Ilaria Salis detenuta a Budapest in condizioni disumane, il papà: “Ho chiesto aiuto al governo senza risposta”
L'11 febbraio di ogni anno a Budapest si radunano centinaia di neonazisti, per ricordare il battaglione hitleriano che combatté contro l'armata sovietica nel 1945, in quello che per le forze di estrema destra è il "giorno dell'onore". Nel 2023 tra i partecipanti alla contromanifestazione di protesta c'era anche Ilaria Salis, insegnante 39enne milanese, antifascista militante, arrestata dopo l'aggressione ad alcuni neonazisti, portata in un carcere di massima sicurezza a Budapest e detenuta in condizioni umilianti: "spogliata, in cella per giorni senza carta igienica, sapone e assorbenti", racconta a Fanpage.it Roberto Salis, il padre di Ilaria, "con i letti del carcere infestati da cimici".
Oltre all'aggressione, Salis è anche accusata di far parte di un gruppo antifascista tedesco, Hammerbande, ritenuto dagli inquirenti ungheresi associazione criminale: sommando le accuse l'insegnante milanese rischierebbe fino a 16 anni di carcere, una pena sproporzionata tenuto conto che le due vittime hanno riportato prognosi di 5 e 8 giorni.
Da marzo fino a metà dicembre, Roberto Salis ha scritto tre volte alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al ministro degli Esteri Antonio Tajani e a quello della Giustizia Carlo Nordio: risposte non pervenute e disinteresse da parte delle più alte cariche dello Stato nei confronti di una cittadina italiana privata dei suoi diritti e che ha dovuto aspettare settembre, sette mesi quindi, per poter parlare con i propri genitori per la prima volta dopo l'arresto.
La famiglia Salis ha scritto al governo italiano per sapere "cosa è stato fatto per evitare che si perpetrassero le violazioni dei diritti civili subite da mia figlia","quali sono state le rimostranze ufficiali – si legge nella missiva – presentate alle autorità ungheresi" per riportare le accuse all'effettiva gravità dei fatti e per chiedere che la ragazza possa rientrare in Italia per i domiciliari. Domiciliari in Italia a cui invece è stato sottoposto un altro attivista antifascista milanese, accusato in Ungheria degli stessi reati di Salis, per i quali il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Milano ha negato l’estradizione verso l'Ungheria, perché la richiesta della procura di Budapest violerebbe il principio della proporzionalità della pena. La richiesta dei domiciliari fatta dagli avvocati di Salis è sempre stata rifiutata da Budapest, contrariamente a quanto stabilito dall’Unione Europea in una decisione quadro che permette di scontare gli arresti domiciliari in un Paese diverso da quello del processo.
"Sono deluso perché mi aspetto che lo Stato si occupi dei suoi cittadini", continua Salis, che poi aggiunge: "credo che in Italia per fare 16 anni sia necessario commettere un omicidio, qui stiamo parlando di 8 giorni di prognosi, io e mia moglie abbiamo difficoltà a dormire la notte, è qualcosa che non auguro a nessuno". In attesa che le istituzioni italiane chiedano spiegazioni a Budapest e spingano per il rientro di Salis in Italia, a gennaio ci sarà la prima udienza del processo per il quale, nonostante le numerose richieste, i legali della ragazza non hanno ancora ottenuto la traduzione in italiano di tutta la documentazione. Un'altra negazione al diritto di un equo processo.