In carcere durante l’emergenza Covid: “Paura del contagio e attività sospese, si sta male”
È passato quasi un anno da quando, a causa dell'arrivo della pandemia di Covid-19 in Italia, la vita dei carcerati è drammaticamente peggiorata: si interrompono i colloqui con le famiglie, gli ingressi da parte dei volontari e tutte le attività. Un situazione di totale isolamento che porta a rivolte negli istituti di tutta Italia che costano la vita a 14 detenuti.
Dodici mesi dopo la situazione per chi vive recluso non è migliorata. Mentre gli altri settori della società hanno cercato di riadattarsi, all'interno degli istituti penitenziari quasi nulla è cambiato dal marzo 2020: i detenuti hanno dovuto rinunciare a tutte le attività di svago, sport, formazione ed educazione che permettevano un contatto con persone esterne e offrivano una chance per costruirsi futuro migliore.
Lo spiega a Fanpage.it la dottoressa Luisa Ravagnani, garante dei detenuti di Brescia: "Si era soliti non avere uno spazio libero durante la giornata [dei detenuti], ci si è trovati di colpo a non avere uno spazio pieno, nessuna attività programmata".
"Non si sta bene", sintetizza Amedeo, uscito a ottobre dal carcere di San Vittore e in affidamento a una associazione di Rozzano, a trascorso in cella i mesi peggiori dell'emergenza Covid. Racconta che "prima del Covid c'era più libertà" mentre dall'arrivo del virus "ognuno era costretto nella sua cella, non c'era contatto con gli altri". Lo stato d'animo "è a terra, perché non vedi la famiglia, la moglie, nessuno".
Tra le tante attività cancellate – come teatro, attività religiose, sport – anche i corsi professionali: non è potuto partire neanche quello che Ciro Di Maio, pizzaiolo titolare della pizzeria "Pizza madre" di Brescia, aveva concordato con la garante dei detenuti. Amedeo, che è stato nel carcere di San Vittore di Milano fino a metà ottobre 2020, descrive i mesi del Covid in reclusione, senza vedere familiari e senza le attività che seguiva prima del Covid.