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Il presidente del Csi di Milano: “Lo sport aiuta anche i ragazzi difficili, non lasciamo nessuno ai margini”

“I ragazzi, oggi, hanno un grande bisogno di vivere un’esperienza forte e significativa per la loro vita come è quella sportiva. Lo sguardo bello delle società sportive è proprio questa capacità di accogliere tutti e di andare a cercare tutti”, così a Fanpage.it il presidente del Csi di Milano, Massimo Achini.
A cura di Paolo Giarrusso
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Massimo Achini, classe 1966, è stato rieletto alla guida del Comitato milanese del Centro Sportivo Italiano per il prossimo quadriennio 2025-2029. I numeri di questa grande associazione fanno davvero impressione: 2650 squadre iscritte ai vari
campionati, 48mila partite in un anno, 630 società sportive, 132 mila tesserati, 700 ore di attività in carcere, 1460 ore di formazione in un anno, 340 arbitri, 55 mila bambini coinvolti durante l'estate.

Alle spalle esperienze di presidenza provinciale e nazionale del CSI, Massimo Achini è un uomo che ama mettersi in gioco e lo fa con grande umiltà.

Lei ha detto che questa nomina è "un privilegio, un onore  servire il CSI Milano per i prossimi 4 anni". Ma è anche una grande responsabilità

Sì, è una grandissima responsabilità, tenendo presente che, oggi più che mai, le società sportive sono, da un lato, il presidio educativo più diffuso sul territorio (basti pensare che, nella sola Diocesi di Milano, il CSI ha ben 650 società sportive), dall'altro, sono quasi sempre radicate nel contesto dell'oratorio.

Bastano questi due sguardi per dire che, servire queste società sportive, vuol dire accompagnarle a svolgere questo compito.

Quali sono le priorità di un programma che lei stesso ha definito ambizioso?

Abbiamo provato a individuarne alcune: la prima è restare se stessi. Già oggi queste società sportive fanno la differenza: sono società che sono capaci di mettere al centro di tutto l'esperienza educativa di ragazze e ragazzi. Questa è una cosa che non va data per scontata e che va riconquistata giorno per giorno, allenamento dopo allenamento, settimana dopo settimana.

Accompagnare le società a crescere comporta poi azioni molto concrete come per esempio la nascita dello sportello “antiburocrazia”. Oggi il nemico numero 1 delle società sportive è la burocrazia: presidenti e dirigenti sono persone meravigliose, però sono volontari, in quanto vogliono aiutare a educare i ragazzi.

Si ritrovano però a essere sommersi dalla burocrazia. Ecco quindi perché questo sportello. Altra azione concreta è la creazione di uno sportello pastorale per servire la Chiesa diocesana.  Viviamo oggi un tempo in cui la Chiesa, a partire dal nostro Arcivescovo, ha una grandissima fiducia nel Csi. Questo non toglie però che, oratorio per oratorio, le situazioni siano diverse. Le fatiche ci sono. Allora ecco uno sportello pastorale a cui rivolgersi per chiedere un aiuto per dialogare con la parte pastorale.

Un tema grande poi, su cui vogliamo lavorare in questi anni, è quello di aiutare le società sportive a comunicare meglio il bene e il bello che fanno poiché c'è una tonnellata di bellezza nella loro vita quotidiana. Ne cito altre due. La prima: formare i dirigenti. È una grandissima fatica perché è difficilissimo trovare delle persone che si rendano disponibili a fare il dirigente accompagnatore cioè quello che accompagna la squadra, stando seduto in panchina, a far parte di un consiglio direttivo, addirittura a fare i presidenti.

Nonostante ciò, non è più il tempo dell'improvvisazione: non basta più la pura e semplice volontà. Chi si mette al servizio ha la necessità di formarsi. Negli ultimi 10 anni, abbiamo fatto un percorso molto importante con la formazione degli allenatori, questi saranno gli anni in cui formare i dirigenti. Sarà una vera scuola per dirigenti e ci aspettiamo di formarli (come CSI abbiamo circa 6000 dirigenti), praticamente tutti.

La seconda delle ultime priorità, è molto pratica e riguarda il tema degli arbitri. Abbiamo sempre più partite, ma sono sempre meno gli arbitri. Questo è un grandissimo problema, perché rischiamo di arrivare a una sorta di implosione del sistema: tante squadre, tante partite, pochi arbitri.

Questi anni saranno dedicati, in modo molto intenso, ad appassionare i giovani, a svolgere questo servizio arbitrale, che è un altro servizio dalla valenza educativa importantissima.

Oggi sport in oratorio che cosa significa?

Significa, intanto, abbandonare un pregiudizio. Alcuni continuano a pensare che lo sport in oratorio sia uno sport alla viva il
parroco dove fanno giocare tutti, anche quelli un po' scarsi. La realtà è molto diversa. Dire sport in oratorio, oggi, vuol dire un'eccellenza dello sport italiano.

Intanto è un fenomeno che continua a crescere. È uno sport fatto bene sia dal punto di vista organizzativo che della pratica sportiva. È uno sport dove l'agonismo ha una sua dignità, che prende su serio lo sport ma che va oltre. L'obiettivo vero, primario, il cuore della questione è questa passione educativa per i ragazzi. Generazioni e generazioni di italiani e anche
di grandi sportivi e grandi campioni, sono cresciute imparando i valori della vita, correndo dietro a un pallone sotto un campanile.

Se nell'immaginario collettivo c'è ancora l'idea che lo sport in oratorio sia qualcosa che appartiene al passato, questa idea è
profondamente sbagliata perché lo sport in oratorio è qualcosa che segna e segnerà il presente ed il futuro dello
sport italiano, ma più in generale anche il contesto educativo di questo tempo.

Per questo, vogliamo ringraziare la Diocesi, la FOM (Federazione Oratori Milanesi, ndr), un po' tutta la Chiesa Ambrosiana, perché oggi, il dato proprio bello è sentire questa fiducia, questa vicinanza, questo incoraggiamento nel dire al CSI: "Dai
il meglio di te, perché la tua presenza all'interno degli oratori può davvero fare la differenza.

Affetto e amicizia con dirigenti, allenatori, compagni e avversari. Come si concilia con la competitività, che ogni sport richiede? È possibile?

Assolutamente sì. L'agonismo è un elemento, un ingrediente che non si può togliere dallo sport. I ragazzi, quando giocano tra di loro, magari escono da scuola, mettono giù le cartelle, non c'è l'arbitro, non c'è il campo, non sono segnate le linee, non c'è la traversa, ma giocano per vincere.

L'agonismo è un elemento che fa parte dell'esperienza sportiva. È un pasticcio quando diventa antagonismo, quando diventa l'elemento più importante del gioco. Noi pensiamo che sia assolutamente possibile un'esperienza sportiva di qualità dove l'agonismo ha la sua valenza, ma dove quel clima di amicizia, di fraternità, di accoglienza, di valori veri della vita si respiri a pieni polmoni perché questo è quello di cui hanno bisogno i ragazzi di oggi.

Poi, con lo stesso stile, l'idea del CSI è quella di portare anche un pallone e quel sorriso che arriva con lo sport a tutti e
dappertutto. Quindi, non solo dentro le nostre comunità, non solo negli oratori, ma in qualsiasi contesto di fragilità
umana, esistenziale, sportiva. Portare un pallone che, rimbalzando, faccia vivere questi valori veri della vita e
dello sport.

Accogliere e capire i ragazzi. Il CSI lo sa fare bene e deve continuare a farlo col cuore. L'obiettivo è sempre più ambizioso, anche in questo senso?

Sì, esatto. Dire che il CSI lo sa fare vuol dire che lo sanno fare le sue società sportive, che sono le vere protagoniste. E significa, sempre di più, non lasciare indietro nessuno. Oggi viviamo un tempo dove la dimensione dello scarto, è una dimensione molto
marginalizzata. Il CSI ha questo sogno: di arrivare a tutti i ragazzi, a quelli bravi, ma anche a quelli che lo sono meno, a quelli che si comportano bene, ma anche a quelli che fanno disperare, a quelli che vengono a chiedere di fare sport, ma anche a quelli che magari restano seduti sul muretto e che non vengono a chiedere nulla.

L'idea è proprio quella di non lasciare indietro nessuno e, quindi, non solo società sportive aperte a tutti, ma che vanno a cercare tutti. I ragazzi, oggi, hanno un grande bisogno di vivere un'esperienza forte e significativa per la loro vita come è quella sportiva. Lo sguardo bello delle società sportive è proprio questa capacità di accogliere tutti e di andare a cercare tutti quei ragazzi che non arriverebbero mai da soli, ma che hanno bisogno di un'esperienza di vita vera.

Il Presidente del CONI Lombardia Marco Riva, nato e cresciuto in oratorio, si è detto entusiasta di compiere un percorso accanto al CSI senza avere paura di sognare in grande. Lei, Massimo Achini, ha paura di sognare in grande?

Credo proprio di no. Il quadriennio precedente aveva come slogan ‘apriamo strade impossibili', che voleva significare di non rifare le cose che si fanno sempre. Lo slogan di questi quattro anni sarà "fare la differenza". Per farla conta una quotidianità ben vissuta, che parli a pieni polmoni di educazione, ma conta anche sognare in grande.

Lo abbiamo dimostrato il 14 settembre scorso prendendo tutta Piazza Duomo a Milano per festeggiare gli 80 anni del CSI ed è proprio bello quando si tocca con mano che si sogna in grande, ma non da soli. Oggi ci sono tanti amici nella Chiesa, nella società civile, nelle istituzioni, nel terzo settore, nel mondo dello sport, anche amici che vogliono bene allo sport in oratorio e vogliono bene al CSI e che ci stanno dicendo: "Guarda noi ci siamo per sognare in grande insieme a voi”. Questo regala davvero
tanto entusiasmo e anche la speranza di riuscire, in questi anni, a fare la differenza in chiave educativa.

In passato ha parlato di accelerazione educativa. A che punto è?

Con lo sport è quasi automatica. Mi verrebbe da dire che è un po' come il cambio automatico dell'auto. Basta schiacciare l'acceleratore e le marce si innestano da sole. Lo sport, funziona un po' così. Se è utilizzato, vissuto, pensato in modo giusto, cioè con quello sguardo educativo necessario, poi diventa da solo un acceleratore. Sempre di più, le nostre società sportive generano comunità sul territorio.

Di questi tempi, c'è questo grande tema della solitudine esistenziale che abbraccia un po' tutti. Ecco, le nostre società sportive non sono solo luoghi dove si fanno giocare i ragazzi, ma sono luoghi dove davvero si genera comunità: le famiglie, le persone
si incontrano, si mettono insieme, nascono relazioni significative, nascono pezzi di comunità.

Sono realtà che cambiano il vissuto di un quartiere, di un paese, di un territorio. A me sembra che lo sport, come acceleratore di processi educativi e di socialità, funzioni sempre di più. Oggi ricordiamo come negli anni del dramma del Covid, le società sportive erano sempre in prima linea, non hanno mai chiuso, non si sono mai fermate e sono sempre rimaste lì a cercare di generare esperienze belle per i ragazzi.

Che cosa vuol dire progettare una linea di società sportiva del futuro? Cucita sui giovani o non solo su di essi?

Nel settembre scorso, l'Arcivescovo ha scritto un editto dedicato alle società sportive del CSI. Con questo, ci ha affidato tante
responsabilità importanti, tra cui cambiare il mondo dello sport. Per cambiare il mondo dello sport, servono anche società sportive del futuro.

Bisogna pensare a cambiarle, a renderle sempre più moderne, adeguate ai tempi. Abbiamo creato un gruppo di lavoro che si chiama "Società sportiva 2030", che vorrebbe disegnare l'identikit della società sportiva del futuro, che sicuramente si basa sui giovani. Spesso si dice che i giovani non hanno voglia di impegnarsi, che si fa fatica a coinvolgerli. Secondo me, questa cosa non è così vera.

Non dico che sia facile ma i giovani sono una risorsa straordinaria e una società sportiva non può prescindere da un coinvolgimento molto bello e molto vero dei giovani. La società sportiva del futuro è una società che non fa le cose per fotocopia, ma raccoglie i bisogni del suo territorio, della sua comunità, li declina in chiave sportiva e prova a dare delle risposte molto concrete.

Che cosa non devono fare dirigenti e allenatori del CSI Milano? E con che spirito si devono avvicinare ragazzi e giovani al CSI?

Ragazzi e giovani si devono avvicinare al CSI come pare a loro. Noi non dobbiamo cercare ragazzi, giovani e belli, bravi,
santi, che hanno capito tutto. È esattamente il contrario. Devono avere un po' di voglia di giocare e poi sta a noi, come educatori, aiutarli a crescere nella vita e a capire quanto lo sport può aiutarli a vivere i valori belli e importanti. Per allenatori e dirigenti, il ragionamento è diverso.

Devono avvicinarsi con uno sguardo preciso, che è quello di non voler scimmiottare lo sport che si vede in tv o si legge sui giornali, di non voler vincere a tutti i costi perché piace a loro. Devono entrare in uno sguardo che senta la responsabilità, la
bellezza di un ruolo, quello di allenatore o di dirigente, che è, in primis, un vero educatore e, in secondo luogo,
un garante dell'esperienza davvero a servizio dei ragazzi.

Devo dire che, per fortuna, il 90% di allenatori e dirigenti che operano nelle nostre società sportive, questo sguardo
ce l'hanno ed è molto forte, molto maturo.

Massimo Achini ha un particolare sogno nel cassetto?

A dir la verità di sogni nel cassetto ne ho tanti. Sogno che, in questi anni, il CSI si radichi sempre di più, come sta facendo nel terzo settore, che diventi sempre di più un'esperienza che contagia e contamina tutto il mondo della società civile. Sogno, poi,
che le istituzioni comprendano davvero, fino in fondo, l'importanza delle società sportive d'oratorio e non si limitino solo a dire che sono importanti, ma che le mettano concretamente tra le priorità di un'agenda politica.

Sogno anche, in questi anni, la realizzazione del primo simposio “Sport e Oratorio”. Mi piacerebbe che nella nostra Diocesi, che è quella, in tutto il mondo, che ha più oratori e più attività sportive d'oratorio, nasca questo grande appuntamento, un simposio su sport e oratorio, ma soprattutto sogno di veder crescere ciascuna di queste 650 società sportive, dalla più piccola alla più grande. Sogno di vedere questo popolo delle società sportive, continuare a crescere.

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