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Il compagno la picchia, ma lei mente in Tribunale per aiutarlo: annullata la condanna per falsa testimonianza

La Cassazione ha assolto una donna che era stata condannata in primo grado e in appello per falsa testimonianza. Secondo i giudici, non avrebbe dovuto essere sentita come testimone in quanto “temeva per la libertà del compagno”.
A cura di Enrico Spaccini
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Una donna era stata condannata in primo grado e in appello per falsa testimonianza. Sua madre aveva denunciato il suo compagno raccontando le violenze fisiche che la ragazza subiva da lui. La vittima, però, ha sempre negato ogni accusa nei confronti dell'uomo che viveva con lei anche di fronte alle evidenze. Il 23 febbraio, però, la Cassazione ha ribaltato il verdetto assolvendo la donna appellandosi all'articolo 384 del Codice Penale: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore".

La sentenza della Corte d'appello

La ragazza in questione era stata sentita come testimone delle violenze del suo compagno. Da tempo vivevano insieme e con loro anche il figlio di lui. Secondo i giudici della Corte d'appello, la donna "non aveva offerto alcun elemento atto a dimostrare la sussistenza di una situazione di pericolo di danno concreto e attuale per la sua persona o per quella di un prossimo congiunto". Questo, quindi, andava contro quanto era emerso dalle indagini.

La donna, quindi, non solo non risultava attendibile come testimone, ma non offriva "elementi idonei ad apprezzare la sussistenza di una stabile convivenza". Per i giudici, questa identifica un preciso "rapporto fondato su uno stabile progetto di vita, connotato dalla volontà di vivere insieme" e nel caso in cui avessero avuto figli "di dare vita a un nucleo stabile e duraturo, con assunzione di un impegno di reciproca assistenza".

Il ribaltamento in Cassazione

Questa lettura non è stata, però, condivisa dai giudici della Cassazione che non solo hanno annullato la sentenza, ma non hanno nemmeno rinviato la condanna. I togati, infatti, hanno evidenziato come sin dal primo grado di giudizio la donna aveva dichiarato di vivere con il suo compagno e di esserne ancora innamorata. Inoltre, "al momento dell'emissione del provvedimento di allontanamento di cui è stato destinatario l'uomo", continuano i giudici, "la compagna aveva espresso la sua disapprovazione per la decisione intervenuta, giacché essa avrebbe interrotto la loro convivenza".

In base a questi elementi, la Corte avrebbe dovuto affermare che la donna "allorquando rese la testimonianza nel procedimento a carico dell'uomo, temeva per la libertà del compagno, che avrebbe subito un inevitabile pregiudizio, se ella avesse raccontato i maltrattamenti subiti". Perciò la ragazza è stata assolta per non aver commesso il reato.

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