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La condanna all’ergastolo di Alessandro Impagnatiello, il bugiardo dai tanti volti

Con Alessandro Impagnatiello va clamorosamente in scena il bugiardo che cambia sempre aspetto e rovina le persone che ha accanto.
A cura di Piero Colaprico
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Alessandro Impagnatiello (foto da LaPresse) e Giulia Tramontano (foto da Facebook)
Alessandro Impagnatiello (foto da LaPresse) e Giulia Tramontano (foto da Facebook)

Ci sono quattro immagini che fanno riflettere sulla personalità di Alessandro Impagnatiello, neo ergastolano. La prima immagine è l’Impagnatiello “buono”. Il barman di un hotel di lusso che compare anche nei video di propaganda del locale: con quel misto di efficienza, gentilezza e competenza che piace alla clientela, sorride e mesce cocktail. Come non fidarsi di uno come lui?

La seconda è l’Impagnatiello che, ormai stretto della morsa dei detective, prova ancora a cavarsela e durante la perquisizione racconta ai carabinieri che il veleno per topi, trovato nel suo zaino, non costituiva una delle sue armi del delitto, serviva invece per eliminare le troppe pantegane di Milano. In questo caso, non è più l’Impagnatiello gentile, è scostante e altezzoso. Prova a fare il bulletto con il maresciallo. Come non tenerlo a debita distanza?

La terza immagine è la sintesi dei suoi giorni nell’aula della Corte d’Assise: ecco la nuova faccia di Impagnatiello. Aria dimessa, sguardo triste, sospiri e singhiozzi. Chiede scusa ai parenti. Testa bassa. Sembra più gracile, ingobbito, tremante. Persino con gli psichiatri finge di collaborare, ringraziandoli perché –assicura – sta finalmente comprendendo chi è e che cosa ha combinato.

Infine, la quarta versione: oggi, il giorno della sentenza e quindi della condanna all’ergastolo, più sette anni, più pene accessorie. L’assassino è per la prima volta fuori dalla gabbia. Siede accanto alle sue legali. Maglione a rombi attillato, come pure i pantaloni. Ascolta la mazzata della corte, letta con calma dalla presidente: è impassibile e distaccato, all’inizio; alla fine dei due minuti della lettura, spunta un gesto di rabbia, sfregando la mano sotto il naso. E poi via, via veloce: senza salutare nessuno, scattante, vagamente torvo, una smorfia sulle labbra chiuse come un fermaglio.

Quattro foto di Impagnatiello: apparentemente una diversa dall’altra. Nell’atteggiamento e anche nello sguardo. Dunque, Impagnatiello chi è? Il problema è che lui e quelli come lui sono tutti questi quattro, e forse altri ancora: con Alessandro Impagnatiello va clamorosamente in scena il bugiardo che cambia sempre aspetto e rovina le persone che ha accanto.

Il disvelamento del killer ha richiamato nel palazzo di giustizia di Milano la folla di fotografi e di cameraman che, sin dal mattino, ha occupato ogni angolo sotto gli scranni della corte. Videocamere brandeggiavano in fondo all’aula e il più vicino possibile all’imputato. Ovunque ci si girasse, un obiettivo puntato. Una bolgia: "Più di quando c’era Berlusconi", è il commento di uno dei più anziani cronisti. Sembra aver colto il preciso segno dei tempi. Questo 25 novembre, ergastolo per Impagnatiello, requisitoria con richiesta d’ergastolo per Filippo Turetta, assassino di Giulia Cecchettin, resta fissato sul calendario: è cronaca che si fa storia.

Sono infatti entrate nella biografia del Paese Giulia Tramontano, incinta al settimo mese del piccolo Thiago, e Giulia Cecchettin, universitaria ammazzata da Filippo Turetta vicino Padova l’11 novembre del 2023. Sono diventate l’esempio di quello che non vorremmo mai più vedere finire così. Ci fanno pensare alla lunga lista dei femminicidi e agli oltre10mila “codici rossi” all’anno per violenza domestica e stalking.

Se nell’aula di Milano, affollata come non mai negli ultimi quindici anni, sono venuti tanti rappresentanti dei mass media, è certamente per assistere alla conclusione delle udienze del processo di primo grado, ma anche perché si avverte il rimbombare – e mai come adesso – di un gigantesco e collettivo "basta".

Basta con quel sentirsi superiori a prescindere che non pochi manipolatori provano nei confronti di mogli, fidanzate, colleghe, amiche, parenti. Basta con le gelosie assurde, basta con la mancanza di rispetto. Basta con gli Impagnatiello e i Turetta e con quelli come loro, capaci di fingere di amare e di proteggere. Sino al momento nel quale, senza un briciolo di pietà, uccidono. E, spesso, cercano anche di farla franca.

Non è facile per nessuno salvarsi dai manipolatori: bisogna ricordare però che alcuni, per non essere smascherati, sono in grado di commettere qualsiasi atrocità. Impagnatiello ne è la dimostrazione concreta, e sembrava un ragazzo così gentile.

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Piero Colaprico. Liceo al collegio Morosini, laurea in legge a Milano, assunto nel 1985 da Repubblica, nominato nell’89 inviato speciale, nel 2006 responsabile del settore nera e giudiziaria, nel 2017 capo della redazione. Si è dimesso nel ’21, mantenendo varie collaborazioni giornalistiche. Scrittore di gialli e noir, ne ha scritti 15, alcuni tradotti in inglese, francese, romeno. Da un suo saggio, “Manager calibro 9”, è stato tratto il film “Lo spietato”. Scrive anche per il teatro, attualmente è direttore artistico del teatro Gerolamo, storica sala milanese.
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