Innocente in carcere per 4 anni con l’accusa di omicidio: “Il primo caffè fuori era meno amaro”
"Zaffarana hai saputo?". "Non ancora, vado a chiamare il mio avvocato". "Chiamalo ma poi fai la borsa e vai via. Non ti voglio più vedere". È una guardia del carcere di Monza il primo a comunicargli una settimana fa che l'incubo è finito.
Saranno poi i suoi avvocati a confermare che quest'anno avrebbe festeggiato la festa dei nonni da uomo libero. Una libertà che il 60enne Mario Zaffarana non assaporava più da quattro anni e mezzo, da quando per lui scattarono le manette con l'accusa di aver sgozzato il vicino di casa Michelangelo Redaelli, trovato morto nel box nella sua stessa palazzina a Solaro, alle porte di Milano.
I fatti risalgono al 23 dicembre del 2017 quando il 54enne Michelangelo Redaelli viene trovato morto. Nei giorni successivi Zaffarana è stato sentito come informato dei fatti. "Ma – racconta a Fanpage.it – mai avrei potuto immaginare che il 3 aprile dello stesso anno per me sarebbero scattate le manette con l'accusa di omicidio volontario".
In primo grado la Corte d'Assise lo condanna a 21 anni di carcere, pena confermata in Appello. Le speranze arrivano quando la Cassazione annulla tutto e rimanda la causa in Appello. Solo allora i giudici emetteranno una sentenza di assoluzione: non è Zaffarana, seguito nel procedimento penale dagli avvocati Luca Valaguzza e Marco Turconi, l'omicida di Michelangelo Redaelli. Chi è? Non si sa. È un uomo libero da quattro anni e mezzo.
A una settimana dalla sua libertà, Zaffarana racconta la sua storia a Fanpage.it. Lo fa con sofferenza che commuove. In redazione a Milano arriva con i suoi avvocati, ma il viaggio per raggiungerci lo ha fatto da solo: "Da anni non prendevo la metropolitana e il treno. Finalmente non avevo guardie che mi seguivano".
Gli occhi di Zaffarana diventano lucidi quando racconta dei suoi nipoti e di come la notte ora dorma con loro. Non più quindi su una branda in una cella di pochi metri. Poi inizia a raccontare dei quattro e mezzo che "mi sono stati tolti".
Quattro anni e mezzo in carcere da innocente. Qual è la prima cosa che ha fatto appena uscito?
Appena si sono aperte le porte del carcere e sono stato finalmente libero ho visto i miei due avvocati. Mi hanno subito abbracciato. Pochi secondi dopo ho visto la mia nipotina scendere dalla macchina e corrermi in contro. Mi ha abbracciato forte. Finalmente ora riesco a fare il nonno. Ho quattro nipoti. Li vado a prendere a scuola e la notte dormo da una delle mie figlie. I suoi bimbi si addormentano sulla mia spalla.
In questi quattro anni e mezzo cosa ha raccontato ai suoi nipoti?
Quando mi venivano a trovare in carcere, raccontavo loro che lavoravo lì. Sono troppo piccoli, ma un giorno racconterò tutto anche a loro.
Per oltre 4 anni è stato ritenuto il responsabile dell'omicidio del suo vicino di casa. Cosa ha pensato quando è iniziata questa storia?
Che si sarebbe risolta in poco tempo. Che la mia innocenza sarebbe stata provata entro pochi giorni. E invece ci sono voluti quattro anni e mezzo. Mi hanno arrestato il 3 aprile del 2017. Sono uscito il 27 settembre del 2022. Pochi giorni dopo l'omicidio invece mi avevano sentito come persona informata sui fatti. Non avrei immaginato tutto questo.
Si ricorda ancora il viaggio verso il carcere?
Mi ricordo tutto di quel giorno. Mi hanno accompagnato nella caserma dei carabinieri di Desio e hanno compilato alcuni fogli. Qualche riga di verbale e poi mi hanno fatto nuovamente salire in macchina, questa volta la direzione era la casa circondariale di Monza. Ricordo tutto del tragitto: ero su una Fiat Punto e viaggiavamo sulla Milano-Meda. Ricordo la sensazione delle manette ai polsi.
Cercai di restare calmo perché sapevo che si trattava di un malinteso. Mi dissi che presto sarei stato di nuovo libero perché la verità sarebbe uscita. Invece ci sono voluti quattro anni e mezzo.
Su cosa si basavano le accuse nei suoi confronti?
Un altro condomino aveva raccontato di uno screzio che avevo avuto con Redaelli negli anni precedenti. Ho raccontato l'accaduto ai Carabinieri quando mi hanno interrogato, dopo la sua morte, perché non avevo nulla da nascondere
Oltre a questo screzio, contro di me c'era la testimonianza di alcune persone che avevano rilasciato dichiarazioni confuse. Una delle mie vecchie amiche avrebbe rivelato che io sapevo già dell'omicidio ancor prima che venisse trovato il cadavere dai carabinieri. Ma si è sbagliata sulle date. Queste dichiarazioni sono state però ritenute fondamentali, fino a che non è stato riconosciuto l'errore.
Un'altra "prova" è che hanno trovato sul giubbotto di Redaelli una traccia del mio Dna. Così come quelle di altre persone. Ma solo nel mio caso è diventata una prova contro di me. In seguito è stato però accertato che il giubbotto era stato tolto dal corpo della vittima appena dopo il ritrovamento ed era stato appoggiato per terra. Anche così è avvenuta la "contaminazione".
Lei si è sempre professato innocente, ci sono mai stati dei momenti in cui ha pensato di attribuirsi la responsabilità dell'omicidio per avere uno sconto di pena o agevolazioni carcerarie?
Mai. Neanche per un giorno ho pensato di scendere a compromessi. Non ho mai scelto riti speciali per sconti di pena. Ero convinto che alla fine la mia innocenza sarebbe emersa.
Un giorno sì e l'altro pure avevo però lo sconforto per la situazione che stavo vivendo e per non riuscire a dimostrare la mia innocenza.
Quando il mio caso è arrivato in Cassazione ho pensato che, se avesse confermato la condanna, avrei passato il resto della mia vita in carcere e l'idea mi terrificava. Finalmente però la Cassazione ha annullato tutto e io ho iniziato a tirare respiri di sollievo.
Come trascorreva le giornate in carcere?
Correvo. Ho imparato a correre per smaltire la tensione. Mentre correvo ascoltavo la musica. Nel resto del tempo facevo le parole crociate. La mia famiglia veniva a trovami una volta a settimana, potevo fare una chiamata di 10 minuti tre volte a settimana. Dalla mia finestra di notte sentivo i rumori dell'autostrada per Venezia. Strada che facevo spesso. Se ci tornerò non mi volterò a vedere le mura del carcere.
Di cosa parlava con gli altri detenuti?
L'argomento è sempre uno: carte e processi. Tra i detenuti ci davamo consigli. In molte occasioni ho imparato però a farmi i fatti miei.
Gli altri detenuti hanno subito creduto alla sua innocenza?
Alcuni sì. Con due di loro in questi giorni abbiamo fatto una videochiamata. Quando a uno dei due ho comunicato che ero uscito, si è messo a piangere.
Ha perso ogni fiducia nella giustizia italiana?
Ora no, ora ho di nuovo fiducia nella giustizia. Nonostante le ferite che mi porto addosso.
Cosa farà adesso da uomo libero?
Tornerò a lavorare. Facevo il muratore e non vedo l'ora di riprendere in mano la vita che mi è stata tolta. Ho già alcune proposte. Vivo da mia figlia, perché a causa della mia carcerazione non ho più una casa mia.
Continuerà a fare le parole crociate?
No, ora con i miei nipoti non ho più tempo. Per fortuna.
Che sapore ha la libertà ritrovata?
Da una vita bevo il caffè amaro. Il primo che ho bevuto dopo l'uscita del carcere lo era meno.
Le parole degli avvocati
Al fianco di Mario Zaffarana ci sono i due avvocati Luca Valaguzza e Marco Turconi. Quando nel secondo processo di Appello è arrivata la assoluzione hanno gioito insieme al loro assistito, tanto che dal Tribunale di Milano sono voluti andare ad attenderlo fuori dal carcere. "L'assoluzione formalmente non è ancora definitiva ma un ricorso appare improbabile, in quanto anche la Procura Generale ha chiesto l'assoluzione", chiariscono a Fanpage.it.
"L'importante ora è che finalmente sia stata accertata la sua innocenza. Noi ci abbiamo creduto fin dall'inizio e lo abbiamo difeso con il gratuito patrocinio perché la toga si indossa soprattutto per senso di giustizia", concludono Valaguzza e Turconi.