Il crossdresser Stefano Ferri deriso da una donna in metrò: “Non è la prima volta, sono stufo”

Stefano Ferri è uno scrittore milanese, crossdresser da quando aveva 36 anni. Il suo indossare abiti convenzionalmente destinati alle donne lo ha reso spesso oggetto di scherno e discriminazioni. Come di recente, in metrò: “Una donna guardandomi si è messa a ridere sguaiatamente – racconta a Fanpage.it -. Non ce l’ho più fatta e sono andato da lei”.
A cura di Chiara Daffini
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Lo scrittore Stefano Ferri è crossdresser da quando aveva 36 anni.
Lo scrittore Stefano Ferri è crossdresser da quando aveva 36 anni.

Elegante, ma non eccessivo. Il vestito in pendant con lo smalto alle unghie e i sandali con il mezzo tacco per camminare comodo. Lo scrittore milanese Stefano Ferri ci accoglie così in una calda mattina di inizio agosto per raccontarci che cosa significa essere crossdresser, cioè un uomo che indossa abiti convenzionalmente destinati alle donne.

Lo fa partendo da un episodio recente. "Ero in una stazione della metropolitana – racconta a Fanpage.it – e stavo aspettando il treno. A un certo punto vedo una tizia che mi guarda con lo sguardo sarcastico che ho imparato a riconoscere in oltre vent'anni di crossdressing. Poi comincia a ridere".

"A quel punto – continua Ferri – non ce l'ho proprio più fatta, perché davvero sono stufo: voglio andare in giro evitando di passare giudizi che non merito, derisioni che non merito, scherni che non merito. Mi sono avvicinato a lei, che aveva i pantaloni, e le ho detto ‘Un tempo erano le donne coi pantaloni a generare queste reazioni da parte degli uomini e oggi siamo unanimi nel ritenere quegli uomini imbecilli. Pensi quanta gente in futuro darà dell'imbecille a lei'”.

"Chi discrimina è peggio di chi ride"

La donna rimane basita, Stefano si volta dall'altra parte. "Non è la prima volta – ricorda -. L'anno scorso, per esempio, al mare c'è stata una che ha addirittura saltellava sulla sedia tanto rideva, sotto lo sguardo di cinque sue amiche che erano invece imbarazzatissime".

Gli episodi più dolorosi, sono quelli che Ferri definisce "bianchi", "cioè – spiega – quelli che avvengono nel retroscena, di cui si avvertono le conseguenze. Nella mia vita ho avuto vari contratti di lavoro non rinnovati per colpa del mio modo di vestire e magari a non rinnovarmeli sono state persone che si professavano dalla mia parte, progressiste. Ed è molto peggio perdere il lavoro che essere deriso".

"C'è un pregiudizio culturale gravissimo – osserva lo scrittore -. Non si ammette che un uomo possa vestirsi con un abito al ginocchio, dimenticandosi che abiti così gli uomini li hanno portati per 4500 anni, su 5000 di storia umana documentata. L'anno in cui si è predisposta la società in cui ancora oggi viviamo – spiega – è 1768, quando venne perfezionata la macchina a vapore e aumentarono ricchezza e ambizioni. È la teoria della grande rinuncia maschile: gli uomini presero le donne e dissero loro ‘Ti lascio tutto ciò che ha a che fare con la bellezza, purché tu lasci a me il potere‘".

"Nel XX secolo  – continua Ferri – c'è stata l'emancipazione della donna, ma non dall'uomo, bensì da questo do ut des di cui invece l'uomo è ancora totalmente succube. Chi prova a distaccarsi da questo scambio dal lato maschile va incontro alle conseguenze che ho patito, patisco e credo patirò fino alla fine dei miei giorni io".

"Sono un uomo che mette la gonna"

"Dentro di me – spiega Stefano Ferri – la parte maschile e la parte femminile si integrano solo così, vestendomi con abiti per la nostra società convenzionalmente destinati alle donne. Sono l'esatto contraltare di una donna con i pantaloni e una donna con i pantaloni non ha niente a che fare con la sua identità di genere".

Stefano ha scelto di vestirsi da donna, ma continua a essere e sentirsi uomo. "Mia figlia – racconta – appena nata la prima cosa che ha visto è stato un uomo vestito da donna, lei mi ha sempre visto così e fa parte della cosiddetta generazione fluida, che non ha questo tipo di pregiudizi. Infatti io non ho avuto nessun bisogno di spiegarle niente".

"Per mia moglie – dice invece – il discorso è stato diverso perché ho fatto la mia transizione da crossdresser dopo il matrimonio. Naturalmente non ci ho messo un giorno a passare dal doppiopetto blu a come sono oggi. Ci ho messo 14 anni, i primi sette li ho passati a effeminare in senso un po’ eccentrico il mio abbigliamento maschile".

"Mia moglie – racconta Stefano – mi conobbe nel maggio del ‘97 e quella sera io, che stavo già da due anni cambiando guardaroba, mi presentai con giacca e pantaloni bluette cangiante, camicia trasparente ton sur ton, cravattino alla JFK, pure ton sur ton, e mocassini in pitone".

Quella sera iniziarono a innamorarsi. "Nessuno di noi – dice Ferri – conoscerà mai un altro così profondamente come nel primo istante in cui gli stringi la mano. È un istante in cui cogli tutto della persona e poi tutto si perde. Ma io sono sicuro che lei in quel momento lei abbia visto, come in filigrana, quello che sono oggi, grazie a quegli abiti che indossavo. Adesso è magnifico e mi fa anche da consulente".

Niente scambio di vestiti però, quelli sono riservati alla figlia. "Ho regalato a mia figlia tutti gli abiti a taglia unica che avevo – racconta – Quando aveva otto anni li vide nel guardaroba e con l'ingenuità della bambina che era disse “Papà, me li regali?” Io le ho detto “Quando sarai grande te li regalerò”. Ora glieli ho regalati e lei che è adolescente dice che sono da boomer, però sono convinto che un giorno li metterà. Intanto sono lì per lei.

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