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Il primario di Milano Ambrogino d’Oro: “Per mantenersi eccellenza, serve una riorganizzazione della sanità lombarda”

“L’aspetto migliore è dato dal fatto che la nostra sanità accoglie tutti: cura chiunque e non fa alcun tipo di distinzione. Non guarda il portafoglio o la disponibilità economica delle persone. In questo è unica anche perché garantisce una diagnostica e delle cure all’avanguardia. Dall’altra parte però deve in qualche modo, proprio per continuare a mantenere questo spirito e questa capacità, un po’ ripensare alla sua organizzazione”, a dirlo a Fanpage.it è Gian Vincenzo Zuccotti, Direttore del Dipartimento di Pediatria dell’ospedale dei bambini Vittore Buzzi di Milano.
A cura di Paolo Giarrusso
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Luminare della pediatria, Gian Vincenzo Zuccotti, classe 1957 e originario di Soncino (Cremona), è professore ordinario di Pediatria alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento di Pediatria dell'ospedale dei bambini Vittore Buzzi di Milano, struttura sanitaria di vera e propria eccellenza della città, e non solo.

Per migliorare ulteriormente la sanità lombarda "ci vuole una riorganizzazione a 360 gradi. In questa riorganizzazione rientra anche la questione delle lunghissime liste d'attesa, divenute ormai impossibili da sopportare. Proprio sulla scorta dell'esperienza che abbiamo avuto durante il Covid dovremmo sfruttare questa piattaforma di telemedicina, che continuo a sostenere essere uno strumento di aiuto per svolgere al meglio il nostro servizio", ha detto a Fanpage.it. 

Il 7 dicembre del 2022 ha ricevuto l'Ambrogino d'Oro, il massimo riconoscimento della città di Milano. Che cosa ha provato a riceverlo?

Devo dire che è stata una grande emozione. Inatteso. Molte volte uno pensa di avere fatto determinate cose che potrebbero magari essere riconosciute con questi premi. Però, come sappiamo, non sempre le buone azioni o le buone opere sono accompagnate da questi tipi di riconoscimenti.

Credo che questo Ambrogino abbia voluto premiare l'attività che ho cercato di portare avanti, soprattutto durante il periodo del Covid, che mi ha visto fortemente impegnato nel favorire l'assistenza a domicilio delle persone che venivano dimesse dagli
ospedali, dai pronto soccorso o dai reparti. Abbiamo realizzato la piattaforma "Covid 19- Centro Operativo Dimessi" dove abbiamo seguìto più di 50mila persone a domicilio e le abbiamo accompagnate o verso la guarigione oppure abbiamo intercettato possibili complicanze rimandandole in ospedale per completare o riprendere le cure.

Aggiungo, poi, tutto quello che è stato fatto in ambito pediatrico sviluppando i tamponi salivari, andando a fare gli screening nelle scuole, per cercare di riaprirle o tenerle aperte in sicurezza, cercando di non far perdere ai bambini e ai ragazzi le occasioni formative che, per loro, sono tutto. Bambini che, peraltro, fortunatamente, non erano così pesantemente coinvolti, in quella famosa pandemia.

Lei dirige il Dipartimento di Pediatria e il pronto soccorso pediatrico dell'Ospedale Buzzi di Milano, un'eccellenza che è punto di riferimento per tutta Italia e non solo. Come si arriva a essere il responsabile numero uno di un dipartimento così importante, anzi, fondamentale?

Con tanto lavoro. Bisogna sempre credere nel darsi degli obiettivi e perseguirli fino in fondo. Io sono arrivato qui all'Ospedale dei Bambini nel 2014 dopo avere cambiato diversi ospedali dove ho avuto incarichi apicali. Sono partito dal San Paolo, poi sono andato a fare il primario al Vecchio Ospedale di Legnano, ancora all'ospedale Sacco e dal 2014 a oggi sono al Buzzi.

Sono arrivato qui con l'idea di provare a costruire un ospedale pediatrico che fosse all'altezza delle altre eccellenze italiane, che non sono poi tantissime: il Bambin Gesù, il Gaslini, il Meyer. Ho sempre sofferto per il fatto che Milano, la Regione Lombardia, non potessero o non sapessero esprimere un ospedale di eguale importanza.

Si è lavorato duramente. Fortunatamente ho avuto molti collaboratori, che hanno creduto in questo progetto e siamo riusciti
veramente a fare un punto di eccellenza, riconosciuto anche dai ranking internazionali. Newsweek ha recentemente pubblicato la graduatoria che elencava i principali ospedali specialistici, a livello mondiale e, tra le pediatrie, il Buzzi si è collocato al 42esimo posto al mondo, secondo in Italia.

Una grandissima soddisfazione. Il percorso è ampiamente avviato e siamo diventati ormai un ospedale di riferimento per Milano, per la Regione ma direi per l'intero Paese e siamo fortemente impegnati per provare a portare a casa questo riconoscimento, che sarebbe davvero la ciliegina sulla torta, di IRCCS pediatrico. Quindi un ospedale che, non solo sappia fare assistenza, ma anche ricerca in ambito pediatrico.

L'assistenza può sempre migliorare, se accompagnata da una buona ricerca e una ricerca, se non c'è una casistica importante, non si riesce a sviluppare. Fortunatamente noi siamo riusciti, in questi anni, a portare avanti questi due ambiti: una casistica
sempre più importante, perché i pazienti si rivolgono sempre in maggior misura a noi, sia a livello regionale che extraregionale e, di pari passo, una ricerca.

Nel 2016, grazie a un finanziamento della Fondazione Invernizzi, ho aperto un centro di ricerca pediatrica, proprio con questa
finalità: quella di accompagnare, di essere un partner forte per l'ospedale dei bambini, prettamente assistenziale, quindi un centro che sapesse sviluppare progetti di ricerca al fine di migliorare le cure, che noi possiamo offrire ai bambini che assistiamo.

Il Pronto Soccorso del Buzzi, accoglie ogni anno 33mila bambini con una proiezione di oltre 40mila. Siete l'unico ospedale pediatrico della Lombardia. Ci parla più precisamente del nuovo progetto sul pronto soccorso?

Siamo riusciti a far decollare finalmente questo progetto che era previsto da ormai 12 anni. Questo nuovo building, destinato all'emergenza e urgenza pediatrica, dovrebbe vedere la luce alla fine di quest'anno. Secondo le attese, i lavori dovrebbero terminare intorno ad agosto, poi, accreditamento permettendo, dovremmo riuscire a inaugurarlo per fine anno.

Anche questa realizzazione permetterà ulteriormente a questo ospedale di completarsi e soprattutto di continuare a dare risposta a quella grande affluenza che è già presente e in continuo aumento. Sarà un pronto soccorso che non solo avrà la possibilità di visitare bambini che si presenteranno per problematiche urgenti, ma anche sei stanze di osservazione breve e, soprattutto, dieci posti letto, dedicati all'emergenza ed urgenza pediatrica.

Sarà una vera unità operativa a tutti gli effetti e cioè con visite, osservazioni brevi, ma anche con la possibilità di ricoverare fino a 10 bambini, in questi letti dedicati all'emergenza-urgenza. Direi un dipartimento abbastanza unico nel suo panorama e, dunque, un fiore all'occhiello per la nostra città e la nostra regione.

Lei ha salvato tante vite. Cosa si prova, quando si riesce in questo e cosa si prova quando, invece, non ce la si fa?

Sono due sentimenti forti entrambi. Ovviamente e, fortunatamente, non ci si abitua mai a salvare vite e a fare sempre meglio il proprio lavoro. Noi abbiamo in mano dei bambini, a cui dobbiamo garantire una lunga vita. Non possiamo permetterci di sbagliare e di negare la possibilità di un'esistenza a nessuno di loro. Non ci si deve mai abituare all'idea di perdere qualcuno.

Per noi è sempre una tragedia perché si toglie a bambini e bambine la possibilità di godere di questa bellissima vita, di questo bellissimo dono che tutti quanti abbiamo ricevuto. Il nostro impegno è quello di curarne e guarirne sempre di più e, possibilmente, ridurre al minimo, la mortalità infantile.

Ci abbiamo lavorato, siamo molto migliorati, ma non siamo ancora riusciti a portarla a zero e credo che non ci si riuscirà mai.
L'importante è ridurre ai minimi termini questo tragico evento.

Quanto è importante l'umanità di tutto il personale e di voi medici, oltre alla competenza tecnica?

Per me conta alla pari. Come dico sempre, non bisogna essere dei Premi Nobel. Mediamente ci vuole una persona preparata, che abbia studiato e continui a studiare, ma che sappia essere anche empatica. È importante che ci siano anche i Premi Nobel, che ci aiutano a fare delle scoperte eccezionali, ma è essenziale ascoltare, accompagnare questi bambini e, in particolare, le loro famiglie.

Molte volte, soprattutto quando non ci sono cure disponibili, questa dedizione all'ascolto valgono quanto o, alcune volte, anche di più, rispetto a una terapia. Noi cerchiamo sempre di insegnare questo comportamento, anche se non è facile. Il numero chiuso, che ha accompagnato la facoltà medica in questi ultimi anni, ha portato sicuramente a selezionare e migliorare, in un certo senso, la qualità della classe medica, ma anche alla diminuzione della possibilità di selezionare le persone, a seconda della loro possibilità di essere empatici.

Il modo di selezionare, oggi, non consente di porre attenzione su questi aspetti, molto importanti in modo particolare soprattutto nella professione medica.

Al Buzzi si vuole realizzare una casa molto ampia per accogliere i genitori dei bambini ricoverati provenienti da Lombardia, Italia ed estero. Tutto questo verrà fatto inseguendo l'obiettivo di essere il grande punto di riferimento italiano e non solo?

Certamente sì. Nel momento in cui un ospedale diventa grande e crede di poter offrire dei servizi di eccellenza, accogliendo le persone da tutta Italia, deve poter essere in grado di poter offrire alloggio e comfort a tutte quelle famiglie che già soffrono e devono abbandonare le proprie case e i propri cari per spendere un certo periodo di tempo in ospedale. Anche questo è un lavoro di umanizzazione che, grazie alle Associazioni e alle Fondazioni che ci accompagnano in questo percorso, riusciamo e riusciremo a garantire.

Qual è la mancanza più grande della sanità lombarda e qual è, invece, il suo aspetto migliore?

L'aspetto migliore è dato dal fatto che la nostra sanità accoglie tutti: cura chiunque e non fa alcun tipo di distinzione. Non guarda il portafoglio o la disponibilità economica delle persone. In questo è unica anche perché garantisce una diagnostica e delle cure all'avanguardia. E questo è uno
sforzo incredibile. Dall'altra parte però deve in qualche modo, proprio per continuare a mantenere questo spirito e questa capacità, un po' ripensare alla sua organizzazione.

Una presenza sia ospedaliera che territoriale così capillare oggi diventa difficile garantirla per i costi che comporta, che poi vanno a scapito del fatto
che se le risorse sono sottratte da una parte, vengono poi a mancare dall'altra e non si riesce più a garantire diagnostiche e cure all'avanguardia. Bisogna fare anche i conti con la carenza di medici, ma soprattutto di infermieri: abbiamo una grandissima difficoltà a tenere aperte tutte queste strutture perché la classe medica e soprattutto infermieristica, è ridotta ai minimi termini.

Bisogna ritornare a creare una vocazione per chi sceglie di fare l'infermiere, però bisogna ripensare a un percorso lavorativo nuovo. Occorre sapere attribuire loro nuovi ruoli, retribuirli nei modi più corretti e dobbiamo anche ripensare la nostra distribuzione sul territorio di queste strutture sanitarie. È inutile avere aperto tante strutture, che poi sono mezze vuote dal punto di vista del personale. Questo infatti va a scapito, ovviamente, della qualità delle cure.

Ci vuole una riorganizzazione a 360 gradi. In questa riorganizzazione rientra anche la questione delle lunghissime liste d'attesa, divenute ormai impossibili da sopportare. Proprio sulla scorta dell'esperienza che abbiamo avuto durante il Covid, sfruttando questa piattaforma di telemedicina, continuo a sostenere che sia uno strumento di aiuto per svolgere al meglio il nostro servizio.

Oggi si fa sempre più fatica a trovare giovani medici, che abbiano voglia di andare a fare ancora i medici di medicina generale. Spesso risulta essere un lavoro un po' isolato dove si fa fatica a crescere professionalmente, proprio perché ormai si è oberati dalla burocrazia. Se il medico, nel suo studio, davanti al suo paziente organizzasse una televisita con lo specialista dell'ospedale, visiterebbe insieme a lui il paziente.

Questo consentirebbe al paziente di non fare viaggi inutili verso l'ospedale e di non avere liste di attesa, al medico di medicina generale di continuare a crescere professionalmente e allo specialista di poter svolgere molte più visite rispetto a quelle che è costretto a fare quando il paziente si rivolge a lui in presenza perché c'è una procedura che va rispettata.

L'utilizzo della tecnologia non deve sostituire, ma essere uno strumento per garantire a tutti le cure e le risposte nei tempi dovuti. Io sono convinto
che, se si organizza questo sistema sul territorio, i giovani tornerebbero ad avere quella voglia di andare a fare questa professione, che è bellissima, perché si sentono crescere professionalmente. Non è che tutte le visite che il medico di base dovrà fare nel suo studio, dovranno essere accompagnate dalla televisita, però  quando vuole, la può attivare.

Lei è anche docente in Università. Che cosa vuole insegnare e trasmettere, in particolare, ai suoi studenti?

Il ribadire che la professione medica è stupenda, ma che va fatta con passione, con rispetto delle persone che devono essere sempre ascoltate, accompagnate e mai considerate elementi di disturbo. Devono essere il loro centro d'interesse. Fare il medico è faticoso, bisogna studiare molto e non bisogna mai smettere di aggiornarsi perché si tratta di una professione che evolve rapidamente.

Se uno smette di studiare viene meno al suo ruolo e alla sua capacità di garantire le migliori cure ai propri assistiti. La nostra è una missione, che non deve essere letta come fatica, ma che vuole e deve garantire la salute ai suoi assistiti. Noi dobbiamo lavorare per spiegare tutto molto bene ai giovani e far sì che capiscano, fin dai primi anni di Università, se sono fatti per questo mestiere o se lo pensavano diversamente.

Mi dice qualche suo sogno che conserva nel cassetto?

Ho sempre sofferto, come pediatra, che Milano e questa regione non avessero mai saputo sviluppare un ospedale pediatrico alla stregua di quello che accade a Firenze, Genova e Roma. Il mio sogno, che in parte è già realizzato, è quello di contribuire alla nascita e allo sviluppo di un ospedale pediatrico. A me mancano 4 anni, prima di andare in pensione. Se, in questo tempo, riesco a portare a casa anche questo riconoscimento di IRCCS pediatrico, credo di avere fatto il mio dovere, il mio buon lavoro e di lasciare in eredità a questa città, questa regione, questa nazione, un punto di
eccellenza.

Me lo sento come dovere, sia verso i bambini e le loro famiglie, ma anche verso tutti i giovani che credono in questa professione medica e verso tutti coloro che lavorano con passione in questo ospedale, perché solo una struttura di quel tipo, potrà garantire loro di lavorare sempre con qualità, con impegno, per ottenere dei risultati ogni volta più importanti.

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