Il giudice che ha condannato Alberto Genovese: “Il suo unico scopo è la ricerca del massimo piacere personale”
È evidente "la sussistenza di un unico disegno criminoso fra tutti i reati contestati: lo scopo perseguito è stato sempre evidentemente quello della ricerca del massimo piacere personale”: è quanto si legge nelle motivazioni della sentenza che ha condannato a otto anni e quattro mesi di reclusione Alberto Genovese.
L'ex re delle start up è stato arrestato a novembre 2020 a Milano con l'accusa di aver violentato due ragazze che, all'epoca dei fatti, avevano 18 e 23 anni. In quest'ultimo caso, è stata condannata a due anni e cinque mesi di reclusione anche l'ex fidanzata, Sara Borruso.
La violenza nei confronti della 18enne
La prima violenza è avvenuta a Milano nell'ottobre 2020. La modella è stata violentata nell’attico dell’ex re delle start up, soprannominata Terrazza Sentimento. Alla 18enne sono state offerte sostanze stupefacenti che – come scritto dalla giudice – "ne scemavano le facoltà così determinando nella stessa uno stato di alterazione del livello di coscienza”.
La ragazza era andata nell'appartamento perché invitata a uno dei "famosi party" di Genovese. Durante la festa, il 43enne l'avrebbe portata in camera da letto, alla cui porta stazionava un buttafuori che impediva l’accesso in stanza a tutti tra cui a un’amica della ragazza che chiedeva di lei.
Durante le violenze la ragazza, che sarebbe stata anche legata, era in stato di totale o semi-incoscienza. Stato che sarebbe stato mantenuto continuando a somministrarle sostanze stupefacenti. Le violenze sono state riprese dalle telecamere di videosorveglianza. In quei frame la ragazza “per molto tempo è totalmente inerme”.
Solo dopo ore e ore di violenze, la 18enne è riuscita a scappare dall’appartamento venendo poi trovata in strada dalle forze dell’ordine alle quali ha raccontato l’accaduto. Gli abusi le hanno causato diverse lesioni tanto che all'epoca è stata dimessa con una prognosi di venticinque giorni. mentre a oggi conta ancora vari traumi fisici e psicologici.
La violenza sessuale sulla 23enne
La seconda violenza è avvenuta a luglio 2020 a Ibiza nella soprannominata “Villa Lolita”. E per questo caso, è stata condannata anche l’ex fidanzata di Genovese. Sempre durante un party, la 23enne avrebbe consumato sostanze stupefacenti che le avrebbero portata a uno stato di incoscienza.
Approfittando di questo, la coppia l'avrebbe costretta a subire diversi atti sessuali. Al termine della violenza, l’avrebbero portata fuori dalla stanza perché era incapace di reggersi in piedi e "sanguinava nelle parti intime".
Più volte ascoltata dagli inquirenti, la 23enne ha raccontato di aver conosciuto Genovese a Milano e di aver spesso frequentato i suoi party. L'uomo avrebbe provato più volte ad avere un rapporto sessuale con lei. Richiesta che però la 23enne aveva sempre rifiutato. Dal canto suo, l'imprenditore avrebbe sempre accettato il no: “Probabilmente è per questo – ha detto – che potrei aver sottovalutato la sua pericolosità e sono andata in vacanza a Ibiza”.
In quell’occasione, la ragazza era stata invitata personalmente da Genovese che le avrebbe anche pagato il biglietto per il soggiorno nell’isola spagnola. Dopo giornate a base di alcol e droga, sarebbe avvenuta la violenza alla quale avrebbe partecipato anche Sarah Borruso. Al termine di questa, la 23enne sarebbe uscita dalla stanza sorretta dai due perché non riusciva a reggersi in piedi.
La vittima ha raccontato che, il giorno successivo, proprio Borruso le avrebbe detto: “Scusa, mi dispiace”. Ancora oggi, anche la ragazza di 23 anni sta facendo i conti con quanto subito: “Recentemente mi è capitato di provare paura in occasioni che prima di questa esperienza non mi avrebbero assolutamente preoccupata, come per esempio trovarmi per strada da sola. Adesso mi viene in mente che potrei essere aggredita che qualcuno potrebbe farmi del male”.
Su questa episodio, Genovese ha sempre affermato che la ragazza fosse consenziente e che al termine del rapporto avrebbe avuto una specie di crisi epilettica. Una tesi confermata anche dall’ex fidanzata. Proprio per questo motivo, le difese di entrambi hanno chiesto l’assoluzione sostenendo che “quella sera vi sarebbe stato un rapporto sessuale fra persone consenzienti, rapporto che avrebbe visto la Borruso come mera spettatrice”.
Secondo la gup, la 23enne è stata attirata in un luogo appartato, è stata indotta al consumo di sostanza e violentata mentre si trovava in una condizione di apatia, incapace non solo di reagire o acconsentire, ma anche di ricordare quanto accaduto.
Le condizioni di inferiorità psichica, come spiegato dalla suprema corte, in cui versi la persona offesa “rendano ininfluente l’eventuale sussistenza del consenso all’atto sessuale, posto che si tratta di consenso espresso da persona incapace”.
Le feste organizzate da Genovese
L’ex fidanzata di Genovese aveva raccontato che, nel periodo del lockdown dovuto all’emergenza Covid-19, erano frequenti le feste nell’appartamento dell'uomo. Bastava un solo messaggio sulla chat di whatsapp “Sentimento crew” per far partire la macchina.
Durante i party – a cui si accedeva solo tramite lista – non mancavano cibo, alcol e droga. Il tutto era offerto dal padrone di casa. Tra le persone ammesse c'erano soprattutto ragazze giovani: questo perché, come raccontato da un amico, Genovese sosteneva che "una donna dopo i 24 anni è vecchia". Inoltre dovevano essere avvezze all'uso di droghe.
La difesa dell'ex fidanzata
Durante il procedimento, l'ex fidanzata di Genovese ha sostenuto di aver accettato rapporti a tre solo per paura di perdere il suo fidanzato. Parole che per la giudice, nonostante siano state suffragate dalla relazione della sua psicoterapeuta, nulla c'entrano con le accuse.
Per la Corte la donna ha avuto un “ruolo comprimario nel momento in cui ha continuato ad offrire” alla ragazza “sostanza stupefacente e abbia poi proseguito nell’attività sessuale quando quest’ultima aveva perso coscienza di sé e non era più in grado di autodeterminarsi”.
Nè potrebbe essere “esente da responsabilità penale” solo perché non avrebbe avuto un rapporto sessuale diretto con la 23enne: “La stessa, infatti, lungi dall’essere stata mero spettatore del rapporto degli altri due, ha invece cooperato con il proprio partner perché il rapporto potesse avere luogo”. Per la giudice entrambi devono quindi essere ritenuti penalmente responsabili.
Il disturbo Asperger
Durante il procedimento, i periti di parte di Genovese hanno sostenuto che l’uomo fosse affetto da un “disturbo cronico da abuso di sostanze stupefacenti" in comorbidità "con un disturbo psicotico secondario all’uso di sostanze nel quadro patologico di un funzionamento Asperger e di un disturbo di personalità Nas”.
Secondo i consulenti della difesa il funzionamento di tipo Asperger “sarebbe evoluto nel tempo in un disturbo della personalità a seguito di alcuni eventi traumatici” cioè la separazione da una fidanzata e la vendita di una delle sue aziende. Non ci sarebbe però “una correlazione diretta fra il funzionamento dello spettro e i reati per cui Alberto Genovese è indagato”.
Per la giudice la tesi “esposta dai consulenti della difesa non convince” perché prima dell’ingresso in carcere non era “stata formulata alcuna diagnosi a rilevanza psichiatrica” e anzi Genovese “era noto per una brillante intelligenza e per gli indubbi successi in campo scolastico prima e imprenditoriale poi”.
Inoltre “dalle chat acquisite e dai racconti delle persone sentite non si trae per contro alcuna conferma di una degenerazione verso un disturbo di personalità, ma in effetti diagnosticato e non percepito dalle persone che lo circondavano”. Per la giudice, gli eventi traumatici evidenziati dai consulenti “non solo appartengono a categorie piuttosto comuni, ma soprattutto la biografia dell’odierno imputato evidenzia come non abbiano costituito dei punti di svolta così decisivi”.
Il suo comportamento “è apparso lucido e orientato sin dalle ore immediatamente successive” considerato che quando la polizia ha bussato la mattina successiva aver trovato la 18enne in strada non solo “ha avuto un moto di angoscia, nella perfetta consapevolezza che l’appartamento recava evidenti le tracce di quel che era accaduto” ma avrebbe “cercato di nascondere l’accaduto e di far sparire le registrazioni video che documentavano in modo indiscutibile quel che era avvenuto nelle giornate precedenti”.