarezza sulle responsabilità".