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Il calcio discrimina le bambine: la storia di Clementina, rifiutata da una scuola “perché femmina”

Le calciatrici tesserate Figc sono aumentate del 66 per cento negli ultimi dieci anni. Eppure per una bambina è ancora molto difficile iniziare a giocare: la storia di Clementina, bresciana di 8 anni rifiutata da una scuola calcio “perché femmina”.
A cura di Chiara Daffini
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Clementina, la bimba di 8 anni rifiutata da una scuola calcio "perché femmina" (Foto: Daffini/Fanpage.it)
Clementina, la bimba di 8 anni rifiutata da una scuola calcio "perché femmina" (Foto: Daffini/Fanpage.it)

Clementina ha 8 anni, i capelli biondi raccolti in una coda con i fermagli ai lati, una leggera erre moscia. Le piace disegnare, ma ancora di più le piace giocare a calcio. Per questo, all’inizio dell’autunno, si presenta con la zia e il cuginetto in una società sportiva della sua città, Brescia. I bambini scalpitano, non vedono l’ora di fare la prova per entrare in squadra. La zia di Clementina, mentre cerca di placarli, fornisce i loro dati anagrafici in segreteria: "Per il bambino non ci sono problemi, la bambina non può", dice un addetto. E la risposta alla richiesta di spiegazioni da parte della donna – e dei due piccoli – è lapidaria: "Perché è una bambina".

In Italia solo il 3 per cento delle società giovanili si occupa di calcio femminile

Il caso di Clementina, sebbene meno frequente rispetto al passato, non è isolato. In Italia ci sono, secondo i dati Figc, 2955 società di calcio nel settore dilettantistico: di queste, però, meno di 100 hanno squadre femminili. La Lombardia, regione in cui vive Clementina, è tutto sommato un’isola felice: "Qui – spiega a Fanpage.it Luciano Gandini, responsabile regionale Figc femminile – si concentra il 20 per cento del calcio ‘rosa', ma parliamo di una quindicina di società". Su 1400. "Nel settore giovanile lombardo – continua Gandini – abbiamo circa 12mila tesserati, ma solo mille bambine giocano in squadre miste".

La forbice si allarga a livello nazionale, dove le società con squadre femminili arrivano a malapena alla cinquantina. Su 1.062.792 tesserati Figc nel 2019 (ultimo dato disponibile), solo 37mila sono donne e bambine. Per queste ultime, che potrebbero giocare in squadre miste fino ai 12 anni, le "barriere all’entrata" sono spesso insormontabili, non tanto e non solo per una questione culturale, ma soprattutto per motivi logistici. "Di fatto – osserva Gandini – per far giocare una bimba in una squadra prevalentemente maschile serve almeno uno spogliatoio in più e nella maggior parte dei casi le strutture sono già in ristrettezza di spazi. Le società pure femminili sono pochissime, è già tanto se qualcuna maschile accetta le bambine".

Ma la ragione non è solo organizzativa. "È indubbio – commenta Nicola Don, allenatore della Real Academy, una società calcistica giovanile – che le femmine abbiano una struttura fisica diversa, che le fa sembrare meno potenti rispetto ai maschi e quindi diverse realtà non sono interessate a inserirle nella squadra. Spesso lo fanno, perché è politicamente corretto, poi però le disincentivano in ogni modo, lasciandole sempre in panchina". Qualcuna, tuttavia, non si è fatta scoraggiare: negli ultimi dieci anni la Figc ha registrato il 66 per cento in più di calciatrici, con un aumento del 30 per cento nell’ultimo quinquennio. Ma parliamo pur sempre di 37mila donne e bambine, su oltre un milione di tesserati. Nel 2022 è prevista la legge che porterà il professionismo anche nel mondo del calcio femminile e questo potrebbe essere un passo in avanti decisivo.

Alice: donna, mamma e calciatrice

Alice Pignagnoli
Alice Pignagnoli

Tra coloro che non si sono fatte scoraggiare c'è Alice Pignagnoli: ha 33 anni e il calcio oggi è il suo lavoro. Ha girato l’Italia giocando in serie A, nel Milan, nel Napoli, nel Torres, nel Como, nella Riviera di Romagna, fino al ritorno vicino a casa e alla militanza in serie B, nel Cesena, che le permette di conciliare la sua nuova vita da mamma: "Ho iniziato ad appassionarmi di calcio da piccolissima, i primi anni delle elementari. Giocavo con i miei compagni nel cortile della scuola. I miei genitori non erano per niente contenti di questa inclinazione, ma con l’aiuto delle maestre entrai nella squadra del mio quartiere, a Reggio Emilia. Per poco, però, perché mamma e papà preferirono dirottarmi sulla pallavolo".

Alice Pignagnoli
Alice Pignagnoli

"Mi dicevano che il calcio era uno sport da maschi, che le bambine dovevano fare altro. Allora io sono un maschio, rispondevo. Chiamatemi Alicio". Raggiunta un minimo di indipendenza, in sella al suo motorino, Alice è tornata in campo, stavolta in una squadra femminile. E da lì il successo: "Le cose sono sicuramente migliorate rispetto a quando ero piccola, ma per le bimbe resta difficile. I bambini crescono con il pallone tra i piedi, per loro il calcio è un diritto e spesse volte anche un dovere. Per le bambine al massimo esiste la palla, non il pallone. Così ovviamente non acquisiscono quella dimestichezza che hanno i maschi e il divario si allarga con lo sviluppo fisico, ma il calcio non è e non può essere prerogativa degli uomini". Di questo Alice è la prova: "Ci sono stati tanti momenti difficili nel corso della mia carriera, ma anche tante soddisfazioni. La più grande è stata rientrare in campo e vincere mentre mia figlia mi guardava dagli spalti".

Clementina: Mi sembra brutto dire alle femmine che non possono giocare

Per una che ce l'ha fatta, ci sono però tante, troppe ragazzine a cui il sogno è precluso già in partenza. "Clementina, quel giorno in segreteria, ha sentito tutto – racconta Alessandro Abba, il papà della piccola -. Tornata a casa me l’ha raccontato, non capiva". E infatti la bimba, che ci accoglie ancora con il pigiama della domenica mattina ma un piglio tutt’altro che assonnato, dice: "Io non ho niente contro i maschi, però mi sembra una cosa un po’ brutta dire alle femmine che loro non possono giocare". Poi si mette a disegnare se stessa e la sua migliore amica Camilla su un campo con il pallone: dal ritratto è chiaramente distinguibile la coda bionda di Clementina, che ha appena fatto goal, mentre l’altra bambina, in una vignetta, esclama: "Nooooo!".

La passione per il calcio di Clementina traspare pure dai suoi disegni
La passione per il calcio di Clementina traspare pure dai suoi disegni

"La prima cosa di cui mi sono preoccupato – dice Alessandro – è proteggere mia figlia, aiutarla ad affrontare e a farle comprendere questa ingiustizia". Che però resta un mistero anche per un adulto: "Ho parlato con il presidente della Pavoniana Calcio, la società che ha rifiutato Clementina. Mi ha confermato che le direttive le ha date lui e che da loro le bambine non sono le benvenute, perché ‘danno solo problemi'. Non mi ha però detto quali". La stessa domanda l’abbiamo posta noi a Umberto Cervati, il presidente della Pavoniana Calcio, chiamandolo al telefono: "Noi qui non prendiamo le bambine – ha ribadito -, in passato ci hanno dato problemi". Di che tipo non ha voluto specificarlo: "Non sto a raccontarlo a lei, le bambine qui non vengono, basta. Mi dispiace". Anche a Clementina dispiace: "Io a quel signore gli direi che tutte le bambine che sono andate lì a chiedere di giocare, compresa me, magari si possono essere offese".

(Articolo e reportage di Chiara Daffini)

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