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Il disastro della diossina a Seveso: quali sono i rischi a 46 anni dall’incidente

Era il 10 luglio di 46 anni fa quando a Seveso una nube di diossina si disperde nell’aria e nel terreno dopo un incidente nello stabilimento Icmesa. Oggi l’incubo diossina a Seveso torna ogni volta che si parla di Pedemontana.
A cura di Giorgia Venturini
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Era da poco passato mezzogiorno e mezza quando nello stabilimento Icmesa, una fabbrica chimica del gruppo Givaudan Hoffman-La Roche, salta il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo. Il reattore esplode e disperde la diossina, una sostanza allora sconosciuta ma oggi indelebile nella mente dei sevesini. Quel giorno passerà alla storia come "Disastro di Seveso", tanto che la cittadina brianzola darà il nome a una direttiva europea che impone ad ogni Paese di segnalare i propri siti a rischio. Da allora sono passati 46 anni. Era il 10 luglio del 1976. Quel giorno è ricordato ancora a Seveso. Tutto è scritto nel parco pubblico del Bosco delle Querce.

Quel giorno i cittadini lo ricordano ancora bene. E con loro anche tutta l'Italia. Quel giorno e i giorni successivi: c'è chi racconta che nei giorni successivi lavoratori e trasportatori che dicevano arrivare dal paese della Brianza li facevano tornare indietro e non ti scaricavano il camion. C'è chi il 10 luglio in tanti furono costretti a lasciare le proprie case. Tutti si domandavano se l'aria che respiravano fosse tossica.

La bonifica subito dopo il disastro e le ultime indagini nel 2019

Oggi la diossina a Seveso c'è ancora. Si trova a metri di profondità nel terreno, nelle vasche a metri di profondità nel Bosco delle Querce, nelle quali sono stati portati i materiali contaminati nel 1976. Innocua se non la "risveglia". Nessun cittadino corre il rischio di ammalarsi. Certo però è che qui non è sicuro piantare zucche, zucchine e pomodori. Eppure in passato alcuni interventi sono stati fatti: dal 1976 al 1983 è stata fatta la prima bonifica dell'area dove ora si trova il Bosco delle Querce, ritenuta dunque la zona più sicura perché le vasche presenti a qualche metro di profondità nel parco impediscono la fuoriuscita di residui della diossina. E ancora: nel 1987 Regione Lombardia ha dichiarato conclusa la bonifica in zona "a", ovvero quella più colpita dall'incidente. "Le ultime indagini del 2018-2019 eseguite da Fondazione Lombardia per l'Ambiente hanno rilevato nel terreno la stessa quantità di diossina scoperta già nel 1976″, spiega a Fanpage.it Gianni Del Pero, presidente di Wwf Lombardia. E ancora: "Le indagini di Arpa nel 2018 hanno confermato invece che sotto l'asfalto della superstrada Milano-Meda sono stati rilevati i massimi valori assoluti di diossina superiori a 600 nanogrammi per chilo".

Il rischio del movimento terra con Pedemontana

Il timore a Seveso è che a risvegliare la diossina siano i nuovi lavori di Pedemontana: parte del nuovo progetto autostradale del tratto B2 coinvolge proprio le zone contaminate. Pedemontana così dal 2006 sta facendo analisi preliminari sul territorio sevesino e il 17 settembre 2013 il Consiglio di Regione Lombardia ha approvato una mozione con la quale ha impegnato il presidente e la giunta regionale a richiedere alla società autostradale, quale soggetto interessato non responsabile, un piano di caratterizzazione delle aree del tracciato dell’opera. Ma cosa ha rivelato il piano di caratterizzazione concluso nel 2016? Allora le ultime indagini hanno accertato che la contaminazione è ancora fissa al 40 per cento dei campioni di terreno prelevati dal sottosuolo. La bonifica prima di tornare a muovere a terra qui costa 12 milioni di euro. Ed è necessario farla prima di scavare. Ma con le difficoltà di Pedemontana degli ultimi anni, questa cosa è chiara? "Insisto a dire che la diossina non è pericolosa se non ci si entra in contatto, se resta soffocata nel terreno", tiene a precisare ancora una volta il presidente di Wwf Lombardia. E poi aggiunge: "Bisogna però adottare precauzioni che sono soprattutto due: non scavare nei terreni dove è presente diossina e non coltivare alimenti che possano accumularla".

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