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I ragazzi di Slow Sud, il ristorante “terrone” vincitore da Borghese: “Il delivery è un’opportunità”

“Grazie al delivery non abbiamo mai lavorato quanto quest’anno”. Umberto Pavano, chef siciliano di 33 anni, è tra i fondatori di “Slow Sud”, ristorante di “cucina terrona” a Milano che ha vinto la prima puntata della nuova stagione di “4 Ristoranti” di Alessandro Borghese. Una gara dedicata alle consegne a domicilio causa Covid. Intervistato da Fanpage.it, spiega: “Siamo stati costretti a scoprire un nuovo modo di lavorare e ha funzionato. Il segreto? Non abbiamo vissuto questa difficoltà piangendoci addosso”.
A cura di Simone Gorla
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"La verità? Da quando abbiamo aperto il ristorante, nel 2015, non abbiamo mai lavorato quanto quest'anno. Ci stiamo facendo il mazzo. Ci siamo dovuti reinventare completamente, imparando a fare il delivery, ma i risultati stanno arrivando". Umberto Pavano, chef siciliano di 33 anni, è tra i fondatori di "Slow Sud", ristorante di "cucina terrona" a due passi da via Torino, nel centro di Milano. Con la sua squadra è reduce dalla vittoria della prima puntata della nuova stagione di "4 Ristoranti" di Alessandro Borghese, andata in onda l’8 dicembre. Una sfida che, causa Coronavirus, è stata dedicata al delivery.

Proprio l'abilità nel gestire le consegne a domicilio, con i propri rider, ha permesso al "delivery terrone" di vincere la gara. "È stata una grandissima soddisfazione. L'abbiamo vissuta con grande entusiasmo fin dalle selezioni, eravamo già fan del programma. Siamo stati in fibrillazione per tutta la giornata, ci abbiamo messo impegno e ci siamo fatti il mazzo. La vittoria è stata una gioia in più", racconta lo chef intervistato da Fanpage.it

Dopo la vittoria da Borghese è cambiato qualcosa per voi?

Abbiamo avuto un piccolo boom, in questo caso del delivery. Ce l'avevano detto, succede per effetto del ritorno di immagine. La puntata è andata in onda il martedì, un paio di giorni dopo, il sabato, abbiamo avuto 60 ordini e alle 20.30 abbiamo dovuto chiudere il sito perché i rider non ce la facevano a consegnare.

Avete iniziato a fare le consegne a domicilio dalla riapertura di maggio. Come vi siete reinventati?

Siamo stati costretti a scoprire un nuovo modo di lavorare. Che per noi è significato ripartire da zero. Fare delivery è un'altra cosa: processi, organizzazione, imbustamento, lavoro dei rider. Era tutto nuovo, ma ne siamo venuti a capo.

Come avete vissuto il secondo lockdown e la confusione sulle misure per Natale?

Per quanto riguarda la situazione delle chiusure, con l'ultimo allentamento di qualche giorno fa abbiamo deciso di non riaprire al pubblico. Sospettavamo non fosse una misura definitiva. Riaprire al pubblico implica cambiare di nuovo e con gli spazi che abbiamo non riusciremmo a fare bene tutto. Abbiamo pensato di puntare sul delivery, ed effettivamente ci dà più ritorno economico.

I clienti non sono delusi?

C'è chi chiama per sapere se siamo aperti, ma per ora la risposta è no. Fino a gennaio sarà così, c'è troppa incertezza.

Che progetti avete per il 2021?

Stiamo valutando di potenziare il delivery e puntare forte su quello anche per il futuro. Cercheremo altri spazi, per avere un centro di cottura esterno che faccia la parte di consegne. Così il ristorante, quando sarà riaperto, si concentrerà sulla sala. Stiamo pensando anche di attivare un servizio per l'hinterland. Ci arrivano richieste da fuori Milano, che oggi non riusciamo a soddisfare. In questo caso non sarebbe cibo pronto da mangiare, ma una sorta di gastronomia a domicilio.

Progettate di espandervi nell'anno più nero per il vostro settore?

Non abbiamo vissuto questa difficoltà piangendoci addosso. Ogni cambiamento è un'opportunità, noi cerchiamo di coglierla. Il cambio quest'anno è stato radicale. C'era una nuova possibilità, ci siamo impegnati anima e corpo per sfruttarla.

Qual è la vostra ricetta per superare questa crisi?

È una questione di approccio al lavoro. Il classico ristoratore vecchio stampo dell'osteria di quartiere non si metterebbe a fare gastronomia per l'hinterland. Per cinque ragazzi giovani, abituati a reinventarsi, è sicuramente più facile.

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