Il 10 luglio 1976 il disastro Icmesa a Seveso: 45 anni dopo la diossina c’è ancora
Sono passati 45 anni da quel 10 luglio del 1976 a Seveso. Era un sabato, era circa mezzogiorno e mezza quando nello stabilimento Icmesa, una fabbrica chimica del gruppo Givaudan Hoffman-La Roche, salta il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo. Il reattore esplode e disperde la diossina, una sostanza allora sconosciuta ma oggi indelebile nella mente dei sevesini. Quel giorno passerà alla storia come "Disastro di Seveso", tanto che la cittadina brianzola darà il nome a una direttiva europea che impone ad ogni Paese di segnalare i propri siti a rischio. Qui ricordare è un dovere e dimenticare impossibile: il luogo della memoria è un parco pubblico, il Bosco delle Querce, dove cartelloni sparsi lungo un percorso alberato raccontano quell'incidente che segnò per sempre le famiglie sevesini. Nel 1976 tutta Italia conosceva Seveso "tanto che se facevi il trasportatore e dicevi che arrivavi da qui ti facevano girare indietro e non ti scaricavano il camion", racconta qualche cittadino. Tanti sono stati costretti a lasciare le proprie case. Tutti si domandavano se l'aria che respiravano fosse tossica. Per questo quando è scoppiata la pandemia Covid per molti sevesini è stato come rivivere un altro 10 luglio.
Nel terreno oggi lo stesso quantitativo di diossina del 1976
Dimenticare è impossibile perché la diossina a Seveso c'è ancora. Innocua se indisturbata, ma presente. Te lo ricordano ogni volta che c'è da eseguire anche un piccolo movimento terra o quando ti dicono che non è sicuro piantare zucche, zucchine e pomodori. Unica cosa certa a Seveso è che se la diossina rimane sepolta nel sottosuolo o nelle vasche a metri di profondità nel Bosco delle Querce, nelle quali sono stati portati i materiali contaminati nel 1976, non si corre nessun rischio. Anche se quantificare i danni in fatto di salute qui è altrettanto impossibile: non è mai stato accertato chi e quante persone sono state esposte alla diossina. Certo è che la diossina a Seveso c'è: dal 1976 al 1983 è stata fatta la prima bonifica dell'area dove ora si trova il Bosco delle Querce, ritenuta dunque la zona più sicura perché le vasche presenti a qualche metro di profondità nel parco impediscono la fuoriuscita di residui della diossina. Nel 1987 Regione Lombardia ha dichiarato conclusa la bonifica in zona "a", ovvero quella più colpita dall'incidente. Poi le analisi si sono fermate, almeno fino al 2013 quando è stato reso obbligatorio, prima di fare lavori edilizi anche privati, analizzare il terreno e capire se è sicuro smuovere la terra. Un obbligo che arriva solo 37 anni dopo il disastro. "Le ultime indagini del 2018-2019 eseguite da Fondazione Lombardia per l'Ambiente hanno rilevato nel terreno la stessa quantità di diossina scoperta già nel 1976″, spiega a Fanpage.it Gianni Del Pero, presidente di Wwf Lombardia. E ancora: "Le indagini di Arpa nel 2018 hanno confermato invece che sotto l'asfalto della superstrada Milano-Meda sono stati rilevati i massimi valori assoluti di diossina superiori a 600 nanogrammi per chilo".
Il timore di "risvegliare" la diossina con gli scavi di Pedemontana
I dati preoccupano. Ancora di più se si pensa che le analisi sono state fatte per capire se esiste un reale pericolo ambientale una volta che partiranno i lavori di Pedemontana. Già Pedemontana: parte del nuovo progetto autostradale del tratto B2 coinvolge proprio le zone contaminate. Ecco quindi che il movimento terra potrebbe risvegliare brutti ricordi: così dal 2006 Pedemontana sta facendo analisi preliminari sul territorio sevesino e il 17 settembre 2013 il Consiglio di Regione Lombardia ha approvato una mozione con la quale ha impegnato il presidente e la giunta regionale a richiedere alla società autostradale, quale soggetto interessato non responsabile, un piano di caratterizzazione delle aree del tracciato dell’opera. Piano di caratterizzazione completato poi nell’agosto del 2016 le cui analisi hanno accertato la contaminazione nel 40 per cento dei campioni di terreno prelevati dal sottosuolo. Le difficoltà però di Pedemontana oggi non sono poche: "Sono alla resa dei conti – precisa Del Pero, anche geologo incaricato dai Comuni interessati dal nuovo tratto a monitorare la situazione diossina -. La società ha tempo ancora fino all'8 agosto per trovare il socio finanziatore che si accolli l'onere residuo per i lavori. Se non si arriva a un contratto, Pedemontana perderà le garanzie di defiscalizzazione concesse dallo Stato per 400 milioni di euro. Niente contratto, niente soldi, niente autostrada". In caso di esito positivo la società prima di iniziare a scavare dovrà comunque provvedere alla bonifica: nella rendicontazione del marzo 2020 Pedemontana ha trasmesso a Regione Lombardia "un piano finanziario aggiornato con onere di bonifica di 12 milioni di euro, somma di cui ha chiesto il finanziamento a Regione Lombardia". E anche in questo caso o ci sono i soldi, o si rischia che salta la bonifica. E quindi non si può realizzare Pedemontana.
Diossina presente nei campi coltivati
E se da una parte c'è il rischio-Pedemontana dall'altra c'è anche il mancato controllo nelle aree agricole: nei terreni di via della Roggia a Seveso sono presenti valori prossimi a 200 nanogrammi per chilo di diossina quando il limite di legge per la bonifica delle aree industriali è di 100, per quelle residenziali è 10 e per quelle agricole – previsto dal decreto del 2019 del Ministero dell’Ambiente – 6. E invece qui si coltiva e si semina. E nessuno interviene per la bonifica. "Insisto a dire che la diossina non è pericolosa se non ci si entra in contatto, se resta soffocata nel terreno", tiene a precisare ancora una volta il presidente di Wwf Lombardia. E poi aggiunge: "Bisogna però adottare precauzioni che sono soprattutto due: non scavare nei terreni dove è presente diossina e non coltivare alimenti che possano accumularla".
Le dimissioni del sindaco a causa della gestione delle vasche della diossina
Tema diossina è stato al centro anche delle recenti dimissioni del sindaco di Seveso Luca Allievi. Il primo cittadino sevesino ha fatto presente che mancano i protocolli che spieghino lo stato di usura delle vasche contenenti diossina nel Bosco delle Querce. "Dal 2003 non sono mai stati fatti controlli – spiega Allievi a Fanpage.it -. Da convenzione questi spettano al Comune ma proprietaria del bosco è Regione Lombardia, così come prevede anche il Testo unico ambientale che affida a Regione la gestione delle discarica. Da parte del Pirellone invece questi controlli non sono mai stati fatti". Così il sindaco con nuova convenzione ha chiesto a Regione Lombardia di farsi carico completamente. Decisione che ha frantumato – per sole ragioni politiche – la maggioranza in Consiglio comunale costringendo poi il primo cittadino alle dimissioni. Dal Pirellone però rassicurano, facendo sapere che ad oggi non c'è alcun rischio ambientale. "Il Bosco delle Querce è l'unico posto in cui la diossina non è a rischio dispersione grazie alle vasche di contenimento – precisa Gianni del Pero -. Detto questo bisogna intervenire sempre facendo controlli. Anche e soprattutto su altri terreni di Seveso interessati dal disastro dell'Icmesa". Certo è che a Seveso dimenticarsi della diossina è impossibile, neanche se giace indisturbata a qualche metro di profondità. Perché la paura di rivivere un altro 10 luglio 1976 è sempre presente.