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“Il mio capo stampava i miei errori, mi ha costretto a lavorare in una stanza a parte”: la storia di Francesca

“Il mio responsabile non voleva che noi colleghi ci parlassimo: dovevamo per forza telefonarci o mandarci email, anche se ci trovavamo nell’ufficio di fronte”
A cura di Alice De Luca
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"Ero sempre più stressata perché non riuscivo a stare dietro a tutta la mole di lavoro": è la storia raccontata a Fanpage.it da Francesca, nome fittizio per una 30enne di Brescia che ha chiesto di rimanere anonima. Uscita da un percorso di laurea in lingue con l’ambizione di trovare un lavoro adatto a lei, per i primi tempi Francesca si è dovuta accontentare di un contratto precario come receptionist. Poi una nuova proposta: tre anni di apprendistato nel settore del commerciale estero per un’azienda di Brescia.

All’inizio sembrava andare tutto bene, nonostante l’ambiente apparisse molto esigente: "Il mio responsabile era una persona molto presente – racconta lei – e non voleva che noi colleghi ci parlassimo: dovevamo per forza telefonarci o mandarci email, anche se ci trovavamo nell'ufficio di fronte". Ma dopo pochi mesi che Francesca era lì, una dipendente storica dell'azienda ha deciso di andare in ferie, per poi licenziarsi. A quel punto i responsabili hanno affidato a Francesca la gestione dei clienti della collega, ma nessuno le ha spiegato come fare. "Ero sempre più stressata – racconta – perché non riuscivo a stare dietro a tutta la mole di lavoro. A un certo punto il mio responsabile è venuto nel mio ufficio e si è lamentato perché non arrivavano le offerte. Io mi sono arrabbiata, abbiamo discusso e gli ho detto che non ce la facevo più".

A partire da questo acceso confronto le giornate in ufficio si fanno sempre più difficili per Francesca: "Il mio responsabile ha cominciato a sedersi tutti i giorni alla mia scrivania e, fingendo di insegnarmi come lavorare, controllava tutto quello che facevo. Lavorare in questo modo per me era molto stressante: avevo una grossa ansia da prestazione. A un certo punto poi ha cominciato anche a stampare e mettere da parte tutti i miei errori, anche le banalità, per farli vedere al capo".

"Un giorno il mio capo si è arrabbiato e mi ha chiamata in ufficio – continua Francesca – mi ha detto che avrei dovuto lavorare in una stanza a parte per concentrarmi meglio. Mi ha anche assegnato una lista di cose da fare entro una certa data. Io sono andata nel panico e non sono riuscita a finirle. Lui allora mi ha richiamata per dirmi che non avevo capacità di concentrazione e che non ero in grado di lavorare in ufficio. Mi ha anche detto che mi avrebbe tenuta ma che mi avrebbe dato mansioni di minore importanza".

Francesca, poi, viene sempre più isolata e di fatto spinta a licenziarsi: "Mi hanno spostata dal mio ufficio: non avevo più un computer fisso, una casella email e un numero di telefono. Mi hanno affidato mansioni ridotte e mi hanno detto che sarei rimasta in quelle condizioni finché non avessi trovato un altro lavoro che si adattasse meglio a me". A questo punto Francesca comincia a guardarsi attorno e a fare colloqui. Trova un nuovo lavoro ma l'ansia sviluppata nell'impiego precedente la blocca e non le fa passare il periodo di prova: "Ho trascorso un momento veramente difficile: non riuscivo più a lavorare senza la paura di sbagliare. In questi mesi però ho passato un concorso pubblico e adesso mi occupo proprio di supportare i lavoratori nel rapporto con le aziende. Ho un impiego precario ma mi sono resa conto di come dovrebbe funzionare il mondo del lavoro: ho il tempo di imparare".

Durante il periodo in azienda Francesca ha provato a chiedere aiuto rivolgendosi ai sindacati: "Mi hanno detto che non era colpa mia, ma non sono riuscita a fare nulla perché servivano prove schiaccianti e testimoni. Ma è difficile trovare un collega che ti appoggi se c'è il rischio che la cosa gli si ritorca contro". Un timore simile a quello che ha spinto la stessa Francesca a non denunciare nulla: "Ho provato a parlare con un legale per capire come muovermi ma ho preferito non fare denuncia per mobbing. Lavorando in una realtà come Brescia, tutte le aziende si conoscono e avevo paura che la cosa potesse rovinare il mio curriculum".

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